Memories of Busts: Shawn Bradley, “The Praying Mantis”

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Manute Bol, Gheorghe Muresan, Yao Ming; cosa accomuna questi cestisti? La loro esperienza in NBA e un’altezza fuori dal comune, intorno 230 cm.  Big Men  di questo tipo oltreoceano non se ne vedono spesso, soprattutto a livello di basket professionistico dove la loro mole porta spesso in dote problemi fisici di ogni sorta e una certa goffaggine nei movimenti (riguardo la goffaggine Yao è stato una splendida eccezione). A questi tre titani vale la pena aggiungere Shawn Bradley, centro bianco di 229 cm e appena 112 kg, famoso sopratutto, per chi non lo ricordasse, per essere stato uno uno dei cinque giocatori NBA a cui i malvagi Monstars rubarono il talento nel film Space Jam. Bradley, cresciuto nello Utah, è un mormone e proprio alla sua fede religiosa sono legati i suoi soprannomi: The Stormin’ Mormon (il Mormone Tempestoso), The Mormon Mantis (la Mantide Mormona) e  The Praying Mantis (la Mantide Religosa). Bradley si mise infatti in luce nella sua unica stagione collegiale, alla ” Brigham Young University”, stabilendo il record di stoppate in NCAA per una matricola, ben 117, ricevendo di conseguenza diversi premi, tra i quali WAC Freshman of the Year. L‘anno successivo partì per due anni come missionario in Australia, rendendosi quindi disponibile per il Draft NBA solamente nel 1993, quando al suo ritorno decise di fare immediatamente il grande salto tra i pro. Il 30 luglio 1993, ad Auburn Hill, in Michigan, ebbe quindi luogo il Draft NBA che vide l’idolo di casa Chris Webber (da Michigan State) accasarsi agli Orlando Magic con la prima scelta assoluta; la seconda pick apparteneva ai Philadelphia 76ers, che puntarono subito su Bradley, perché, come si dice in NBA: ” You can’t teach height” (non puoi insegnare l’altezza). Philadelphia lasciò così per strada futuri All-Star come Vin Baker (Milwaukee Bucks), Penny Hardaway (Golden State Warriors, subito ceduto ai Magic per Webber), Jamal Mashburn (Dallas Mavericks), Sam Cassell (Houston Rockets), Allan Houston (Detroit Pistons) e Nick Van Exel (Los Angeles Lakers). I Sixers videro nella Praying Mantis un futuro centro dominante, benchè al suo ingresso in NBA Bradley avesse un fisico esile e poco sviluppato, aspetto sul quale i Sixers erano sicuri di poter lavorare. La  prima stagione di Bradley si concluse però prima del tempo, quando a febbraio si infortunò al ginocchio. Chiuse tuttavia il suo anno da rookie con 10.3p, 6.2r e 3 stoppate di media, guadagnandosi un posto nella NBA All-Rookies Second Team: non male per un esordiente con poca esperienza. A preoccupare erano però le scarse percentuali dal campo (40%) e l’alto numero di falli e palle perse, che ne limitavano fortemente la presenza sul parquet. La stagione 1994-1995 vide il mormone giocare 82 gare con i Sixers mettendo insieme buone medie (9.5p, 8r e 3.3 stoppate), con un career-high di 28p e 22r contro i Los Angeles Clippers; il ragazzone dello Utah infranse inoltre il record di franchigia per numero di stoppate in una singola stagione (274). Le cifre traggono però in inganno, in quanto Bradley soffriva i giocatori più atletici in entrambe le metà del campo, un difetto che caratterizzò il suo gioco per tutta la durata della sua carriera. All’inizio della stagione 1995/1996, il centro si trasferì ai New Jersey Nets in cambio di Derrick Coleman, terminando la stagione con 12.5p, 7.9r e 3.7 stoppate e dominando lo scontro diretto contro l’altro gigante Gheorghe Muresan, durante il match contro i Washington Bulletts. In New Jersey però la sua esperienza durò poco, in quanto la sua inconsistenza sotto  canestro si rivelò spesso dannosa per la squadra, tanto che, quando i Nets ingaggiarono John Calipari come head-coach e John Nash come GM, i due espressero immediatamente i loro dubbi riguardo quell’enigma di 229 cm che rispondeva al nome di Bradley, preferendo cederlo il prima possibile.

