The Ghetto Lullaby: LeBron Raymone James, la favola del ghetto (a lieto fine)

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“Per quanto mi riguarda, non me ne può importare nulla di quello che si può dire su di me. Sono LeBron James da Akron, Ohio, dall’inner city, non dovrei nemmeno essere qua. Non c’è altro da aggiungere. Ogni sera giro per lo spogliatoio e vedo una canotta numero 6 con James sulle spalle. Sono benedetto. Quindi qualsiasi cosa uno dica sul mio conto fuori dal campo non importa. Non crea nessun problema”.
21 Giugno 2013: LeBron James e i suoi Miami Heat hanno trionfato sui San Antonio Spurs e per la seconda volta consecutiva sono sul tetto del mondo cestistico. E così l’MVP delle Finals, in risposta ad una domanda sulle continue chiacchiere che girano intorno alla sua figura dal primo giorno in cui ha calcato un parquet, tira fuori il suo passato. Lo dice anche un altro controverso per natura, Zlatan Ibrahimovic: “Puoi togliere un ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo”. E di ghetto nel passato di Bron ce ne è parecchio. 
Questo vuole essere un viaggio attraverso la sua favola, una favola del ghetto, eccezionalmente a lieto fine. 

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“Don’t cry, just ask why, and try not to die/ As I take through a ghetto nigga’s lullaby”.
Tupac Shakur

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Dell corre per i corridoi dell’ospedale. I suoi Cavs lottano per un posto ai playoffs, ma che importa? Sua moglie Sonya sta dando alla luce un bambino. Si può dire: quel 14 Marzo ad Akron, Ohio, nascerà parte dell’NBA dei nostri giorni, perché Dell Curry e Sonya quel bambino lo chiameranno come il padre, Wardell Stephen Curry, ma per essere distinto verrà sempre chiamato Steph.
Eppure la nostra NBA non nasce solo quel giorno. Quattro anni prima, stesso ospedale, qualche stanza più in là, un’altra ragazza sta dando alla luce un profeta dei ferri. Ma la situazione è totalmente diversa. Gloria non ha un compagno professionista in NBA, non è una rispettata pallavolista: essenzialmente Gloria James non ha nessuno, se non quel pargolo che ora tiene tra le braccia. Ma c’è di più, Gloria ha 16 anni. Si può dire che i destini dei due neonati saranno simili: stessa partenza e stessa destinazione (l’Olimpo cestistico), ma la strada sarà sin dall’inizio diametralmente opposta. E di Steph magari ne parleremo un’altra volta.

Come può una 16enne doversi preoccupare di come si fa la madre, di come si cresce un figlio? Eppure è una storia fotocopia che si ripete da anni, e anni, laddove la miseria un giorno decise di creare i ghetti: madre giovanissima, afroamericana (e tristemente dove c’è povertà troppo spesso c’entra questo fattore, per un numero infinito di concause), padre codardo che se la dà a gambe. I versi di Pac sovracitati lasciano intendere che queste storie, queste favole, non hanno generalmente un lieto fine. Quel bambino che Gloria ha consegnato ad Akron, Ohio, ha tutte le carte in regola per diventare uno qualsiasi degli eterni sepolti: ma se oggi conosciamo LeBron Raymone James vuol dire che la sua favola, forse, un lieto fine ce l’ha avuto.

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LeBron nasce ad Akron, il 30 Dicembre del 1984. Il padre biologico ha un nome ed un cognome, Anthony McClelland, che nella vita del ragazzo (giustamente) non rappresenteranno mai nulla, anche perché di cognome prenderà quello della madre. Bron nasce ad Akron, che di per sé sarebbe una normale città americana con i soliti problemi che le caratterizzano, ma cresce nell’inner city di questa, dove il discorso è diverso. L’inner city di Akron è uno di quei posti dove non torneresti mai, anche perché se riesci ad uscirne è perché tornare è l’ultima cosa che vorresti, ma ai quali rimani sempre legato in qualche modo; e il King quel posto non lo ha certo dimenticato, nonostante tutto.
Sua madre Gloria è una di quelle figure che ti fanno sentire in colpa quando di abbatti per sciocchezze allucinanti: la tua squadra che perde, un 5 in un compito, la ragazza che non risponde ai messaggi.. Gloria non è mai stata così fortunata da potersi preoccupare di queste cose. La nonna di LeBron muore quando quest’ultimo è ancora un bambino, lasciando ulteriormente sola la figlia, sola contro il mondo, contro un destino così dannatamente avverso.

LeBron e lei sono intrappolati ad Akron, ma paradossalmente non si fermano mai: si spostano di quartiere malfamato in quartiere degradato, cambiando appartamenti, lavori part-time, e tutto quello che servirebbe per condurre una vita quantomeno decente. Non c’è stabilità: persino i compagni della madre cambiano in continuazione; ma d’altronde dove lo trovi un buon partito in certi posti? Uno di questi compagni è Eddie Jackson, che la madre comincia a frequentare quando LeBron ha solo due anni. No, non va a buon fine, dato che gli anni di carcere del tipo sono maggiori degli anni di scuola. LeBron è quindi destinato a crescere senza una figura paterna: ma cresce con una madre, una madre fortissima.

