La difesa dei Cleveland Cavaliers

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“Attitude comes first. We gotta have guys who are gonna believe in our mission, who are gonna believe in what we wanna do. Once they believe, then we can teach them the technique. It all starts with our mindset.”

L’atteggiamento e la mentalità prima di tutto.
Risuonano più che mai attuali e focused le parole di coach Martin di qualche giorno fa in risposta alla (splendida) domanda di un bambino reporter (già famoso per questo scambio di battute con coach Calipari a novembre… e il Calippo è sembrato divertito ancorché stimolato) su cosa fosse più importante in difesa, se la tecnica o l’atteggiamento.

Attuali anche in NBA, perché in fondo se in NCAA è March Madness, è stato un marzo pazzerello anche per The League e soprattutto per i campioni in carica, i Cleveland Cavaliers. Dopo un paio di mesi nei quali il dominio della Eastern Conference ha continuato indisturbato, il mese di gennaio (record 7-8, primo mese con record negativo per LeBron James da Febbraio 2006) e questo mese di marzo hanno incrinato le certezze dei Cavs che dalla pausa dell’All Star Game hanno un record di 8 vittorie e 10 sconfitte e si sono visti superare in classifica dai Boston Celtics (mentre Washington e Toronto sono a una gara e mezzo e due gare e mezzo di distanza rispettivamente). Se l’attacco è comunque saldamente nella top-3 della Lega (113.7 punti su 100 possessi), la difesa è l’aspetto più preoccupante di questa di stagione, esacerbato nettamente in quest’ultimo periodo. E il più delle volte è proprio un problema di attitude, di mindset.

Defense wins Championship

Quante volte nello sport, e soprattutto nella pallacanestro, avete sentito pronunciare questo noto brocardo. Premesso che difficilmente una squadra che latita in attacco poi arriva a metà giugno a guardare tutti dall’alto in basso e che è impossibile scindere le due metà campo del Gioco di squadra per eccellenza che va analizzato sempre nella sua totalità, vediamo quanto è veritiero questo concetto per cui molti coach e addetti ai lavori letteralmente vivono (e muoiono) prendendo come riferimento la graduatoria degli attacchi e delle difese, basati ovviamente su punti per 100 possessi (fatti e concessi), delle franchigie che poi hanno vinto il titolo a fine stagione:

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Nel lasso di tempo analizzato, la squadra campione NBA ha avuto come rating offensivo medio 101.24 punti su 100 possessi e come rating difensivo medio 94.13 punti su 100 possessi. La finalista perdente invece ha registrato in attacco 101.66 su 100 possessi e in difesa 95.38 punti concessi su 100 possessi.

Detto che non c’è una rilevanza statistica così significativa, balza subito all’occhio come la media del ranking difensivo sia più alta di quasi due posizioni e mezzo, solo una squadra negli ultimi 14 anni (i Miami Heat di Wade e Shaq) è riuscita a portare a casa l’anello essendo sotto la 10° posizione nel rating difensivo (rispetto alle 4 per il rating offensivo) e che 10 squadre su 14 sono state nella top-5 di questa classifica. Inoltre è curioso notare come la media del rating offensivo dei campioni NBA degli ultimi 14 anni (101.24 punti su 100 possessi) è addirittura più bassa, quindi peggiore (anche se solo di 0.42) rispetto alla finalista perdente (101.66 su 100 possessi) e la media del rating difensivo (94.13 punti concessi su 100 possessi) è più bassa, quindi migliore, di 1.25 punti per possesso (95.38 punti concessi su 100 possessi per la finalista perdente).

La difesa dei Cavs nei Playoffs 2016

I Cavs campioni NBA 2016 hanno concesso 104.5 punti su 100 possessi in regular season, 10° in tutta la Lega. Come hanno fatto, visto il risultato appena sopra la mediocrità, a vincere contro quella macchina offensiva da 73 vittorie (12° rating offensivo nella storia NBA, 1° nella storia per eFG%, percentuale effettiva dal campo con 56.3%) a nome Golden State Warriors 2015-2016?

Dopo aver passeggiato senza troppi patemi nella Eastern Conference, i Cavs hanno denunciato le prime carenze difensive in gara 3 e gara 4 della finale di Conference contro i Raptors (fatti a pezzi da Lowry e DeRozan, 140 e 129 punti su 100 possessi rispettivamente), i quali hanno cominciato a coinvolgere il più possibile nei pick and roll Irving e Love, sfruttando poi con le penetrazioni la relativa pericolosità e intimidazione di Tristan Thompson come rim protector (54% concesso al ferro, non proprio Rudy Gobert) e i cambi difensivi portati con poca attitude o poca precisione (o spesso entrambe) per liberare i tiratori dal perimetro.

