La mancanza di giocatori di formazione nella Lega Italiana

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L’evoluzione del professionismo, la crescente globalizzazione, il cambio delle normative che regolano le formule dei campionati Europei ha portato indiscutibilmente ad alcune conseguenze che riguardano il gioco, il modo di costruire le squadre e lo sviluppo dei giocatori formati nelle varie nazioni.

Nel 1995 in Italia ogni squadra aveva due soli giocatori stranieri. Nel 2010 nella Virtus Bologna che allenavo gli stranieri in squadra erano 8 su 12 (Brett Blizzard italiano di passaporto, era americano di nascita e di formazione cestistica). In soli 15 anni il rapporto tra giocatori italiani e giocatori stranieri si è sostanzialmente capovolto. Oltre a questo, la diffusione di servizi di scouting e la presenza di internet nella globalizzazione del gioco e dell’insegnamento hanno profondamente modificato le modalità di costruzione e di gestione delle squadre. Vediamo di analizzare alcuni aspetti del cambiamento.

La Milano di Peterson fu protagonista degli anni ’80 (revolart.it)

La storia del campionato Italiano è stata una storia fatta di grandi cicli. Negli anni ’50, Milano vinse 8 scudetti in 10 anni, la grande Ignis Varese ne vinse 5 in 6 stagioni alla fine degli anni ’60, negli anni 80 di nuovo Milano vinse 4 scudetti in 6 stagioni e la Virtus Bologna 3 di fila ad inizio anni ’90. Ultima striscia vincente è stata quella di Siena con 7 titoli di fila negli anni dal 2006 al 2013, ma Siena merita un discorso a parte.

Il motivo delle vittorie ripetute era spessissimo il mantenimento della struttura di squadra. Sette, otto, nove giocatori rimanevano con lo stesso club per molte stagioni. Avevano modo di crescere e migliorare ed aiutavano i nuovi giocatori ad entrare in un sistema di gioco già consolidato. Gli stessi allenatori avevano la possibilità di costruire il loro modello di pallacanestro permettendo al gruppo di consolidarsi. In tal modo anche il giocatore giovane aveva il tempo di inserirsi accrescendo il proprio bagaglio tecnico pur già coinvolto in un contesto di alto livello. L’occasione di giocare, se l’impegno e la qualità del lavoro erano costanti, ci sarebbe stata.

In questo periodo il basket Europeo aveva una connotazione Nazionale ben delineata. Era decisamente riconoscibile un giocatore di scuola Italiana da un giocatore di scuola slava, o Russa ad esempio.

Il mercato Globale e la grande quantità di giocatori provenienti da esperienze formative e culturali differenti, ha imposto di fatto agli allenatori la necessità di predisporre un sistema di gioco quanto più possibile semplificato e fruibile in brevissimo tempo. Inoltre l’evoluzione del mercato ha anche prodotto cambiamenti repentini nei roster, aggiustamenti in corso d’opera e raramente i club hanno la pazienza di aspettare il consolidamento di un gruppo di lavoro. Allo stesso modo i giocatori hanno minor pazienza nel rimanere a lavorare nello stesso posto per diversi anni, mentre tendono ad andare alla ricerca di situazioni tecniche o economiche che facciano fare un salto di qualità nel modo più rapido possibile.

Una prima conseguenza di questo, è stata la spersonalizzazione del modo di giocare Europeo. Tutte le nazioni hanno la tendenza ad uniformare il proprio modello di gioco e di conseguenza la distinzione che prima era netta tra giocatori di nazionalità diversa si è andata perdendo.

Una seconda conseguenza è stata la minore formazione di giocatori autoctoni. La minor pazienza nell’aspettare lo sviluppo dei giovani e la conseguente diminuzione di giocatori di livello internazionale prodotti sul territorio. Un aspetto rilevante rispetto a questa problematica è anche legato alla formazione dei giocatori giovani.

La necessità di privilegiare i risultati di squadra allo sviluppo della squadra tramite miglioramento dei giocatori e la consapevolezza di dover rispondere alle richiesta continua di risultati nel breve termine ha determinato sovente la scelta di trascurare quegli elementi di sviluppo individuale necessari alla formazione di un ragazzo giovane a vantaggio di quegli aspetti del gioco che potessero essere immediatamente fruibili dal gruppo in termini di risultati immediati.

Se nei giocatori di livello molto molto alto (Gallinari, Belinelli, Datome, Bargnani, Gentile, Aradori, eccetera) le difficoltà sono state relative alla loro immediata produttività per le rispettive squadre, per quelli di discreto livello questa situazione sta portando ad uno sviluppo rallentato delle proprie potenzialità con conseguente scadimento del livello tecnico medio dei giocatori.

Coach Capobianco (www.sportnotizie24.it)

Se è vero che la Federazione Italiana Pallacanestro sta cercando di ovviare a questi deficit con un programma di alta qualificazione che, innestandosi in maniera radicata sul territorio e cercando di proporre fin dalle fasce di età più giovani progetti di sviluppo di altissimo livello, con la conduzione affidata a tecnici di altrettanto altissima qualità (Andrea Capobianco ad esempio), è altrettanto vero che ancora ad un innalzamento dei risultati delle nazionali giovanili a livello internazionale non corrisponde un aumento dell’utilizzo dei giovani giocatori italiani a livello di club.

Un caso lampante è la vittoria nel campionato Europeo Under 20 del 2013 e lo scarso utilizzo di quegli stessi giocatori nel campionato Italiano. Mentre in altre nazioni, già a 16-17 anni, i ragazzi sono protagonisti nei propri campionati di primo livello.

In conclusione, il momento storico e la scelta di globalizzare la pallacanestro ha portato a conseguenze diverse, come in ogni cosa, alcune positive ed altre meno positive. Se la produzione di giocatori è considerata un bene da coltivare in un movimento cestistico, la mia opinione è che oltre al grande sforzo per offrire una formazione tecnica di pregevole livello, ci debba essere poi un canale che apra opportunità di espressione per i giovani giocatori, perché senza confronto ad alto livello oltre un certo limite il miglioramento non può spingersi e senza opportunità non ci sarà miglioramento.

Marco Sodini

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