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Il mormone si vide dunque costretto a rifare le valigie, trasferendosi ai Dallas Mavericks nel corso della stagione 1996/1997, una delle migliori della propria carriera: a fine anno le sue medie reciteranno infatti 14.6p, 8.7r e 2.7 stoppate ad allacciata di scarpe. Le sue prestazioni gli faranno guadagnare così un posto stabile in quintetto anche gli anni successivi, che si riveleranno abbastanza soddisfacenti, benchè non fenomenali; Bradley infatti non riuscirà mai a chiudere una stagione con una doppia-doppia di media, cosa che, per un giocatore della sua altezza, faceva storcere il naso a molti. Nel 1998 chiuse la RS con 11.7p, 8.7r e 3.3 stoppate, fu la sua ultima stagione in doppia cifra per quanto riguarda i punti di media; tuttavia, Dallas era riuscita finalmente a creare una squadra competitiva per i Playoffs, soprattutto grazie all’arrivo di Steve Nash e di Dirk Nowitzky (dal Draft 1998). Wunderdirk sarà inoltre compagno del mormone in nazionale, in quanto Bradley, nato in Germania e poi trasferitosi in USA, sceglierà la cittadinanza tedesca; i due guideranno la selezione tedesca al quarto posto dell’Europeo 2001

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L’esperienza NBA di Bradley continuerà però nel segno dell’inconsistenza, portandolo a diventare “The most posterized player in NBA history” (il giocatore più posterizzato nella storia della NBA). Sembrava quasi che giocatori come Tracy McGradyYao Ming e Chris Webber si divertissero a schiacciare sulla testa di quel gigante che, con quelle braccia chilometriche, avrebbe dovuto dominare il pitturato. Nel 1999, dopo aver mostrato sprazzi del proprio talento diventando il quinto giocatore nella storia della NBA a totalizzare 20p, 20r e 10 stoppate in un solo match, venne provato nel ruolo di comprimario in uscita dalla panchina, senza però grandi risultati. Con il passare degli anni il suo impatto offensivo divenne sempre più limitato, nonostante grazie alla propria capacità di stoppatore fosse riuscito a guadagnarsi nuovamente un posto fisso in squadra. Inoltre, gli infortuni e i vari problemi fisici ne limitarono sempre di più l’utilizzo, tanto da arrivare a essere impiegato poco più di 15 min a partita tra il 2001 e il 2005. Bradley si ritirò quindi nel 2005 dopo 7 stagioni a Dallas che era ormai diventata la città dell’idolo Nowitzky. Il mormone riuscì anche a giocare per cinque stagioni consecutive i Playoffs, dal 2002 al 2005, con medie poco confortanti (3p, 3.4r e 1.1 stoppate). The Praying Mantis è stato un giocatore atipico, incapace di dominare nel pitturato nonostante i propri straordinari mezzi fisici e alle sue braccia chilometriche. Occupa ancora oggi l’undicesimo posto assoluto nella speciale classifica dei migliori stoppatori NBA, ma di lui si ricorda sopratutto per Space Jam e per le schiacciate spettacolari “subite” nell’arco di tutta la sua carriera. Finita la propria esperienza agonistica, Bradley ha aderito a un programma educativo che vede protagoniste le scuole dello Utah. l’ex centro svolge il ruolo di consulente e coach, aiutando soprattutto i bambini da un punto di vista umano. Il flop di Bradley è dovuto probabilmente al suo atletismo non straripante, tuttavia The Praying Mantis riuscì, a differenza di altri, a costruirsi una quanto meno dignitosa carriera oltreoceano (8.1, 6.3r e 2.5 stoppate di media con il 45.7% dal campo); benchè fosse chiaro che, da un gigante come lui, ci si aspettasse molto di più. Il suo fisico al limite del rachitismo lo ha quindi condizionato soprattutto contro centri atletici e muscolari, che lo spazzavano via senza esitazione, d’altronde come si dice in NBA, “You can’t teach heigth, but you can’t teach width either” (non puoi insegnare l’altezza, ma non puoi insegnare nemmeno la stazza).

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