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La posizione e l’esecuzione di Irving e Love è, per usare un eufemismo, pessima e a Lowry basta andare dalla parte opposta rispetto a dove viene portato il blocco di Scola e affrontare, senza troppi timori, Thompson al ferro.

Nei Playoffs 2016 Irving e Love coinvolti nel pick and roll, secondo SportVU, hanno concesso 120 punti su 100 possessi, penultimi tra le 119 coppie di difensori che hanno difeso questa situazione almeno per 250 possessi nella regular season (solo Ryan Anderson e Jrue Holiday hanno fatto peggio).

Nelle prime due partite contro Golden State, i Cavs non sono riusciti mai a cambiare efficacemente sui blocchi (unica arma difensiva contro la pericolosità di Steph, Klay e soci e di un set offensivo fatto di continui tagli e blocchi lontano dalla palla), sia tecnicamente che soprattutto mentalmente a causa di mancanza di concentrazione, comunicazione e intensità che quell’attacco così dinamico (e in generale il Gioco del basket) richiede per essere affrontato e per provare a limitarlo laddove possibile.

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A Golden State basta essere attiva sia sul lato forte (pick and roll Curry-Green con cambio difensivo) che sul lato debole (pindown di Bogut per Thompson) e creare così tanta confusione da far perdere ai Cavs Iguodala solo sotto canestro.
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A volte basta invece una distrazione su un semplice taglio senza nemmeno un blocco consistente per liberare Barbosa per un comodo appoggio.

In gara 3 invece l’atteggiamento è cambiato (in primis quello di LeBron), con presenza costante sulle linee di passaggio e vorticose rotazioni sui blocchi (fondamentale in questo senso Richard Jefferson in modalità Shane Battier dei Miami Heat, capace di cambiare con efficacia e di “sporcare” la partita con le intangibles), uscite sugli scarichi tempestive e continui aiuti puntuali, tali da mandare fuori ritmo gli Warriors. In più l’assenza di Love per la commozione cerebrale rimediata in gara 2 ha permesso a Tyronn Lue di sperimentare quintetti più piccoli e atletici (per togliere Irving, attaccato sistematicamente e portato al centro dell’azione, dalla marcatura su Curry) in stile OKC nelle finali di Conference (anche se con meno centimetri, chili e cazzimma) e sdoganare LeBron da “libero difensivo” quando è su Iguodala o Barnes e da numero 4 quando è su Draymond Green.

Sul 2-1, nonostante la sconfitta in gara 4 e nonostante il rientro di Love, i minuti insieme di quest’ultimo e di Irving sono calati, Steph è stato costantemente raddoppiato (e in difesa attaccato pedissequamente proponendogli lo stesso trattamento che lui riservava per Irving, costringendolo a spendere energie preziose che poi sono mancate nel trovare ritmo in attacco) e LeBron ha continuato a giocare “nella zona” di Green (portando alla squalifica, polemiche a parte, decisiva di gara 5).
Le tre partite finali della serie sono la Cappella Sistina personale di LeBron James, il capolavoro di un condottiero che ha cambiato mentalità ai suoi (Kevin Love in gara 7 ha contestato 9 tiri, tra cui la tripla finale di Curry) e ha concesso a uno degli attacchi migliori di sempre “solo” 108.5 su 100 possessi (che cala a 100.1 nelle 4 partite perse), lasciando gli Splash Brothers a 103.5 punti su 100 possessi combinati, 15 punti in meno della loro media stagionale.

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Love giustifica così le sue NBA Finals, scivolando efficacemente contro il miglior tiratore di sempre e contestandogli il tiro nel momento decisivo della partita.

Il calo drammatico nel 2017

Quest’anno la difesa dei Cavs concede 111.0 punti su 100 possessi, 22° nella Lega (solo Portland, tra le squadre che attualmente disputerebbero i Playoffs, fa peggio) ma se scorporiamo il dato, dal 1° gennaio i Cavs sono i 26° (113.3 punti concessi su 100 possessi) e dalla pausa dell’All Star Game sono addirittura 29° (116.9 punti concessi su 100 possessi, solo i Lakers, in pieno tanking, in questo periodo hanno fatto peggio).

