Peja Stojakovic, la storia del cecchino dell’Est

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Stojakovic ai tempi del PAOK
Stojakovic ai tempi del PAOK

Se Larry Bird dice che hai il miglior tiro della storia del basket, probabilmente qualcosa da dire in NBA ce l’hai senza dubbio. Ecco perché Peja Stojakovic, nome quasi impronunciabile per gli americani, è riuscito a scrivere importanti pagine di storia di questo sport. E questa è la sua storia…

Predrag “Peja” Stojakovic nasce a Belgrado, in quella che ormai è la ex-Iugoslavia, il 9 Giugno del 1977. Tre anni più tardi viene alla luce il fratello di Peja, Nenad, che ancora oggi ha problemi di reni, malattia che influirà sulla vita di Predrag.

Peja cresce a Pozega, una cittadina al confine con la Croazia. Per tutta la sua infanzia, quello che poi sarebbe diventato uno dei migliori tiratori da tre punti della storia, vive in uno Stato unito sotto il duro regime comunista, che vedrà la fine solo nel 1990.

La famiglia Stojakovic possiede una drogheria in paese, Peja e suo fratello passano lì il loro tempo dopo la scuola. E’ già nell’infanzia che Peja inizia a sognare una carriera da atleta professionista ma, indeciso su quale sport scegliere, li prova praticamente tutti: dalla pallavolo alla pallamano, fino ad arrivare al classico calcio, che cattura più degli altri il suo interesse.

Peja, essendo molto più alto dei bambini della sua età, eccelle nello sport e inizialmente il poter compiere passi più lunghi lo agevola ancora di più. Ma il suo corpo continua a crescere, raggiungendo i 206 cm, altezza che non gli permette più di giocare a calcio, essendo diventato ormai troppo “lungo” per le qualità che servono a far bene sul manto verde. All’età di 13 anni Peja deve quindi cercare un altro sport da praticare.

Nel frattempo la guerra civile in Iugoslavia dilaga e i genitori di Peja, preoccupati per l’incolumità dei due figli, decidono di trasferirsi a Belgrado, sperando di poter trovare la pace nella capitale Serba.

A Belgrado a dominare è la pallacanestro. Non appena gli allenatori locali vedono Peja, alto e con un fisico disegnato per il basket, decidono di provare a vedere come se la cava. Il ragazzo non odiava il basket, anzi, ma non aveva mai pensato di poter migliorare in quello sport sfruttando il suo fisico. Contento per il forte interesse mostratogli, Peja decide quindi di tentare questa nuova carriera.

Con un po’ di allenamento Peja riesce ad ottenere un ottimo tiro da fuori e già all’età di 14 anni in tutta Europa si sparge la voce dell’esistenza di un baby-fenomeno tra la confusione della guerra civile Iugoslava. Il ragazzo, che aveva da sempre seguito la NBA, inizia quindi a pensare alla lega americana come potenziale futuro.

La Stella Rossa di Belgrado, la migliore squadra di basket del Paese, decide di firmarlo, lanciandolo nel campionato giovanile. Solo un anno più tardi, quando Peja ha 15 anni, la dirigenza decide che è arrivato per lui il momento dell’esordio tra i pro. Un giovanissimo Stojakovic inizia quindi a fronteggiare con la sua squadra le migliori stelle europee alla tenera età di 15 anni.

Viaggiando con la squadra per tutta Europa, Peja viene a contatto con i vari stili di vita e comprende ancora di più in quali disastrate condizioni vivano lui e la sua famiglia. Quando torna a casa, la notte sente gli spari in strada, quando guarda la televisione vede solo immagini di guerra e distruzione. L’apice viene toccato quando la casa dov’era cresciuto, a Pozega, viene rasa al suolo durante gli scontri. Tutto ciò per cui i suoi genitori avevano lavorato era in quella casa, e ora non ne restavano che macerie.

