Esclusiva BU, Meo Sacchetti: “Servono talenti che sappiano inventare e creare passaggi. La forza dell’Italbasket è il gruppo!”

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BasketUniverso ha avuto il piacere e l’onore di parlare con Meo Sacchetti, coach della Vanoli Cremona e della Nazionale italiana, spaziando dalle sue attuali esperienze al suo peculiare modo di vedere e giocare la pallacanestro.

Coach, ci racconti la scelta estiva di Cremona, sia come ambiente e sia come progetto cestistico, avendo lei firmato un contratto triennale.

“L’ambiente è stato sicuramente un fattore importante nella scelta; sapere che si trattava di una società sana, a partire dal Presidente e dal General Manager, composta da persone di cui mi hanno tutti parlato bene, ha aiutato. Tutti coloro che sono passati da qui, aldilà dei risultati, si sono trovati bene e questa è stata la cosa più importante per costruire un progetto”.

Com’è stato passare dall’idea di fare la A2 a ritrovarsi in serie A, disputare le Final Eight, vincendo anche ai quarti, e quanta capacità c’è stata dello staff tecnico/dirigenziale nel riprogrammare tutto in poche settimane?

“Quando sono arrivato qui ci trovavamo in una situazione di A2, c’era questo pourparler riguardante una società con difficoltà però con le voci non si poteva fare niente. Quindi è stata impostata una squadra e fatte determinate scelte per disputare la A2, poi ci siamo trovati in serie A e abbiamo cercato, grazie alla regolamentazione diversa, di prendere gli extracomunitari per formare una squadra di buon livello. Ci sono stati dei problemi all’inizio, eravamo un team nuoo perché, a parte Travis e Drake Diener, nessuno si conosceva e aveva mai giocato insieme però, piano piano, siamo riusciti a emergere, fare delle belle partite e, nonostante qualche sconfitta negli ultimi secondi – che avrebbe potuto segnare negativamente il nostro percorso – siamo riusciti a disputare le Final Eight. Penso che arrivare a metà stagione tra le prime otto e vincere il primo turno contro una squadra più blasonata e con più aspettative, sia un traguardo importante e ci ha dato più consapevolezza. E infine c’è stata anche la magrissima soddisfazione di aver perso contro la squadra che ha vinto”.

Si può dire, al netto di tutti gli altri fattori che influiscono in una partita, che il quintetto piccolo – con Martin da 4 – è stata spesso la chiave tattica per le partite vinte da Cremona?

“L’abbiamo provato in allenamento e poi usato per la prima volta, se ricordo bene, a Brescia, perché volevamo usare un accorgimento per difendere sul pick and roll di Luca Vitali, togliendo loro il fulcro dell’attacco. Kelvin si presta perfettamente a questo ruolo e, anche se penalizza qualche altro giocatore, poi ha dato buoni risultati, anche in fase offensiva. Ora vorremmo riuscire a farlo anche con un quintetto più alto”.

Com’è per un allenatore conciliare mentalmente Club e Nazionale?

“Non mi sta creando nessuna difficoltà. L’impegno è comunque ridotto a due settimane (novembre e febbraio, ndr) e, oltre alle partite, siamo anche riusciti a fare un raduno con i giocatori di A2 e anche andare a vedere qualche partita sempre di A2, che si gioca qui vicino a Cremona, quindi niente di probante o impossibile da gestire”.

Parlando di Nazionale, 4 vittorie in 4 partite: come sono state queste due settimane e come si sta creando il suo gruppo senza i giocatori NBA e quelli di Eurolega?

“Appena ho preso la Nazionale, ho voluto subito togliere dalla testa di tutti l’idea di non poter avere determinati giocatori. Lo sappiamo e andiamo con ciò che ci è concesso. Abbiamo dei buoni giocatori e questo ha dato forza ai ragazzi e al gruppo e anche gli ultimi infortuni a giocatori importanti – come Aradori e Alessandro Gentile – hanno dato ancora più consapevolezza al gruppo. Tutti devono capire che l’unione è fondamentale: non c’è una stella, anche se qualcuno come Della Valle è emerso più degli altri ,ma l’accettazione del ruolo è stata la chiave finora per queste prime quattro vittorie”.

Ci sono differenze nel legame con la maglia azzurra da giocatore rispetto ad ora che è allenatore?

Il legame è comunque forte, però preferivo farlo da giocatore perché non c’è cosa più bella: entri in campo e rappresenti la tua Nazione. Finita la carriera da giocatore penso che tutti vorrebbero fare l’allenatore dell’Italia e credo che, se hai vestito quella maglia, anche da giocatore senti qualcosa di diverso, se poi la dirigi dalla panchina”.

