Quella città perdente sulle rive dell’Erie

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Quando nasci vincente e diventi perdente è complicato, se nasci direttamente perdente è tutto più facile. Se poi da perdente passi a vincente, beh, è un altro mondo. Se nasci al piano terra e vivi tutta la vita al piano terra, quando ti sposti a vivere al terzo piano la vista sembra bellissima, dal quinto piano fantastica, dal decimo meravigliosa, dal ventesimo un sogno. Come diceva Arsene Wenger: “se mangi tutti i giorni caviale poi è difficile tornare alle salsicce”. 
E a me vien da dire: “se mangi tutti i giorni salsicce, quando mangi il caviale non te lo scordi più”. 

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Quando, sportivamente parlando, passi tutta la tua vita a perdere, le alternative sono due: o ne hai abbastanza e lasci tutto, oppure ti abitui e la prendi anche un po’ sul ridere. La differenza sta in quel punto di non ritorno, che può essere la fine o una sorta di nuovo inizio. E sul Lago Erie questo punto l’han superato da cinquant’anni ormai, ma han scelto la seconda strada.
Moses Cleaveland moriva a soli 52 da qualche parte a ovest della Pennsylvania, sulla riva di uno di quei grandi laghi che segnano parte dell’interminabile confine tra Canada e Stati Uniti. Morì, e a quel luogo venne dato il suo nome: il 23 Dicembre del 1814 nasceva dunque Cleveland, con la “a” rimossa per comodità giornalistiche.
A Cleveland non c’è davvero niente, se non le tre squadre: gli Indians, i Browns e i Cavaliers. Titoli totali fino al 2016: 2 per gli Indians, 0 per i Browns (dalla fondazione del Super Bowl in poi), 0 per i Cavs. 122 anni, circa 217 partecipazioni ai campionati tra MLB, NFL ed NBA, 2 titoli. L’ultimo vinto nel 1948 dagli Indians, nel baseball.
E così si passa da Cleveland a cLeveLand, con quella “L” di perdente, sfigato, looser tanto potente nella cultura americana a contrassegnare come un marchio i suoi abitanti. A ciò si uniscono le dicerie popolari, confermate dai fatti di cronaca, che mostrano Cleveland come una città più crimine che anima; “keep far from Cleve…”
E’ una sorta di maledizione, alla quale però, come anticipato prima, i suoi abitanti si abituano. Ma la loro speranza si riscuote dal piattume in cui è caduta quando giungono voci che poco lontano, poco più a Sud, un Prescelto sta arrivando a salvarli..

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LeBron arriva a Cleveland nell’anno in cui inizia la Seconda Guerra del Golfo. LeBron e Cleveland si amano, Cleveland vuole da LeBron la stessa cosa che LeBron vuole da Cleveland: ma Cleveland è una città perdente, la città perdente, e l’amore sembra maledetto e senza via d’uscita, se non quella di porvi fine.
Il Prescelto se ne va, scappa senza aver realizzato ciò per cui era arrivato, senza aver salvato Cleveland. Se ne va dopo una finale persa (ma ci tengo anche a dire: dopo una finale raggiunta), dopo la quale erano arrivate anche una finale e una semifinale di Conference perse.
No Bron, non dovevi farlo.. No, non è l’aver abbandonato, ma l’aver illuso la città di poter uscire da quel vortice di eterna sconfitta, di aver riacceso in essa una speranza, di averla distolta dall’indifferenza, di averle fatto attendere qualcosa che non sarebbe arrivato. