Paul Pierce, the Captain and the Truth

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“Take this down. My name is Shaquille O’Neal, and Paul Pierce is the mother****ing Truth. Quote me on that, and don’t take nothing out. I knew he could play, but I didn’t know he could play like this. Paul Pierce is the Truth.” – Shaquille O’Neal

“You can’t handle the Truth.” – Col. Nathan Jessep

Prendete un ragazzino italiano, immerso nella tranquilla e noiosa quotidianità adolescenziale, alle prese con i problemi scolastici, i primi amori e la ricerca di qualche passione con cui occupare il tempo, poiché quella che prediligono tutti i suoi amici, il calcio, stenta a smuovergli le corde del cuore.

Mi perdonerete la componente autobiografica, ma è l’esatto contesto in cui si è venuta a sviluppare “The Disease”, la passione viscerale per la pallacanestro (dopo averla praticata sommariamente e con risultati modesti da bambino) e in particolare per i Boston Celtics, dopo aver visto calcare il parquet a un bipede dai movimenti piuttosto lenti e controllati con la canotta verde e il numero 34 sulle spalle. 

Quel bipede, era Paul Pierce.

L’amore sportivo per il capitano dei Celtics è nato subito, conquistato dalla sua capacità di segnare e dalla poesia in movimento che regalavano il suo palleggio-arresto-tiro o il suo fadeaway. Un colpo di fulmine cementato e fortificato solo dalla conoscenza della sua storia. Come potevo non essere dalla parte di un tifoso dei Lakers che si ritrova a essere il leader e il simbolo degli odiatissimi rivali di Boston. Come potevo non essere dalla parte di un essere umano che una notte di tardo settembre riceve 11 coltellate tra faccia, collo e schiena (di cui una penetrata per 20 cm e un’altra arrivata a 2 cm di distanza dal cuore), accarezza la morte e l’esservi sfuggito lo rende immensamente più forte di prima.

Non credo onestamente avrebbe avuto la stessa carriera se non avesse preso quelle coltellate, tanto che lui stesso la definisce “la notte più importante della mia vita”. Ripresosi, dopo essersi tatuato un cuore stretto tra due mani e due ali d’angelo con la scritta “The Chosen One” (prima dell’avvento di LeBron James), gioca tutte le 82 partite di stagione regolare tra cui quella del 13 marzo contro i Lakers da 42 punti, che gli valse l’appellativo di “The Truth” grazie alla dichiarazione post-partita di Shaquille O’Neal di cui sopra.

La sua capacità di ripresa è sempre stata sovraumana, anche dopo le coltellate, come nella gara 1 delle Finals del 2008 quando uscì letteralmente in sedia e rotelle e rientrò dopo neanche mezz’ora (memorabile in quell’occasione quando a Los Angeles dissero che fu curato dal dottor Gesù Cristo, per segnalare la sua drammatizzazione di ogni infortunio, spesso sottolineata dai suoi detrattori). Quelle Finali le vinse da MVP, dopo aver iniziato la stagione con il training camp a Roma, fondamentale per cementare il nuovo gruppo formato dai Big Three con Ray Allen e Kevin Garnett. Con quella squadra, Pierce ne avrebbe potuti vincere altri di titoli, ma sfortuna, tanti infortuni dei compagni e forza degli avversari glielo hanno impedito.

Una volta lasciata la casacca verde non ha smesso di spiegare pallacanestro, sempre allo stesso modo: lento, controllato ma velenoso. Con i Brooklyn Nets (dopo la trade che ha garantito il presente e il prossimo futuro dei suoi Celtics) e la stoppata sul finale di gara 7 del primo turno nel 2014 contro Kyle Lowry e i Raptors. Con gli Washington Wizards e il buzzer beater contro Atlanta in gara 3 delle semifinali di conference nel 2015.

“This is why they got me here!”

Come la medesima arteria stradale che si snoda nella propria zona ovest, Los Angeles ha accolto Paul Pierce per il Sunset Boulevard della pagina sportiva della sua vita. Gli ultimi due anni in maglia Clippers alla corte di Doc Rivers, proprio l’allenatore con cui ha vinto il titolo a Boston, sono stati un lento, difficile e inesorabile cammino verso la fine della sua carriera, chiusasi in gara 7 contro gli Utah Jazz.

Di questi due anni ricorderà sicuramente il 5 febbraio 2017, l’ultima apparizione al TD Garden di Boston. Parte in quintetto ma poi rimane tutta la partita in panchina. I Celtics controllano ampiamente e a pochi minuti dalla fine il risultato finale è già scontato. Cominciano i cori. Incessanti, pulsanti, imploranti. I tifosi che l’hanno tanto amato e lo amano ancora lo vogliono sul parquet per un ultimo, indimenticabile momento. Lui, riluttante all’inizio, accetta. Si toglie la tuta, mancano pochi secondi, finta di portare un blocco, si allarga, riceve. Il Garden per la prima volta è pronto a esplodere per un canestro subito dai Celtics e Pierce spara la bomba di fronte al suo erede emotivo e tecnico in maglia verde, Isaiah Thomas.

Le lacrime stanno già scendendo, non riesco a trattenerle perché già so cosa prevede la sceneggiatura. Neanche ve lo sto a dire dov’è finita quella palla arancione.

La stessa palla arancione che amo grazie a lui.

PP34. My Captain, my Truth.

Michele Manzini

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