Sempre guardando a quando giocava lei, parlando di spaziature, tiro da tre e atletismo: quanto è diverso il gioco del basket? E quanto questo cambiamento influenza la preparazione di una partita con tutte le statistiche e i video disponibili?

“La pallacanestro è cambiata radicalmente, ora è molto più fisica e atletica. Inoltre il tiro da tre ha avuto sempre più una rilevanza maggiore, però ancora più recentemente, oltre alla fisicità, ciò che cambia in positivo tutta una squadra è quando c’è un giocatore con la tecnica e la capacità di rendere più facile il giocare insieme. Il livello dei costruttori di gioco e dei passatori è diventato a mio avviso la parte predominante del Gioco e, la differenza nel rendere una squadra più vincente, è avere qualcuno che sappia inventare e creare dei passaggi, vedendo l’azione prima degli altri nella propria testa”.

Se dico concetti come “run&gun”, “7 seconds or less” alla Mike D’Antoni o, anche solo vedendo come giocano in NBA squadre dominanti come Golden State o la sua Sassari del triplete, ci si rivede o la si fa troppo semplice? E se sì. quanto può essere efficace questo tipo di gioco e di cosa ha bisogno?

“Il problema è che per fare questo tipo di pallacanestro, oltre alla mentalità, devi avere anche i giocatori, altrimenti non ti puoi permettere di giocare in questo modo. Servono ragazzi che abbiano una capacità di fare canestro al di fuori degli schemi molto elevata e arrivare a leggere determinate situazioni favorevoli come può essere prendere un tiro, con un buon tiratore palla in mano, anche se non in sovrannumero. Logico è che quando le cose vanno bene è un tipo di basket bello da vedere, che piace a me come allenatore, a chi è in campo e a chi guarda sugli spalti o a casa in tv; quando non si riesce, è proprio brutta. Ma è il bello della pallacanestro, è che è varia, e ognuno la gioca in base a dei dettami in cui crede o con ciò che ha a disposizione. Molti preferiscono un centrone dominante, io non l’ho mai avuto e quindi mi sono adattato”.

Per sfatare un mito: quanto conta la difesa nel tuo sistema di gioco?

“Ovviamente conta tantissimo. A me piace correre ma farlo solo da canestro subito è difficile, se non impossibile, perciò, pensando ai miei anni a Sassari, per vincere ciò che abbiamo vinto avevamo sprazzi di una difesa molto intensa e questo ti rende molto più facile il compito nell’altra metà campo, soprattutto con gli atleti e i tiratori di oggi. Tornando alla Nazionale, ha fatto vedere minuti di buona difesa”.

Molti elogiano il suo carattere nel comunicare. Quanto conta l’approccio ai giocatori e la gestione del gruppo, indipendentemente dalla parte tecnica?

“Io cerco sempre di pensare positivo con i miei giocatori, cerco di tirar fuori le migliori qualità, anche dando responsabilità e confidenza. Logicamente anch’io mi sono scontrato con giocatori e realtà che non sono state limpide. A volte ho dato molto e non ho ricevuto – sotto l’aspetto umano – meno di quello che mi aspettassi. Io valuto molto anche questo aspetto, oltre a quello tecnico, e un coach, che è stato giocatore, ci sta anche più male perché, essendoci passato, conosce bene le sensazioni che un atleta può provare. Mentre altri tecnici, che non sono stati sul parquet ad alti livelli, pensano a volte male riguardo a determinati comportamenti: se hai giocato non lo fai, nonostante possano avvenire degli scontri, perché viene meno il concetto di singolo dentro a un gruppo, che è la sintesi di ciò che è un gioco di squadra e in particolare la pallacanestro”.

Dopo tre anni di “pausa”, com’è il rapporto con i cugini Diener, in vista del vostro prossimo ritorno a Sassari (per quanto lei e Drake ci siate già tornati da avversari)? Quanto sono diversi l’uno dall’altro?

“Sono diversissimi, sia come carattere che come tipo di gioco e di talento, però insieme stanno benissimo e in campo si cercano con successo. Sono ragazzi a cui voglio bene aldilà del concetto di player: li valuto molto più dal punto di vista umano ormai. Per il ritorno a Sassari, sono molto curioso ma soprattutto per Travis, perché, come hai detto, io e Drake ci siamo già stati da avversari, mentre Travis è la prima volta e mi aspetto un accoglienza più che calorosa per lui”.

Ringraziamo infinitamente coach Sacchetti e la Vanoli Cremona per la gentilezza e disponibilità mostrataci.

Michele Manzini

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