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I problemi son tanti ma mamma Gloria vuole essere una madre amorosa per il proprio figlio. E’ l’unico modo per salvarlo dalla violenza della strada, l’amore: chi cresce senza nemmeno questo, da quelle parte, è terribilmente più esposto a rimanervici rinchiuso in eterno.
E’ per questo che Gloria è la figura che permetterà a LeBron di realizzarsi, e metterà il lieto fine a questa favola. Nell’infanzia del ragazzo è l’unica a mostrargli un po’ d’amore in un mondo grigio e infame, dal momento che, oltretutto, Bron non ha amici: un po’ perché nessuno vuole essere amico di un ragazzo mogio e cupo, un po’ perché egli stesso si vergogna della sua vita da seminomade in giro per il ghetto. Anche concentrarsi sullo studio viene difficile: il ragazzo vorrebbe studiare, ma quando torni a casa e non trovi nulla da mangiare, con la delusione sul volto di una madre che sta dando tutta sé stessa per farti sopravvivere, pensare ai libri è veramente complicato. E LeBron allora realizza che l’alternativa è distrarsi, e nella inner city lo si fa in due modi: basketball o football.
In questo aspetto la sua storia somiglia molto a quella di Allen Iverson: in entrambi i casi vi sono due madri spaminanti che i figli non finiscano per strada, in entrambi i casi le madri pensano allo sport, in entrambi i casi i figli preferiscono il football e in entrambi i casi le madri spingeranno verso il basketball. Gloria regala al figlio, ancora bimbetto, un canestro giocattolo col quale passerà delle ore. La predisposizione sembra esserci, e forse anche la speranza per la madre. Anche se dubito che sia al corrente che quella creatura, che stringe tra le braccia nella notte, la porterà fuori da quell’inferno..

E quindi lo sport è la salvezza. Lo sport, l’amore ma soprattutto l’umanità, che in qualche angolo di mondo è ancora presente, anche nel ghetto, renderanno questa favola una di quelle che si possono raccontare. Il ragazzo sarà anche schivo ma mostra subito di essere un atleta da paura: forza, velocità e un QI sportivo come pochi. Insomma, un prescelto..
L’umanità di tutta questa storia la si vede anche nella figura del suo coach dell’epoca, Frankie Walker, che propone a Gloria un accordo: LeBron avrebbe vissuto con la famiglia Walker, avendo così tre pasti al giorno, la possibilità di stare lontano dalla inner city e di studiare, e Gloria avrebbe potuto visitarlo e stare con lui quanto volesse/potesse. Una sorta di affidamento non formale, diciamo. Fatto sta che la ragazza accetta, un po’ a malincuore, di separarsi parzialmente dal figlio; questo accordo verrà rinnovato più volte (anche perché ogni volta che LeBron torna a casa la situazione non è mai troppo cambiata). Ma oltre una casa degna di essere chiamata tale, Bron trova qualcos’altro: degli amici veri e propri, per la prima volta nella vita. L’amore della madre lo aveva salvato nei suoi primi anni, l’amicizia lo accompagna ora. LeBron James, Dru Joycee III (che diventerà il suo migliore amico), Frankie Walker jr, Sian Cotton, Romeo Travis, William McGee: un legame fortissimo, tanto quanto la passione che accomuna questi ragazzi per la pallacanestro. Affrontarli insieme per i ragazzini delle elementari della Akron di allora è impossibile: sono pressoché imbattibili. La domenica sera si ritrovano tutti nel Jewish Center di Akron, unico posto dove è possibile non solo giocare da streetball, ma anche imparare qualche fondamentale in più, sotto l’esperta guida di Keith Dambrot. I risultati si vedono, ma soprattutto si vedranno; e chi conosce meglio la storia di James, soprattutto al liceo, molti di questi nomi li ha già sentiti..

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Da questo momento in poi la vita di LeBron, una strada perennemente in salita, intravede in lontananza una cima. Non sarà facile, ovviamente: nessuna montagna si scala senza impegno e sacrificio, ma Bron li conosce entrambi. Alle elementari seguono le medie, poi l’high school a Saint VIncent-Saint Mary, i Fighting Irish. Il resto della storia, beh, lo conoscete. Ora mamma Gloria può guardare suo figlio sul tetto del mondo sportivo, mediatico, popolare, sapendo che nessuna persona nella vita di LeBron avrà mai la stessa importanza che ha avuto lei. “Ain’t no woman alive that could take my mama’s place..”

LeBron James: la favola di Akron, salvato dall’amore.

Cleveland Cavaliers v Houston Rockets

Gabriele Buscaglia

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