Neanche su Mostar può piovere per sempre

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Avevo 7 anni quando la guerra è cominciata. Prima ti accorgi che non c’è cibo, poi cominciano a venir giù le granate, con tutta la città che trema, e senti le persone urlare. Tutti i giorni i tuoi rientrano a casa e dicono “il nostro vicino è morto, tuo cugino è morto”.. c’era sempre qualcuno che moriva. Un giorno ho chiesto a mia madre: c’è qualcuno ancora vivo? E’ stato veramente difficile per noi. Ha lasciato, direi, un segno.

Hai mai visto piovere d’estate?
Beh, certo che sì, che domande: gli acquazzoni estivi, le pioggerelle passeggere, roba all’ordine del giorno. Allora meglio riformulare: hai mai visto un’estate senza sole? Un’estate di sola pioggia, in cui magari non vi è nemmeno una nuvola nel cielo terso, ma il sole non si vede. Sola pioggia: ma non cadono gocce sui prati bensì granate sui palazzi, non ci si ripara con gli ombrelli ma col fuoco d’artiglieria, dove il sole non è coperto dalle nubi grigie ma dal fumo delle macerie. Un’estate dove piove tutti i giorni eppure ti manca costantemente l’acqua. Dimmi: hai mai visto un’estate così? Il giovane Mirza sì. Quando è fuori a giocare e comincia a piovere non può ripararsi sotto un porticato, oppure continuare a dar calci al pallone con la consapevolezza che i vestiti si asciugheranno: se comincia a piovere bisogna scappare, nascondersi il più lontano possibile, perché il porticato contro la pioggia di proiettili non può nulla. Il giovane Mirza ha visto piovere d’estate, ma a scorrere copiosi non sono i torrenti alimentati dai temporali, ma soltanto le lacrime e i fiumi di sangue attorno a lui.

Giugno e Aprile. Sono queste le parole d’ordine che riassumono i due differenti assedi che Mostar subisce nel corso di tre anni. Se la Bosnia è l’emblema delle guerre consecutive al disfacimento della Iugoslavia, Mostar è l’emblema della Bosnia. Città meravigliosa, luogo di incontro di tutte le culture e fedi che attraversano i Balcani, una piccola Sarajevo. Ma ciò che è ricchezza in tempi di pace diventa maledizione in tempi di guerra: la convivenza così ravvicinata, allo scoccare del conflitto, si trasforma in benzina che esplode al contatto col primo proiettile.
Mirza nasce a Mostar, nel 1985. Ha dunque quasi 7 anni quando la sua casa viene cinta dal primo assedio: è l’Aprile del 1992 e comincia a piovere copiosamente dalle colline circostanti. Gli dei del temporale sono i Serbi, che quella terra proprio non la vogliono vedere in mano ad altri. Questi “altri” sono le due etnie/religioni che insieme ai Serbi (ortodossi) convivono non solo dentro Mostar, non solo dentro la Bosnia ma in tutta la Iugoslavia in un miscuglio etnico che ha pochssimi eguali nel corso della storia. Quartieri che confinano, chiese che sorgono di fronte a moschee nelle grandi città, paesini isolati persi tra le colline distanti tra loro quanto il canto di un minareto o il suono di una campana possono raggiungere. Convivono.. o forse sarebbe meglio dire convivevano pacificamente, sotto lo sguardo severo e autoritario del Maresciallo Tito e della bandiera con la crvena zvezda al centro.
Mirza fa parte di questi altri. Mirza la pioggia non la crea ma da essa si deve riparare imprigionato dentro la città, dove Croati (cattolici) e Bosgnacchi (bosniaci-musulmani) si difendono, gli uni accanto agli altri. Prima che difesa militare è difesa per la sopravvivenza che riguarda anche i civili, riguarda Mirza che gioca al campetto in un Maggio nel quale anche il sole ha paura di farsi vedere in Bosnia.
Nel Giugno del 1992 il primo assedio termina e la Narenta (Neretva), il grazioso fiume che attraversa Mostar, riprende il suo colore verde smeraldo.

