Esclusiva BU – Peppe Sindoni: “Il 6+6 è potenzialmente disastroso. Meno americani scarsi e più europei, come in Spagna!”

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Nei giorni scorsi avevamo pubblicato in esclusiva la prima parte dell’intervista a Peppe Sindoni, promettendovi la seconda nel giro di qualche giorno: eccola qui.

Il general manager di Capo d’Orlando si è soffermato su alcuni aspetti dei regolamenti, come il possibile passaggio al 6+6 e la doppia promozione/retrocessione, e sulla differenza tra europei (veri) ed extracomunitari; inoltre ha anche parlato del grande “problema” dell’Olimpia Milano.

Ringraziamo ancora una volta Capo d’Orlando e Giuseppe Sindoni per l’estrema disponibilità dimostrataci.

sindoni orlandina

Iniziamo il nostro discorso legato ai regolamenti e allo stato attuale del basket italiano, cosa ne pensi della possibilità di passare al 6+6, che è la formula più probabile per il prossimo anno?

L’obiettivo della FIP è condivisibile da tutti quanti gli amanti e appassionati di pallacanestro, più o meno competenti: avere più italiani di alto livello da poter impiegare in maglia Azzurra e quindi avere una Nazionale ancora più competitiva di quella attuale, anche se lo è già, perché far giocare più italiani senza questo scopo è un proposito fine a se stesso. Io credo che il 6+6, che è la formula maggiormente accreditata, sia potenzialmente disastroso per la LBA per due semplici motivi: primo, le società si affideranno sempre di più ad un numero smisurato di americani e credo che questo, oltre ad abbassare il livello tecnico, non permetterà agli italiani di integrarsi; molto spesso oggi vediamo tante squadre costituite da cinque americani e cinque italiani che definirei sparring partners, per il grande rispetto che nutro nei loro confronti, i quali vengono inseriti perché non danno fastidio. Provate ad immaginare cosa sarebbe se gli americani passassero addirittura da cinque a sei… Il secondo motivo è che gli organi competenti che decidono queste formule sono poco a conoscenza del fatto che gli atleti italiani non sono per nulla motivati a migliorare perché, oggi come oggi, sono gli unici di essere sicuri di avere un posto di lavoro per l’anno successivo. I giovani atleti tricolori dovrebbe prendere spunto da Amedeo Della Valle: lui ha avuto il coraggio di andare a confrontarsi con gente molto più forte, più strutturalmente pronta [in NCAA, ndr], e oggi gioca titolare 25-30 minuti in Serie A; al college non giocava perché aveva passaporto italiano, anzi, l’essere europeo sarebbe potuto essere un problema, non un vantaggio. Quello che importa è la voglia di giocare e la conoscenza della pallacanestro, senza tener conto del passaporto che uno ha in mano.
Sostanzialmente penso che l’idea di FIP e GIBA, che vogliono risolvere i problemi degli italiani mettendone il più possibile in Serie A – il che potrebbe anche avere senso, se ce ne fossero 7-8 per squadra del livello di moltissimi stranieri che vengono da noi, ma così non è – è la seguente: “Visto che da noi arrivano spesso stranieri scarsi, mettiamo in campo più italiani, così tra 4-5 anni avremo degli azzurri pronti per poter competere ai più alti livelli del basket mondiale”. Ma io non sono per niente d’accordo: non si lavora al vertice, bensì alla base, non risolvi il problema obbligando le squadra ad avere sei italiani a roster, piuttosto bisogna lavorare sui settori giovanili, rendendoli obbligatori, per esempio. Un altro fattore da non sottovalutare è che oggi gli italiani, se si trovano di fronte a delle difficoltà, di qualsiasi tipo, soprattutto di minutaggio, non hanno la necessità di mettersi a lavorare in palestra per riottenere la fiducia del coach, e li capisco, ma piuttosto chiamano il proprio procuratore, il quale la jones nnoko pesaromattina dopo gli mette sul tavolo 4-5 offerte di team di Serie A che sarebbero pronti ad offrirgli un contratto. Viceversa, se uno straniero gioca poco la domenica, o sputa sangue sul campo la settimana successiva e dimostra all’allenatore quel che vale oppure può anche essere che nel giro di niente nel caso venga tagliato, perché un americano migliore di quello o dello stesso livello è facilmente reperibile.

 

E se si passasse al 7+5 davvero diventeremmo la D-League, come hanno detto per esempio alcuni atleti italiani?