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Impietosi i dati sui recuperi, che portano a pochissime palle perse avversarie, e sugli assist e rimbalzi offensivi concessi.

La franchigia ha spiegato queste difficoltà prima come sintomo dei numerosi infortuni, successivamente come mancanza di familiarità a causa dei molti nuovi arrivi via trade e infine come causa del logorio della regular season.
La verità è che come sempre i Cavs si stanno risparmiando in regular season potendo contare sul dominio recente a Est ma sembra difficile che in ottica Playoffs si possa schiacciare un ideale bottone e fare due (se non tre, ma anche quattro) giri di vite difensiva (cosa che forse solo LeBron può fare), perché i problemi mostrati finora sono chiaramente di mindset e non si può pensare di risolverli focalizzandosi schematicamente su un singolo avversario o con qualche giorno di riposo in più (cose che i Playoffs ti concedono).

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Cleveland mostra chiaramente come con l’atteggiamento giusto possa fare ottime difese: chiude l’area e restringe il campo, cambia con efficacia e ognuno aiuta chi a propria volta aveva aiutato precedentemente. Il risultato è un tiro da due, forzato e contestato mentre sta scadendo il cronometro dei 24 secondi.

Nell’attuale rotazione ideale Cleveland ha tanti pessimi difensori (Irving in difficoltà contro le point guard della Lega, Frye che offre poca protezione nel pitturato, Deron Williams, il Kyle Korver di questo momento… Love naturalmente, per cui però va tenuta aperta l’icona e fatto un discorso a parte), Shumpert ha visto ridurre il suo minutaggio e JR Smith non sta rendendo come nella scorsa stagione. Restano i soli LeBron (spesso con il freno a mano tirato nella propria metà campo) e Thompson che è un buon difensore ma in aiuto non è particolarmente efficace e contro i grandi centri fa molta fatica (e nel primo turno è probabile arrivi uno tra Drummond, Whiteside, Myles Turner o Dwight Howard) senza peraltro far desistere dal penetrare gli esterni avversari (cosa che potrebbe fare uno stoppatore come Larry Sanders).

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Detto che la posizione di LeBron è inaccettabile (soprattutto per uno come lui), l’aiuto di Thompson è pressochè nullo.

In attacco, nonostante giustifichi la sua presenza andando forte a rimbalzo offensivo (molto più rispetto a quando è impegnato a rimbalzo difensivo), rende le spaziature anguste ma un quintetto piccolo con Love o Frye da numero 5 è impraticabile a livello difensivo. Questo dilemma accompagnerà Tyronn Lue anche nell’imminente post-season.

I numeri del calo

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Drammatico il numero dei recuperi (e le palle perse avversarie) nel periodo post All Star Game.

Tutti i giocatori nel rating difensivo oscillano tra i 108 e 114 punti su 100 possessi, senza picchi negativi o positivi, segno di un problema generale di atteggiamento e mentalità.
La mancanza di durezza mentale e concentrazione si è tradotta in lacune nel leggere i tagli e i blocchi avversari, in ricezioni profonde vicine a canestro per gli attaccanti, in una cattiva transizione difensiva (con area scoperta e poca copertura a rimbalzo) e soprattutto in una pessima difesa uno contro uno, durante la quale i giocatori confidano troppo negli aiuti dei compagni o si trovano in situazione di overhelping, ovvero di aiuto portato dove non era necessario lasciando scoperto il lato debole.

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Gary Harris batte troppo facilmente JR Smith uno contro uno e gli aiuti non arrivano. In quell’area si arriva al ferro con estrema semplicità.

Ciò ha portato i Cavs a essere nella metà bassa della classifica di numerose categorie statistiche difensive:

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Nel periodo Post All Star Game, l’unico dato che è migliorato sono i punti concessi in contropiede. Degli altri, solo le stoppate e gli assist non sono peggiorati (pur restando sempre al 26° e al 29° posto). Il calo peggiore è nei recuperi, che dal 20 febbraio sono più di 2 in meno rispetto alla 29° squadra. Ciò si riflette sul numero e la percentuale di palle perse avversarie. Per tutte queste categorie Cleveland è al massimo 20° e ciò porta al tremendo rating difensivo di 116.9 punti concessi su 100 possessi, secondo solo a quelli dei Los Angeles Lakers.

