Memories of Busts: Sam Bowie, l’uomo che venne preferito a “His Airness”

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Bowie nel suo anno da Rookie, impegnato a marcare Bill Walton, ex-leggenda dei Blazers

La nostra storia comincia al Madison Square Garden di New York, il 19 giugno del 1984, la data dell’ultimo Draft NBA prima dell’introduzione della “Draft lottery”, ma soprattutto la data in cui David Stern esordisce come Commissioner della NBA, presentando al mondo una delle classi di rookies più talentuose della storia. Nessuno sa infatti che, nascosto tra i giovani giocatori che attendono la chiamata, c’è colui che rivoluzionerà, non solo la storia del gioco della palla a spicchi, ma anche il modo di “vivere” il basket e la NBA.  Andiamo però con ordine: la prima chiamata appartiene agli Houston Rockets, che l’anno prima sono riusciti a selezionare l’enorme centro (224 cm) Ralph Sampson, il GM dei texani, nonostante sia quindi ben coperto in tale ruolo, non ci pensa due volte e chiama il pivot Hakeem “The Dream” Olajuwon, al tempo considerato il miglior prospetto prodotto dalla NCAA. Il nigeriano, infatti, affiancato a Sampson, andrà a formare la temibile coppia di lunghi soprannominata “Twin Towers” che trascinerà Houston alle Finals 1986, perse contro i Boston Celtics di Larry Bird. Tocca quindi ai Portland Trail Blazers, che spendono la pick #2 per Sam Bowie, centro di 216 cm proveniente da Kentucky University. Dove sta quindi il problema? Il problema è che alla #3 i Chicago Bulls chiameranno Michael “His Airness” Jordan, considerato a oggi il miglior giocatore di basket di tutti i tempi. Portland, portando Bowie in Oregon, rinuncerà di fatto anche ad altri due giocatori in attesa di essere selezionati: “Sir” Charles Barkley e John Stockton, che faranno la fortuna delle rispettive squadre e saranno parte del leggendario “Dream Team” delle Olimpiadi di Barcellona 1992. Con il senno di poi, sembra che i Blazers si siano letteralmente suicidati, in realtà, la loro scelta non fu del tutto folle: nessuno infatti immaginava che Jordan potesse diventare il giocatore che tutti hanno ammirato, in secondo luogo, a Portland serviva disperatamente un centro, di conseguenza Bowie appariva l’opzione più giusta. Si trattava infatti di uno dei migliori prospetti nel ruolo: alla Lebanon High School aveva dominato con 28 punti e 18 rimbalzi a partita ed era riuscito persino a strappare il titolo di Player of the Year  a Ralph Sampson, che si prenderà però la rivincita distruggendo il rivale in una partita dimostrativa tra le due squadre delle loro rispettive High School, conosciuta come la leggendaria“battaglia dei giganti”. In NCAA, nonostante gli infortuni alle ginocchia, che fin da giovanissimo lo affliggono regolarmente, aveva guidato i Wildcats con 12 punti e 8 rimbalzi di media il primo anno e 10 e 9 rimbalzi ad allacciata di scarpe l’ultimo, dimostrando di potersela giocare con chiunque e di non essere affatto privo di talento.

