Andre Iguodala, un MVP senza precedenti

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Se ad inizio anno qualcuno avesse detto “Golden State Warriors campioni contro i Cavs di LeBron James” più di qualcuno sarebbe scoppiato a ridere ed invece sin dai primi mesi di Regular Season è sembrato chiaro che questi Warriors si sarebbero giocati le loro chance di vittoria finale.

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E se all’inizio della serie qualcuno avesse detto “Andre Iguodala vince l’MVP”?. Sembrava scontato che il trofeo sarebbe stato assegnato a Curry o James ma a spuntarla è stato il giocatore che ha cambiato la serie, l’unico che ha garantito il suo apporto per tutte e sei le partite. Per la prima volta nella storia NBA vince il titolo di MVP delle Finals un giocatore che in regular season non è mai partito in quintetto, un giocatore che più di chiunque altro ha meritato questo riconoscimento, un giocatore premiato per la capacità di fare un po’ di tutto, non a caso è l’unico insieme a Magic e Wes Unseld ad aver vinto tale premio con meno di 17 punti di media. 

Personalmente ammiro Iguodala sin dai tempi dei Philadelphia 76ers, un giocatore completo, in grado di fare tutto, con coraggio e intelligenza. Col passare del tempo sono cresciute le sue difficoltà al tiro ed è calata la sua produzione offensiva, questo lo ha trasformato da All Star a giocatore di lusso, soprattutto nel sistema di Steve Kerr dove usciva dalla panchina. Pochissimi possono permettersi il lusso di avere AI, ma anche David Lee che come lui ha avuto una carriera NBA ad altissimi livelli, in panchina e ciò testimonia quanto non sia importante chi comincia le partite, ma chi le cambia. Alla fine è arrivata la promozione in quintetto, un iniezione di fiducia vera e propria che ha trasformato Andre Iguodala nel giocatore offensivamente pericoloso che era un tempo. 16.3 punti, 5.8 rimbalzi, 4 assist, 1.3 palle rubate sono media che solo in RS erano inimmaginabili. La grandezza di Andre Iguodala va cercata nel salto di qualità che ha compiuto nei momenti decisivi, basti pensare che in tutta la stagione solo 12 volte su 98 partite ha segnato almeno 15 punti, 4 di queste nelle 6 partite di finale.

La sua sorpresa e gioia al momento della premiazione valgono più di mille parole, per un giocatore cresciuto col mito di Scottie Pippen non c’è nulla di meglio che vedere riconosciuta la propria versatilità vincendo l’MVP al posto del ben più talentuoso Stephen Curry in una serie in cui non solo è stato l’ago della bilancia ma anima dei suoi Warriors oltre che tiratore affidabile, ala da contropiede e stopper di LeBron James che comunque è stato tenuto a percentuali piuttosto basse.

Luca Diamante

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