Kevin Durant: “In NBA non esiste la lealtà”

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In NBA esiste davvero la lealtà di un giocatore verso una franchigia? La domanda è stata posta con insistenza a partire dalla scorsa estate, quando Isaiah Thomas è stato ceduto senza alcuno scrupolo dai Boston Celtics dopo essersi sacrificato, anche umanamente giocando i Playoffs il giorno dopo la tragica morte della sorella, per l’organizzazione. La trade che ha portato IT ai Cavs ha in un certo senso fatto ripensare a tutto il concetto di lealtà e fedeltà di un atleta verso una squadra, da un punto di vista ribaltato: perché un giocatore dovrebbe essere fedele quando una franchigia non si fa problemi a cederlo da un giorno all’altro per un’occasione migliore?

Sull’argomento è tornato anche Kevin Durant, probabilmente il più martoriato dai tifosi e dai media per la scelta di lasciare la sua franchigia storica, gli Oklahoma City Thunder, ed unirsi ai Golden State Warriors nell’estate del 2016. In una lunga intervista esclusiva a Bleacher Report, l’ultimo MVP delle Finals ha parlato del proprio addio a OKC:

Quelle persone [che fanno parte dei Thunder, ndr] significano ancora molto per me. Non mi importa se mi parlano o sono arrabbiati con me. Che sia Sam Presti, Troy Weaver, Russell Westbrook o Nick Collison. Oppure Wilson Taylor o Clay Bennett e la sua famiglia, gli voglio bene dal mio profondo del cuore. Non ci parliamo, ma magari un giorno lo faremo.

All’inizio non la pensavo così. Non quando sono tornato ad OKC l’anno scorso. Dicevo “Andassero tutti a f*****o”. Non la pensavo così quando hanno dato il mio numero ad un altro giocatore. Il mio miglior amico lavora ancora per i Thunder, gli ho detto “Andatevene a f*****o, f*******i tutti!”. Poi tutto questo mi è uscito dalla testa, mi sono detto: “Non è una cosa così seria, va in questo modo”. Capisco che quello non è più il mio numero di maglia, possono farci quello che vogliono, darlo ad un two-way player [PJ Dozier, ndr]. Ma alla fine sarà comunque appeso all’interno del palazzetto un giorno, quindi va tutto bene. Ho fatto qualcosa che non gli è piaciuto. Loro hanno fatto qualcosa che non è piaciuto a me. Queste s*******e succedono. Se fossi sul letto di morte, posso garantirvi che Sam Presti e Russell Westbrook verrebbero a salutarmi. Voglio vederla così piuttosto che nell’altra prospettiva.

Poi sulla questione della lealtà in NBA:

Non c’è alcuna lealtà in NBA. Vediamo il tradimento in modi diversi, ma è una delle cose più sottovalutate di questo gioco. Gridiamo lealtà, ma non ce la aspettiamo da chi firma gli assegni perché loro firmano gli assegni. La gente dice: “Dovresti fartelo andare bene perché ti pagano”. Mi piaceva di più quando ero ingenuo a proposito del business NBA. Andava meglio… Se metti i soldi e gli affari dentro qualcosa di puro, quello andrà a farsi f*****e.

Per leggere l’intervista completa, ecco il link a Bleacher Report.

Francesco Manzi

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