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La prima stagione a Portland fu nella norma, mise a referto buone medie (10 punti, 8.6 rimbalzi, 2.8 assist e 2.7 stoppate a partita), giocando in tutto 76 match e togliendosi la soddisfazione, a fine RS, di essere inserito nella NBA All Rookie First Team. Nella stagione 1985-1986, la sua seconda in NBA, migliora ulteriormente il suo gioco (11.8 punti, 8.6 rimbalzi, 2.6 assist e 2.5 stoppate), inizia tuttavia il calvario degli infortuni, giocherà infatti solamente 38 partite in tutto l’anno. Avendo risolto i suoi problemi durante l’off-season, Bowie si presenta alla sua terza stagione NBA con grande ottimismo: segnerà 16 punti a match, conditi con 6.6 rimbalzi e 2 stoppate, peccato che scenderà in campo solamente 5 volte, in quella che sarà la sua migliore stagione dal punto di vista realizzativo. Bowie salterà per problemi fisici la RS successiva, facendosi trovare pronto nell’ottobre 1988 con la voglia di dimostrare a tutti le sue qualità sul campo: calcherà il parquet solamente 20 volte nell’arco dell’intero anno (8.6 punti e 5.3 rimbalzi). Portland alza bandiera bianca, trovandosi di fronte all’ennesimo big man martoriato dagli infortuni, lo scambia nel giugno 1989 spedendolo ai New Jersey Nets per Buck Williams. Bowie finalmente sembra risorgere nella sua nuova squadra, alla prima esperienza con la casacca dei Nets gioca 68 partite, mettendo insieme una doppia-doppia di media a fine RS (14.7 punti e 10.1 rimbalzi) e negli anni successivi non salterà mai più di venti match a stagione, vivendo il miglior periodo della sua sfortunata carriera. Nell’estate 1993, dopo una stagione vissuta sotto i suoi standard (9.1 punti e 7 rimbalzi a partita), viene spedito a Los Angeles, sponda Lakers; i gialloviola sono in piena crisi dopo l’addio di Magic Johnson, di conseguenza non sono l’ambiente migliore dove rilanciarsi, soprattutto per chi, come Bowie, è in cerca, ancora una volta, di riscatto: giocherà solamente 95 partite in due anni a causa di vari infortuni, con un minutaggio limitato e medie poco decorose (8.9 e 5.2 rimbalzi il primo anno e 4.3 punti e 4.6 rimbalzi il secondo).

Bowie al tiro, contrastato da Kareem-Abdul-Jabbar
Bowie al tiro, contrastato da Kareem Abdul-Jabbar

Il vero problema però è un altro: le ginocchia di Bowie ormai non reggono più e anche le sue motivazioni sono messe a dura prova, d’altronde, mentre il ragazzo selezionato dopo di lui al Draft vince titoli a ripetizione e sembra il Dio del basket sceso in terra, lui non riesce nemmeno a giocare un’intera stagione senza doverne rendere conto immediatamente al proprio corpo. Lascerà la NBA e la pallacanestro nel 1995, con 10.9 punti, 7.5 rimbalzi, 1.7 stoppate di media in carriera, avendo tirato con il 45% dal campo e il 30% da tre, ma soprattutto con la sensazione che avrebbe potuto dare molto di più. Sicuramente gli infortuni continui hanno avuto una parte importante nella sua travagliata esperienza NBA, ma ha sicuramente ha avuto un peso maggiore il fatto di essere stato scelto prima di quell’alieno con il numero #23 sulle spalle e la casacca dei Bulls addosso: la pressione psicologica sarebbe stata troppa da sopportare per chiunque, figurarsi per chi, come Bowie, fu preso di mira continuamente dalla stampa, che si ostinava a metterlo a confronto con Michael Jordan, confronto da cui usciva sconfitto in partenza. Diversi anni dopo la scellerata scelta dei Blazers, ESPN dichiarò Bowie:

“La peggior Draft pick della storia della NBA”.

Sports Illustrated rincarò la dose e lo piazzò al primo posto nella classifica dei busts NBA stilata nel 2005. Bisogna certamente dire, in difesa del buon Sam, che di giocatori peggiori di lui, sui campi della NBA, se ne sono visti parecchi, tuttavia il lungo ex Wildcats, pagherà per tutta la vita uno sbaglio non suo, portandosi appiccicata addosso l’etichetta di bidone solamente per la sfortuna di essere stato scelto prima di tre “mostri sacri” che hanno fatto la storia del basket d’oltreoceano, lui che, invece, altro non era che un buon giocatore, stroncato dagli infortuni e dalla poca sicurezza nei propri mezzi. Anni dopo il suo ritiro ammetterà, in un’intervista, di aver mentito riguardo la situazione delle proprie ginocchia, sia durante il colloquio pre-Draft con i Blazers, sia durante le visite mediche, condannandosi di fatto, da solo, a una carriera martoriata dai problemi fisici, che ne hanno minato non soltanto il talento, ma anche le motivazioni.

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