Ma Stojakovic intanto continua la sua carriera cestistica: nel 1993 scade il suo contratto con la Stella Rossa e a soli 16 anni firma un contratto con il PAOK Tessalonica, in Grecia, dove lui e la famiglia si trasferiscono. Il contratto con i greci è della durata di tre anni e, dopo aver ricevuto l’ok del governo Greco per giocare, entra subito nelle rotazioni della squadra, partendo quasi sempre in quintetto.

In seguito a prestazioni da 20 e più punti, viene paragonato a stelle NBA quali Byron Scott o Dominique Wilkins, ma non curandosi di questo, Peja continua a giocare ad altissimi livelli. Il ragazzo è amato dalla città e dai fans, che non vogliono vederlo partire nonostante sia ben chiaro a tutti che le abilità per affrontare una carriera oltreoceano ci sono eccome.

Alla fine arriva anche il momento del giovane Peja, che si rende eleggibile al Draft nel 1996, a 19 anni. I Sacramento Kings spendono per lui la chiamata numero 14 e per questo il GM della squadra californiana viene crocifisso in conferenza stampa. L’agente di Peja, l’italiano Luciano Capicchioni, pensa però che rompere il contratto con il PAOK sia solo una pura formalità.

Si sbaglia, la squadra greca si rifiuta di accettare qualsiasi offerta finanziaria per lasciar partire Peja, facendo causa alla FIBA.

Torna quindi in Grecia e gioca solo 20 partite nella stagione 1996-97 a causa di un infortunio alla gamba. L’anno successivo torna più in forma di prima, segnando oltre 23 punti di media, venendo nominato MVP del campionato e raggiungendo le finali, dove il PAOK si arrende al Panathinaikos.

Al termine della stagione 1997-98, Peja è finalmente libero da ogni vincolo contrattuale con la squadra greca e può unirsi ai Sacramento Kings, due anni dopo il Draft.

I Kings di quell’anno non sono una cattiva squadra, al contrario, possono vantare nel roster giocatori come Chris Webber, Vlade Divac, Jason Williams e Vernon Maxwell, con coach Rick Adelman in panchina. La prima stagione per Peja non si conclude però come sperato: poco più di 20 minuti di utilizzo, circa il 40% dal campo e poco sopra gli 8 punti di media, mentre la franchigia californiana chiude con un record di 27-23 nella stagione del lockout, terza della Pacific Division e costretta ad arrendersi 3-2 al primo turno dei Playoffs contro gli Utah Jazz.

Tuttavia Sacramento è soddisfatta dell’anno da rookie di Peja, intrigata dalla versatilità del giovane serbo con una stazza da ala grande ma un tiro soffice e preciso come quello di una guardia.

Quel è il motivo per cui Peja non si è espresso al meglio nel suo primo anno in NBA? La risposta è sempre la stessa: la guerra in Iugoslavia. Nonostante il fratello e i genitori lo avessero seguito in California, i nonni e altri parenti erano rimasti in Europa, Vlade Divac era stato quindi un sostegno in questa situazione difficile, un connazionale che poteva capire le sue preoccupazioni, ma spesso non bastava.

Nella stagione 1999-00 si gioca la carta del tiro da tre, scoprendo la sua abilità nel segnare da lontano. I suoi punti di media aumentano a 12, ma il meglio di sé lo dà contro i Los Angeles Lakers, sconfitti in ogni gara di stagione regolare di quell’anno grazie a Peja, autore di almeno 20 punti in ogni incontro coi gialloviola. Nonostante anche ai Playoffs contro i Lakers Peja dia il meglio di sé, i Kings vengono eliminati nel derby californiano di postseason. In seguito a questa ottima stagione il ragazzo serbo verrà promosso in quintetto.

