Houston-Golden State, le pagelle: la perdita di Paul condanna i Rockets, decisivi Green e Thompson a sostegno di KD

NBA

Houston Rockets

James Harden, 6: i Rockets sono senza ombra di dubbio Harden-dipendenti. Gara 1 è stata la sua migliore prestazione individuale di questa serie, con 41 punti a referto, 7 assist e il 58% dal campo. Tende spesso ad incaponirsi contro le trappole difensive di Golden State, forzando troppe situazioni e cercando di entrare in ritmo anche quando non c’è proprio niente da fare (9/24 in gara 2 e 5/21 in gara 5). In difesa viene ripetutamente cercato da Curry e Durant, mancando non solo in pigrizia, ma spesso anche sbagliando le letture e le scelte (o le rotazioni). Come sempre si rifugia in lunetta quando non riesce a sbloccarsi al tiro (88,5% su più di 7 tentativi a partita), jolly che gli permette di arrotondare il tabellino Chiude solo una volta sotto quota 20 (3 volte sopra i 30 punti, chiude a 28 di media). Purtroppo non ha ritrovato il feeling dall’arco, perché escluso il 5/9 di gara 1, manda ai registri un pessimo 24% al termine di queste finali, macchiato dallo 0/11 di gara 5.

Chris Paul, 7: una serie che non potrà non essere ricordata per l’ennesimo infortunio che gli ha negato la gioia di giocarsela fino alla fine. La prima apparizione alle Finali di Conference di Paul non ha smentito quanto già sapevamo su di lui: un giocatore capace di entrare nella partita e deciderne le sorti, trascinando da vero leader i suoi compagni come fatto in gara 4 (27 punti totali, 3 triple nel secondo quarto) e gara 5 (18 punti e 6/11 al tiro nel secondo tempo). Il copione è sempre lo stesso: qualche difficoltà iniziale a trovare confidenza al tiro, salvo poi dominare e mettere a segno canestri pesanti e giocate decisive. Quando comincia a giocare palla in mano l’attacco di Houston gira in modo più efficiente, ma in gara 1 paga un avvio zoppicante, così come in gara 3 con 5/16 dal campo. In difesa è aggressivo, si batte come un leone e quando capita su Durant, Green o Thompson in post basso non si tira di certo indietro.

Clint Capela, 6,5: dopo le sfide dominate contro Towns e Gobert, coach D’Antoni si ritrova costretto a dover centellinare il minutaggio del suo centro (sotto i 30 di media, seduto in panchina nei finali punto a punto, come in gara 4). Capela soffre offensivamente la scelta di Golden State di volerlo escludere dai giochi: appena 8.7 punti di media, il dato più basso di questi playoff, se si esclude la prestazione da 20 punti (9/10) di gara 7. Riesce comunque a essere determinate in difesa: non avevo mai visto un centro di queste dimensioni inseguire sul perimetro giocatori del calibro di Curry e Durant e riuscire a tenere più palleggi, annullando di fatto un possibile vantaggio per i due giocatori citati. Il suo gioco verticale gli permette di essere un fattore a rimbalzo, voce alla quale chiude a quasi 11 di media, e anche di agire come suo solito da rim protector.

Trevor Ariza, 5,5: serie dai due volti per il giocatore ex-UCLA. In attacco continua a faticare al tiro, ma riesce a dare il suo contributo quando è più necessario: dopo una gara 1 chiusa con 3/8 al tiro, apre le danze con 6 punti consecutivi nella vittoria di gara 2, chiudendo con 19 (7/9 dal campo) e 6 assist. Purtroppo non riesce a ripetere più una prestazione offensiva determinante (solo gara 4 sopra il 40% al tiro), chiudendo la serie con il 20% da tre punti al termine di un disastroso 0/9 in gara 7. In difesa non si può criticare il suo rendimento: mani veloci, aggressività sui cambi e un buon uso del corpo per reggere come può i mismatch contro Durant.

Eric Gordon, 7: prima dell’infortunio di Paul era il giocatore più determinante dalla panchina, capace di spaccare la partita e dare una forte alternativa in attacco al duo CP3-Harden. Decisivo il suo impatto in gara 2, dove con 27 punti e 6 triple su 9 a referto ha trascinato i Rockets alla vittoria. Nonostante le percentuali al tiro di gara 4 e 5, rispettivamente 4/14 e 6/15 dal campo, ha giocato due ottime partite, chiudendo in entrambi i casi le due sfide con alcuni canestri fondamentali. Con l’assenza di CP3 è stato costretto a diventare la seconda opzione offensiva, mancando forse in termini di costanza, ma di sicuro non per forza di volontà.