L’estate però dura poco. I Serbi sono lontani ma l’equilibrio della pacifica convivenza è andato terribilmente perduto. Passa nemmeno un anno e ricomincia a piovere, più forte di prima. Pur avendo combattuto insieme, pur essendo caduti gli uni affianco agli altri, pur avendo pianto gli stessi morti, tra Croati e Bosgnacchi scoppia la guerra. Mirza vede i compagni di gioco ridursi, Mirza è sempre più solo, e magari si chiede come mai ora non può più giocare con Sime dopo che anche Zelimir aveva smesso di farsi vedere. Se il primo assedio comincia in Aprile e termina in Giugno, questo segue il percorso opposto: su Mostar diluvia tra il Giugno del 1993 e l’Aprile/Marzo del 1994. La Narenta torna tingersi di rosso per altri dieci mesi. Mesi nei quali (9 Novembre 1993), tra l’altro, per ordine di un defunto sedicente “non criminale di guerra” un maledetto mortaio croato colpisce e distrugge il meraviglioso ponte (Stari Most), simbolo della città e della pacifica convivenza tra musulmani e cristiani. Straziante.
Ma non può piovere per sempre. Nel Marzo del 1994, il vento caldo degli Accordi di Washington allontana le polveri delle macerie e copre il sibilo dei proiettili: l’estate è tornata su Mostar e su tutta la Bosnia-Erzegovina. Il sole non ha più paura e torna a giocare con Mirza e i suoi amici, che invece paura non ne hanno mai avuta. Tra bosniaco-croati e bosniaco-musulmani torna una relativa pace, per quanto possibile dopo anni di vicendevoli campi di concentramento, simboleggiata dalla ricostruzione di quel ponte 11 anni dopo il crollo, emblema degli emblemi.

Mirza cresce così. Cresce schivando i proiettili e riparandosi dai mortai, cresce senza vedere il sole nelle estati della sua infanzia. Si alza tutti i giorni alle 6:00 per andare a giocare su quel campetto su cui rimane fino a tarda sera. Basket, calcio, che importa. I compagni di gioco son sempre di meno, le sirene continuano a suonare ma quando il giovane Mirza gioca nulla lo può colpire, lui e suoi amici, che sia la paura, la sofferenza o il mortaio. E così al suono delle sirene, che anticipa la pioggia di granate come il rombo del tuono anticipa il temporale, la gente scappa e si ripara, ma Mirza no. Mirza e i suoi amici rimangono, e rimarranno su quel campetto qualsiasi cosa accada, perché “se devo morire, morirò”, perché neanche su Mostar può piovere per sempre. “Per il basket farei qualsiasi cosa”.

Mirza Teletovic ora ha 33 anni. “Se non mi hanno ucciso durante la guerra, non mi uccideranno oggi”: è così che affronta le sue gare, perché sa benissimo che la vera pressione è “sopravvivere” e il resto sono solo capricci.
La pallacanestro professionistica la incontra per la prima volta quando ne ha 17, nello Slobodan Tuzla. Due stagioni in cui comincia a ingranare, per poi spostarsi per altre due in Belgio, nell’Ostenda. Il salto di qualità definitivo, che lo consacra del tutto e lo mette in luce, avviene nel 2006 con il passaggio al Baskonia: sei stagioni, due scudetti e un Copa del Rey (da MVP), passando da panchinaro a capitano e colonna portante per i Baschi e arrivando a dominare in giro per l’Europa con una media di 21,7 punti e 6 rimbalzi a partita. Si dichiara eleggibile al draft sin dal 2007, ma il volo oltre oceano avviene al termine della stagione 2011-2012, la più devastante in assoluto. Firma coi Brooklyn Nets, dove rimane tre anni per poi passare da Phoenix e militare ora in quel di Milwaukee, dal 2016. Media NBA, nei cinque anni, circa di 8 punti e 3 rimbalzi, tra alti e bassi. E’ anche capitano della sua nazionale, la Bosnia-Erzegovina.
Ad oggi Mirza è fermo, ed è probabile che lo rimarrà a lungo, per via di un’embolia polmonare scoperta durante un controllo per un altro infortunio. Problema che, tra l’altro, lo aveva già raggiunto nel 2015 costringendolo a fermarsi. Non ci son riuscite le bombe a fermarlo, ci stanno provando i suoi polmoni. Tant’è.

Data particolare è il 3 Gennaio del 2013, giorno in cui Mirza Teletovic vola per la prima volta a Washington, la città degli accordi che han posto fine alla guerra tra Croati e Bosgnacchi, la città che ha riconsegnato l’estate alla sua infanzia. Da Mostar a Washington. Perché non può piovere per sempre e prima o poi quel codardo del sole ritorna. Non può piovere per sempre, che sia su Mostar o su Milano, e questa è una certezza matematica e inviolabile.
Ma Mirza Teletovic ha attraversato le peggiori paure. Tutta la Bosnia e tutti i Balcani hanno sofferto in maniera indicibile, lasciandosi alle spalle centinaia di migliaia di morti e alcuni tra i peggiori crimini che l’Europa mai vedrà. Ed è per questo che non tutti ora vedono questo sole, che a volte rimane coperto dagli incubi e dai ricordi, sarebbe troppo facile altrimenti. E’ per questo che il sole, soprattutto su chi ha vissuto quegli anni, a volte ha ancora paura di tornare.

Ma almeno su Mostar è tornato. Ed è semplicemente meraviglioso.

Gabriele Buscaglia

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