La carriera di Kevin Garnett tra risse, offese, rituali, vittorie e rivalità

Home NBA News

kg

In molti lo hanno amato. Tanti altri lo hanno odiato. Chi, come me, lo ha profondamente amato nel bene e nel male, oggi è in lutto. Ricordo la mia prima canotta NBA quando ero un bambino, numero 5, verde brillante, “Celtics” avanti, “Garnett” dietro. Kevin Garnett ha sempre diviso gli appassionati, si è spesso reso protagonista di gesti rivedibili, spesso ha esagerato, ma è sempre stato un uomo vero, senza peli sulla lingua, un giocatore che non si è mai risparmiato, che ha dato tutto se stesso ed ha giocato gli ultimi 2 anni in pessime condizioni fisiche, ma a spingersi oltre i propri limiti si era già abituato diversi anni fa.

Kevin Garnett ha dato tanto al basket e alla NBA, non solo a Celtics e Timberwolves. Lo sottolinea anche Bleacher Report contando che dopo 21 (!) stagioni in NBA ha passato 7759 giorni nella lega, “solo” 6979 fuori. D’altro canto anche la lega ha dato tanto a KG visto che è attualmente il giocatore che più è stato pagato nella storia. Ma di lui non ricorderemo le statistiche, i numerosissimo record, ne i suoi contratti. Sarebbe troppo riduttivo per uno che ne ha sempre combinata una in più del diavolo e che si è sempre distinto.

Trash Talking

E’ senza dubbio la prima cosa che ricorderemo di Kevin Garnett. La continua parlantina, perennemente nel tentativo di innervosire l’avversario, i soffi nelle orecchie di David West, il tentato morso e Joakim Noah, le testate e le piccole scorrettezze che più di ogni altra cosa descrivono lo spirito competitivo di Kevin Garnett. A onor del vero, ricorderemo abbastanza facilmente anche le esagerazioni: “Tua moglie sa di Cheerios” a Carmelo Anthony quando il suo rapporto con la moglie non era idilliaco o la testata a Dwight Howard o “Charlie Villanueva è cancerogeno per la lega e per la sua squadra”.

La rivalità con Tim Duncan

Due giocatori favolosi, stesso ruolo, impatto simile ma caratteri e approcci completamente diversi. Probabilmente Duncan, in tutte le partite giocate in carriera, avrà aperto la bocca meno volte di quanto KG lo abbia fatto in un singolo match e questo basterebbe ad evidenziare le enormi differenze tra i due. Si sono rispettati per 20 anni, ma KG non amava Tim e viceversa (per citare Federico Buffa: “Kevin Garnett odia tutti, Tim odia uno solo: Garnett”). Rimarrà alla storia una delle più grandi esagerazioni di Garnett, della quale volutamente non abbiamo parlato prima. E’ il giorno della festa della mamma, Tim Duncan, rimasto senza madre a 14 anni, va in lunetta. Non tarda ad arrivare l’incoraggiamento di Garnett: “Buona festa della mamma”. TD non ha neanche risposto, ammesso che ci fosse il bisogno di sottolinearlo.

I Big Three

Dopo esser stato scelto dai Timberwolves ed essersi presentato alla lega nel migliore dei modi, si è trasferito in quel di Boston al fianco di Paul Pierce, Ray Allen e Rajon Rondo formando una delle squadre più forti degli ultimi anni. Per loro un titolo nel 2008 ed una gara 7 di finale persa nel 2010 per mano di Kobe e i Lakers. Kevin Garnett era il leader emotivo e difensivo di una squadra che faceva della durezza, dell’orgoglio, dell’organizzazione e della difesa i suoi pregi, l’habitat perfetto per KG insomma. Peccato per come sia finita: Ray Allen lasciò la squadra con un anno di anticipo rispetto a Pierce e KG e per questo fu considerato dal #5 un traditore, tanto da non esser degno di un saluto.

Le interviste

Non solo in campo, anche davanti ai microfoni Garnett si è sempre fatto riconoscere, inimitabile anche in questo. Una volta suggerì a Craig Sager di bruciare il suo vestito, un’altra volta chiamò grasso Rasheed Wallace, che sarebbe poi diventato suo compagno, un’altra ancora affermò “In NBA non sopravvivi se ti comporti come un bravo ragazzo, se al posto di parlare sussurri. Per sopravvivere così tanto tempo in NBA devi essere uno stro**o”

L’eleganza in post

E si, perchè prima ancora di essere un personaggio più unico che raro, Kevin Garnett è stato una delle migliori ali grandi nella storia del gioco. Con la palla tra le mani in post basso era in grado di fare qualsiasi cosa vista la visione di gioco che aveva, la tecnica, la capacità di mettere palla a terra, il fade away. Straordinari i suoi duelli in post basso contro Gasol nelle finali del 2008 e nei primi anni 2000 con Tim Duncan. La caratteristica che più colpisce del suo gioco in post è l’eleganza in netto contrasto con potenza, grinta e fisicità grazie alle quali eccelleva in altri aspetti del gioco. 

Il battibecco con Doc Rivers

Un giorno Doc Rivers proibì a Garnett di allenarsi, probabilmente a causa di un fastidio fisico. Come ben saprete, Garnett si è allenato ogni giorno della sua vita (Una delle sue frasi più celebri: “Esisterà sempre qualcuno che si allenerà più di te, quel qualcuno sono io”) e come ben potete immaginare non accettò la decisione del coach. Si mise e fondocampo, imitando tutti i movimenti dei suoi compagni tanto da distrarli e mandare su tutte le furie Doc. Allenamento sospeso con Rivers che esce dalla palestra urlando “Tutti a casa! Sarai contento ora Kevin?”.

La difesa e i rimbalzi

Quella dei Celtics di Thibodeau e Garnett è stata probabilmente una delle migliori difese nella storia del gioco, merito di tutti i suoi componenti, del suo ideatore, ma soprattutto di KG in grado di difendere in ogni parte del campo, quasi su tutti i tipi di giocatore. Come dimenticarsi gli schiaffi sul parquet o i rimbalzi che attentavano all’integrità della palla? Un vero difensore che faceva di tutto per evitare che la palla entrasse nel suo canestro anche a gioco fermo.

Il rituale pre gara 

Testa poggiata sul sostegno, si sistema i pantaloncini in religioso silenzio, poi sbatte la testa più volte al sostegno e si scende in campo. Sicuramente è uno dei rituali più famosi dell’intera lega, ma di Kevin Garnett ricordiamo anche altri gesti divenuti simbolo della sua personalità, come per esempio i piegamenti fatti sui pugni nel mezzo di una gara 3 a dir poco fondamentale contro i Miami Heat.

“Anything is possible”

Se però dovessi scegliere un solo momento per descrivere al meglio The Big Ticket, sceglierei sicuramente il momento immediatamente successivo alla vittoria del suo primo e purtroppo unico anello. Un lottatore, uno che non è mai apparso emozionato davanti alle telecamere, un uomo troppo orgoglioso e duro per far trapelare i propri sentimenti in mondovisione si rende conto di esser giunto in vetta e libera tutta la sua gioia in un urlo: “Anything in possible”.

Grazie a Kevin Maurice Garnett, nel bene o nel male, giocatore e uomo unico, mai più ripetibile. 

Luca Diamante

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.