 

P.J. Tucker, 7: uno dei giocatori rivelazione di questa serie. Tucker è sempre stato un buon difensore, ma in queste partite contro i Warriors è riuscito a salire di livello: utilizzato come “5” tattico per aprire il campo, si è spesso confrontato in difesa su Green e/o Durant dall’alto dei suoi 198 centimetri, senza mai sfigurare grazie a intensità e/o aggressività. In gara 2 si è scatenato nel primo tempo, realizzando 14 punti (su 22 totali) e chiudendo 4/4 dagli angoli, la specialità della casa. Il brutto esordio in gara 1 è stato cancellato da un’ottima prestazione nel corso della serie (14 punti, 12 rimbalzi e 4 rubate in gara 7), dove ha contribuito con 9 rimbalzi di media, catturandone addirittura 16 in gara 5.  

P.J. Tucker ha tirato con più del 50% dagli angoli in questi playoff. (http://www.austinclemens.com)

Gerald Green, 5,5: il suo compito era quello di sfruttare al massimo i pochi minuti che avrebbe avuto a disposizione: complice l’infortunio di Paul, in gara 6 conquista molto più spazio sul parquet (26 minuti in campo rispetto i 16 di media delle precedenti sfide) e in tutta risposta mette a referto 11 punti, tirando 3/4 dall’arco. Green è per definizione un giocatore incostante, che si fa condizionare emotivamente dall’andamento della partita: nelle tre gare vinte ha fatto registrare un NET Rating di 26.6 punti, mentre nelle 4 sconfitte ha chiuso a -18.3.

Mbah A Moute, Ryan Anderson: s.v.

Coach D’Antoni, 6: una serie persa a gara 7 non può cancellare quanto di buono fatto dai Rockets in questi playoff. D’Antoni è riuscito a costruire un sistema difensivo di primo livello, che ha saputo mettere in crisi una delle migliori squadre degli ultimi 20 anni, nonostante le risicate rotazioni (6+Gerald Green). La scelta di cambiare su ogni blocco ha pagato grazie allo spirito di sacrificio dei suoi: l’infortunio di Paul sa di beffa per questa squadra, arrivata ad un passo da un risultato storico dopo una stagione da dieci e lode. Dopo gara 1 ha saputo dare più dinamicità all’attacco “off the ball”, tenendo così impegnati i difensori in aiuto, e la sua scelta di giocare con PJ Tucker da “5” per allargare il campo ha messo non poco in difficoltà i Golden State.

 

Golden State Warriors

Kevin Durant, 8: in queste Finali di Conference KD ha giocato a un livello incredibile. Tre volte sopra i 30 punti, come in gara 1 e gara 2: entrambe chiuse sopra il 50% al tiro (addirittura 59,1% nella seconda sfida, 73% di True Shooting), entrambe giocate da vero trascinatore sul campo. Ha sfoderato alcune prestazioni irreali, segnando qualsiasi cosa e in qualsiasi modo: in penetrazione, dalla media, dall’arco, in fade-away, dal post, con due o più mani addosso. Se ci fermiamo ai dati statistici, cala di rendimento nelle due sconfitte in gara 4 e 5, ma una delle sue doti più clamorose è quella di saper segnare quando conta, nei momenti in cui l’attacco non gira e Houston riesce a limitare i danni sugli altri. Chiude la serie con 5 canestri su 11 dall’arco, 34 punti e la consapevolezza di essere pronto per andare a conquistare il secondo titolo nba.

Steph Curry, 7: il suo rendimento altalenante spiega tutte le difficoltà incontrate contro Houston (senza voler togliere i meriti di questi Rockets). All’esordio tira malissimo da tre, con appena 2 conclusioni su 13 a referto: trova il modo di tornare utile, attaccando il ferro e distribuendo 15 assist in due partite. Una cosa è lampante però: quando si accende non ce né per nessuna difesa. In gara 3 mette a segno 18 punti e 7 canestri in fila nel terzo quarto, così come in gara 4 quando realizza 17 punti e converte 5 canestri dall’arco. E’ la vittima preferita dell’attacco avversario, ma grazie agli aiuti dei suoi compagni si sbatte in difesa e soffre meno di quanto si possa immaginare (appena 3 volte sopra i 100 punti di Defensive Rating, solo una volta in caso di sconfitta). Due annotazioni: in gara 6 chiude con un NET Rating di +42, ma servirà trovare una certa costanza al tiro e di rendimento all’interno della gara per affrontare le Finals, senza “limitarsi” ad alcuni tratti di dominio assoluto.