Sacramento nel 2000-01 è semplicemente fantastica, è la vera rivale dei Lakers a Ovest, perdendo il confronto con i gialloviola di una sola partita. Ai Playoffs, dopo aver eliminato 3-1 i Phoenix Suns al primo turno, i Kings vengono però umiliati dai soliti Lakers, che chiudono la serie sul 4-0. Nel suo primo anno in quintetto però, Peja riesce ad affermarsi come uno dei migliori tiratori della lega, terminando con 20.4 punti di media, il 47% dal campo e il 40% da dietro l’arco. A questo si vanno ad aggiungere le prime scaramucce, per far capire agli avversari che Peja non teme nulla.

I Kings del 2001 sulla copertina di Sports Illustrated
I Kings del 2001 sulla copertina di Sports Illustrated

Nella stagione 2001-02 Chris Webber si infortuna alla caviglia ed è costretto a saltare le prime 5 settimane di stagione regolare. Privi del loro miglior marcatore, i Kings si affidano a Stojakovic, che migliora ulteriormente il suo tiro, soprattutto quello da tre punti. Mentre i tifosi speravano per lo meno in un record del 50% vista l’assenza della loro stella, Chris Webber al ritorno dall’infortunio trova una squadra con un record di 15-5. Nonostante il ritorno di Webber, Peja continua però a registrare oltre 20 punti a serata, acquistando sicurezza nei propri mezzi.

La squadra nel frattempo cambia, il nuovo playmaker è Mike Bibby, al posto dello scapestrato Jason Williams, il quale porta a Sacramento leadership e ordine. In più, la panchina si compone di giocatori come Bobby Jackson, Hedo Turkoglu e Scot Pollard. Stavolta i Kings hanno delle serie possibilità per un’ottima corsa nei Playoffs.

Possibilità che si consolidano dopo il record di 61-21 nella stagione regolare, il migliore di sempre per i Kings. Ai Playoffs incontrano al primo turno gli Utah Jazz di Karl Malone, dopo le prime due partite all’Arco Center di Sacramento la serie è sull’1-1, poi i Kings vincono una gara a Salt Lake City e nella decisiva Gara-5 è proprio Peja che con una tripla nei secondi finali decide la partita e la serie.

Peja aveva chiuso l’anno segnando oltre 21 punti di media, ma durante il secondo turno contro i Dallas Mavericks soffre di un problema alla caviglia che lo costringe a saltare le ultime due partite della serie. I Kings superano comunque il turno, ma la situazione peggiora quando i dottori comunicano allo staff che Peja dovrà perdere anche Gara-1 e 2 delle Finali di Conference. Contro i Los Angeles Lakers.

Dopo aver visto le prime due partite, di cui una vinta dai Kings in casa, dalla panchina e la serie poi pareggiata 2-2 anche dopo i due incontri allo Staples Center, Peja può tornare finalmente in campo nei due quarti finali di Gara-5, ma i postumi dello stop non gli permettono di esprimersi al meglio. Il risultato è una sconfitta dei Kings nella decisiva Gara-7. Sacramento arriva a una partita dalle NBA Finals.

All’alba della stagione 2002-03 Peja incontra di nuovo sulla sua strada la sfortuna: infortunio alla fascia plantare che lo costringe a saltare diverse settimane di stagione regolare. Per fortuna dei Kings, la panchina è abbastanza profonda per sopperire alla mancanza di Stojakovic grazie al turco Hedo Turkoglu. Quando Peja torna in campo a Gennaio 2003 però è Chris Webber a subìre un altro infortunio alla caviglia che gli costerà diverse partite.

Ma l’infortunio di Webber ha anche un lato positivo: con la sua assenza all’All Star Game, Peja è chiamato a sostituirlo. Stojakovic gioca 13 minuti nella partita delle stelle, segnando 5 punti il giorno dopo essersi confermato per il secondo anno consecutivo campione del Three Points Shootout.

Le cifre a fine anno parlano di oltre 19 punti di media e più del 50% al tiro. Ai Playoffs i Kings sconfiggono ancora i Jazz per 4-1, ma al secondo turno ritrovano i Dallas Mavericks. Alla fine sono i Mavs a spuntarla in Gara-7 e Sacramento per l’ennesima volta non arriva alla terra promessa. Ancora più frustante per i tifosi è vedere i Lakers sconfitti in Finale di Conference dai San Antonio Spurs e in seguito i texani alzare il titolo NBA, perché al posto di Tim Duncan e David Robinson ci sarebbero potuti essere Webber e Divac, entrambi infortunati.

