L’impresa di domenica contro Milano ha rinvigorito la Germani Brescia, a inizio anno super corazzata con 9 vittorie consecutive, ora terza in super ripresa con grande voglia di veleggiare tra le grandi del campionato.
A rappresentare la compagine lombarda ci ha pensato il capitano David Moss che, imbeccato dalla penna di Carlos Passerini de Il Corriere della Sera, ha ripercorso la sua storia, giunta sino al capitolo bresciano: «La dimensione è splendida, anche il club: familiare ma professionale. Come ambiente assomiglia a Siena, rivedo la stessa magia, la città unita, il senso del miracolo, del sogno, dell’impresa».
Per Moss lo scudetto è ovviamente possibile: «Se non ci credessi non sarei qui. Questi ragazzi sono fenomenali: Landry, i Vitali, Sacchetti, tutti. E il coach Andrea Diana – continua il 34 – sta facendo un lavoro straordinario, anche se molto giovane. Poi non dimentichiamoci che l’anno scorso ha vinto Venezia, chi l’avrebbe detto no?».
Non solo basket però. L’americano si è soffermato su un argomento molto caro, essendo italiano d’adozione da più di dieci anni (il suo primo anno nella penisola risale al 2007): «Oggi l’Italia è un paese razzista. Io sono un atleta, un privilegiato, nessuno è razzista con me. Smettono di esserlo quando capiscono chi sei, grazie ai media. All’inizio è molto diverso, ovunque: Jesi, Milano, Siena ma anche adesso Brescia. I primi tempi per la strada sento sempre su di me gli sguardi. Paura, diffidenza, sospetto, disagio: termini diversi per dire la stessa cosa, ossia razzismo». E su Trump invece ha parlato così: «Quando c’era Obama sembrava che tutto andasse bene e invece non era così. Oggi gli americani, inclusi molti atleti, sono tornati a parlare di politica, ad occuparsi di ciò che succede come avveniva negli anni ’60 o ’70. Questo è buono».
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