Già oggi la differenza tra comunitari e americani è molto labile perché, con questi doppi passaporti facilmente ottenibili, moltissime squadre hanno sette giocatori USA che però hanno ottenuto la cittadinanza ungherese o polacca. Per quanto riguarda la D-League, hanno pienamente ragione sotto un certo punto di vista: la “guerra” oggi è italiani contro americani, e in questo caso è difficile dar torto agli azzurri, perché spesso si vedono stranieri giocare solo per le statistiche e non avere alcun attaccamento alla maglia. Il problema sta nel numero di extracomunitari: la Lega che funziona meglio in Europa ora è l’ACB e anche lì hanno sette stranieri e cinque spagnoli, ma gli extracomunitari sono solo due, per il resto devono prendere giocatori europei o Cotonou. Lì i club però hanno capito, a differenza nostra, che per andare avanti devi saper integrare giocatori spagnoli ed europei, nati per davvero in Lituania, Polonia, Ungheria… E non dobbiamo pensare che nella penisola iberica girino in tutte le società cifre pazzesche perché Manresa, Fuenlabrada o Obradoiro hanno più o meno gli stessi soldi di Capo d’Orlando. Quindi, secondo me, dovremmo pensare di più ad una pallacanestro europea, fatta di giocatori formati nel nostro continente, che sappiano giocare a basket e non solamente schiacciare, ed unificare la mentalità di giocatori italiani ed europei perché, per me, tra Iannuzzi e Stojanovic non c’è alcuna differenza: parlano la stessa lingua, dentro e fuori dal campo. In questo contesto sono completamente d’accordo: riduciamo il numero degli americani ma portiamoli bravi! Perché chi viene da quindicimila chilometri di distanza è normale che abbia poco attaccamento, ecco perché deve fare la differenza, mentre un ragazzo balcanico, e qui io ne ho davvero tanti, è legato alla maglia che indossa quanto un italiano.

 

Milano è troppo più forte di tutti e questo si sa. Ma pensi che Avellino o Venezia possano darle fastidio, soprattutto se gli Irpini riuscissero davvero ad inserire a roster un top player come David Logan?

logan sassari

Certo che possono. Noi abbiamo affrontato Venezia due domeniche fa e devo dire che gioca una pallacanestro fantastica, di grande solidità, pure senza Tonut, e Avellino è davvero tostissima. Poi, se dovesse aggiungere davvero David Logan, sarebbe un’avversaria ostica, con una mina vagante in più come l’ex Sassari. Giorgio Buzzavo (ex presidente della Benettor Treviso ndr.), in un’intervista di qualche giorno fa, ha perfettamente c’entrato il punto sul discorso Olimpia: ha un budget talmente più alto rispetto alle altre, che è costretta a vincere, senza possibilità di errore. Però alla fine con i soldi compri i giocatori, non le vittorie, ed è con quelle che alzi i trofei… Milano è indubbiamente la più forte, però non è detto che in una serie a sette con la Reyer o la Scandone, su campi caldi come quello veneto e quello irpino, vinca sicuramente.

 

Il motivo per cui l’Olimpia è di un altro pianeta è anche legato al fatto che alcune società hanno dovuto cambiare i propri piani in corso d’opera, e mi riferisco a quelle squadre che sono state estromesse dall’EuroCup per volere della FIP. Cosa ne pensi di questo pugno di ferro della Federazione e credi che dall’anno prossimo le cose torneranno come prima e alcuni nostri team saranno ai nastri di partenza della seconda competizione Eca?

Credo che l’intento federale sia quello di tornare a giocare tutte le competizioni europee e sostanzialmente credo sia giusto così perché Trento, Sassari e Reggio Emilia sarebbero state più forti se avessero potuto disputare l’EuroCup, avrebbero avuto anche un appeal maggiore.

 

Ultima domanda: cosa ne pensi del possibile allargamento della Serie A a 18 squadre con doppia promozione e doppia retrocessione? Non ci sarebbe anche il rischio di trovarsi di fronte ad un aumento di fallimenti, visto che negli ultimi anni molte squadre ci hanno abbandonato per problemi economici?

Sono abbastanza positivo perché giochiamo troppo poco: in otto mesi giochiamo solamente trenta partite. E questo non è un bene, banalmente avere due partite in più in casa ci permetterà anche di avere un maggiore incasso da botteghino, oltre che visibilità e sponsorizzazioni superiori. Chiaramente questo porterà ad avere una doppia retrocessione dalla Serie A all’A2, che è una cosa che teoricamente dovrebbe far preoccupare Capo d’Orlando, ma io sono ben consapevole che nel giro di quattro-cinque anni potremmo perdere la categoria e non sarebbe un dramma nemmeno per i tifosi paladini. La doppia promozione però vorrebbe dire avere una possibilità in più di poter risalire nel giro di un paio di stagioni: oggi andare in LBA è quasi come vincere al Lotto. Per quanto concerne i possibili fallimenti, credo che negli ultimi cinque anni la situazione della pallacanestro italiana sia nettamente migliorata: cinque o sei estati fa ci furono trenta fallimenti tra le Serie A e la B. Oggi ci sono sicuramente pochi soldi, ma se hai un tot e spendi un tot. Va bene così, l’importante è non fare il passo più lungo della gamba. Oggi come oggi in A2 vedo un buon numero di realtà che potrebbero giocare una dignitosa Serie A e noi siamo l’esempio che, senza budget da decine di milioni, ci si possa comunque togliere delle soddisfazioni, anche se non si deve dimenticare il passaggio dal regime dilettantistico a quello professionistico a livello fiscale. In sintesi, credo che alla lunga forse potrebbero essere un problema la doppia retrocessione e la doppia promozione, ma non oggi, perché in A2 stanno facendo le cose per bene, soprattutto a livello di controlli, e questa è garanzia di successo e continuità, in un campionato piacevole.

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