La necessità di un cambio di atteggiamento (oltre che tecnico e di scelte) difensivo è ben evidenziata dalle statistiche delle hustle plays, traducibili con un po’ di semplicità in “giocate di energia”:
Deflections (deviazioni): 13.9 a partita (25°), 11.2 nel post ASG (30°).
Loose ball recovered (palle vaganti recuperate): 5.9 a partita (28°), 5.3 nel post ASG (30°).
Charge drawn (sfondamenti presi): 0.44 a partita (21°), invariati nel post ASG.
Contested shot (tiri contestati): 60.1 a partita (25°), invariati nel post ASG.

In aggiunta, Cleveland concede poco più di 7 tiri da tre dagli angoli (uno dei tiri più pregiati) a partita (24°), il 13.8% dei tiri da tre avversari sono open (con il difensore più vicino distante tra 1.20 e 1.80 metri) e il 13.5% sono wide open (con il difensore più vicino a oltre 1.80 metri di distanza). Per queste ultime due situazioni, che vanno a segno con oltre il 40%, i Cavs sono 23°.

Infine i Cavs sono ai margini dell’NBA nel difendere queste situazioni di gioco:
Transizione: 30°, 119 punti concessi su 100 possessi.
Pick and roll chiuso dal rollante: 26°, 108 punti concessi su 100 possessi.
Pick and roll chiuso dal palleggiatore: 29°, 91 punti concessi su 100 possessi (Kyrie Irving fa peggio del 79% della Lega, concedendo 96 punti su 100 possessi e quando è coinvolto come primo difensore, affronta questa situazione più di 5 volte a partita, ovvero sia nel 43,3% dei casi… un’enormità).
Handoff (passaggio consegnato): 29°, 109 punti concessi su 100 possessi.

E Kevin Love?

Riapriamo l’icona Kevin Love per notare un paio di cose interessanti: nonostante sia senza dubbio alcuno un difensore deficitario, che ha difficoltà a contenere sul pick and roll, a leggere i cambi e a difendere contro i piccoli, a proteggere il ferro e a “sporcarsi le mani” in difesa, secondo Synergy Sports quest’anno è nel 50° percentile o meglio in quasi ogni situazione di gioco (ovvero sia che in difesa fa meglio della metà degli altri giocatori NBA in situazione di pick and roll, spot up, post up, isolamenti e tiri off screen).

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Il suo rendimento prima dell’infortunio (due partite prima dell’All Star Game) può anche essere giustificato con prestazioni di squadra nettamente migliori rispetto all’ultimo periodo, come dimostrano anche i dati al suo rientro, figli del periodo negativo del roster completo.

Cioè sembra difficile a credersi, eppure Kevin Love concede 108.1 punti su 100 possessi (miglior rating difensivo della squadra) e il 46.1% del campo, secondo ESPN è 34° in tutta la Lega per Defensive Real Plus Minus (primo tra i Cavs) e con lui in campo calano drasticamente il rating offensivo (4.8 punti su 100 possessi, differenziale maggiore tra i suoi compagni di squadra che, a parte Thompson e LeBron, hanno un differenziale negativo) e le percentuali di rimbalzo degli avversari.

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Il calo netto delle percentuali di rimbalzo (2.7% offensivo e 8.4 difensivo) e del rating offensivo (4.8 punti per possesso) degli avversari quando Love è in campo.

Kevin Love non è diventato improvvisamente un fenomeno difensivo, però ha saputo, a partire dalla giocata finale di gara 7 contro gli Warriors (simile alla difesa contro John Wall nel momento decisivo dell’Overtime contro Washington, nella partita forse più bella della regular season, insieme a quella al Garden di Boston), applicarsi e migliorare, specialmente a livello di attitude, quelle che erano le sue lacune. Praticamente il passo indietro che i Cavs hanno fatta dalle ultime tre gare delle Finals della passata stagione.

Per questo LeBron recentemente è sembrato incazzato (non deluso, non frustrato… proprio incazzato) con i suoi compagni, che ha spronato a cercare di fare meglio in vista della post-season. La speranza per i Cleveland Cavaliers è che tutti seguano il percorso di Love e le parole del loro Re per tornare quanto meno a una difesa che possa competere a livello di Playoffs (cosa che in questo momento non è assolutamente).

Anche perché, andate voi a dirgli qualcosa. Io, contro uno così, non ci scommetterei mai.

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Fonti statistiche: nba.com (via Synergy Sports), basketball-reference.com, espn.com

Dati aggiornati al 29 marzo 2017.

Michele Manzini

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