Klay Thompson, 7,5: il giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero avere nella proprio squadra. Non forza mai un tiro, non è mai sopra le righe e mette in campo una prestazione a 360 gradi in tutte e 7 le gare. L’incredibile impatto avuto in gara 6 è solo la ciliegina sulla torta: 35 punti, 9/14 dall’arco (76% di True Shooting) e comunque un’ottima partita a livello difensivo, con 4 palle rubate e 80 punti di Defensive Rating. In gara 2 incappa in una brutta serata al tiro (3/11), ma è l’unica partita in cui non tocca quota 10 punti, solo un’altra volta sotto il 40% dal campo. Thompson chiude le Finali di Conference con una precisione chirurgica da tre punti, con quasi il 50% dopo queste 7 sfide con i Rockets.

 

Draymond Green, 7,5: questo è il secondo giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero nella propria squadra, con qualche riserva per quanto riguarda il carattere forse, ma con uno spirito di sacrificio di rara qualità. In difesa è sublime il lavoro che opera ai danni di Capela, escludendolo dalla serie e chiudendo l’area con ottimi aiuti, taglia fuori e ottime letture in anticipo. La sua è una prestazione totale: miglior assistman della squadra con 6.7 di media (9 in gara 1 e 6), termina la serie con 2 rubate e quasi 2 stoppate a serata, producendone 5 in gara 6. La sua grinta e la sua fisicità caricano sempre la squadra e nonostante le percentuali dal campo siano “deludenti” (solo due volte sopra il 45%), è il collante di questi Warriors. Manda a segno appena 2 tentativi su 15 da tre punti in tutta la serie, ma la sua versatilità sui due lati del campo non si può quantificare.

Andre Igoudala, 5,5: una perdita più grave di quanto si possa immaginare. Le sue capacità difensive sono importantissime per Kerr, che può permettersi il lusso di avere a roster un giocatore così efficace nella propria metà di campo (defensive rating sotto i 100 punti in questi playoff). In gara 1 ha pagato dal primo quarto due falli fischiati contro, ma proprio in gara 3 sembrava essersi assestato, partita in cui avevo chiuso con 10 punti all’intervallo. Ha tirato pochissimo in queste tre partite, ma si è sempre fatto trovare pronto, mandando a referto 11 punti grazie a ben 8 tiri dalla lunetta.

Kevon Looney, 6: in questa serie ha avuto diverso spazio sul parquet come primo cambio per coach Kerr. Harden e Paul lo hanno bersagliato per tutta la serie, cercando il cambio per sfidarlo in isolamento: le statistiche ci dicono che è stato tra tutti il giocatore più solido in difesa (91.7 di Defensive Rating in quasi 20 minuti di media) grazie alla sua velocità di piedi ed al controllo del corpo. Di sicuro in attacco ci sono ancora tante cose da migliorare, come il gioco in post e il fatto che sia piuttosto limitato quando deve creare dal palleggio, ma aggiunge alla causa 5 rimbalzi di media e sembra essersi ritagliato il suo spazio all’interno delle rotazioni di Golden State.

Shaun Livingston, 6: la sua atipicità è da sempre una carta a suo favore. In gara 3 entra dalla panchina e gioca subito 3 possessi in post basso contro Paul e Gordon, mentre nella partita successiva sfodera un’ottima prestazione difensiva, anche perché in attacco perde 4 palloni e non riesce a dare una mano ai suoi nella rimonta da parte dei Rockets (64 punti di Offensive Rating, dato pessimo). Resta un’ottima alternativa dalla panchina per mantenere comunque alto il livello in difesa e costringere i Rockets a vigilare ai suoi tagli sulla linea di fondo e alla sua capacità di concludere al ferro dal post.

Nick Young, 5,5: in questa serie Swaggy P si è preso un solo tiro che non fosse da tre punti, su 21 conclusioni tentate. Il suo innesto dalla panchina è stato piuttosto positivo, soprattutto in gara 1 (9 punti), ma viene spesso coinvolto in difesa nei pick and roll da Houston.

Jordan Bell, David West, Quinn Cook: s.v.

Coach Steve Kerr, 7: la regola chiave in fase difensiva è stata quella di voler cancellare dalla serie Capela. La possibilità di disporre di giocatori così duttili gli ha permesso di riuscire a limitare il centro svizzero: alcuni passaggi a vuoto sono stati colmati da prestazioni eccellenti, nonostante bisogna ammettere che i Warriors abbiano particolarmente sofferto questa versione di Houston. Ha provato a cambiare l’inerzia aumentando le rotazioni e dando spazio a più giocatori dopo l’infortunio di Iguodala, ma ha raccolto solamente due sconfitte consecutive. La difesa dei Rockets ha messo in difficoltà il gioco di Kerr, che dipende ancora tanto dalla condizione emotiva e non di Curry, ma ha saputo innescare Durant e Thompson nei momenti chiave della serie.

Giovanni Aiello

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