Quando diventa chiaro che Chris Webber non tornerà in squadra prima del 2004, Peja inizia a pensare a sé stesso come leader dei Kings. Stojakovic accetta le responsabilità e dopo poche partite è già confidente con il suo nuovo ruolo. Arrivati all’All Star Break Peja è tra i migliori marcatori della NBA, la gente addirittura inizia a pensare che al rientro Webber avrebbe dovuto guadagnarsi col sudore della fronte un posto al fianco del serbo.

Gli infortuni limitano Peja a 66 partite su 82, ma nonostante questo i numeri recitano 20.1 punti di media in 38.4 minuti di utilizzo. Oltre a Stojakovic però si infortunano anche Brad Miller alla gamba e Cuttino Mobley al pollice, cosa che arginerà il potenziale dei Kings.

Sacramento riesce a vincere 50 partite, qualificandosi ai Playoffs ma di fatto non arrivando pronta alla postseason. Ad accogliere i derelitti Kings ci sono i Seattle Supersonics di Ray Allen che chiudono la pratica con uno sbrigativo 4-1. Peja ne segna 38 in Gara-5, persa.

Dopo cinque stagioni consecutive sopra le 50 vittorie, a Sacramento c’è per la prima volta incertezza su come la squadra reagirà ai cambiamenti effettuati in estate e come i nuovi si relazioneranno con i vecchi. A metà della stagione 2005-06, il 25 Gennaio, Peja viene scambiato agli Indiana Pacers, a Sacramento arriva Ron Artest. Stojakovic salta le prime quattro partite di Playoffs con la sua nuova squadra a causa di un altro infortunio. Tutte perse e serie chiusa dai Nets sul 4-2.

Al termine della stagione Peja rifirma con Indiana solo per essere scambiato: finisce ai New Orleans Hornets dove segna il suo career-high di 42 punti. A New Orleans rimane quattro stagioni e mezzo, sparando le ultime cartucce di una carriera ormai in declino. Falciato dagli infortuni perde 5 partite nella stagione 2007-08, 11 nel 2008-09, 10 nel 2009-10 e addirittura gioca solo 6 partite nella stagione 2010-11.

Il 20 Novembre 2010 viene scambiato ai Toronto Raptors, dove però disputa soltanto due incontri prima di essere tagliato. Ne perde altri 26 per infortunio.

Stojakovic Campione NBA nel 2011
Stojakovic Campione NBA nel 2011

All’inizio della stagione 2010-11 Peja decide di aggregarsi ai Dallas Mavericks, ancora privo di un titolo NBA. La decisione viene premiata: 8.6 punti di media in stagione giocando però solo 25 partite, corsa perfetta nei Playoffs e per la prima volta nella sua carriera le NBA Finals.

Di fronte si ritrova i Miami Heat dei Big Three, anno primo. Tutti i pronostici danno favoriti Lebron e Company, ma i Mavs strappano il titolo vincendo per 4-2.

A Dicembre della stagione successiva Peja dice basta, a 34 anni e con al dito un anello di campione NBA annuncia il suo ritiro. Le cifre in carriera parlano di 17 punti di media, 804 partite disputate, 45% al tiro e 40% da tre punti. Sesto nella storia NBA per triple realizzate con 1760. Solo Dio sa dove sarebbe arrivato con una carriera normale, non condizionata dagli infortuni.

“E’ divertente giocare con lui” – Jason Williams, ex compagno di squadra

“Tutti in Europa sanno chi è stato Peja. Anche io lo so” – Vlade Divac, ex compagno di squadra

“Diventerà il miglior tiratore della lega” – Chris Webber, ex compagno di squadra

 

Grazie, Peja.

 

Francesco Manzi

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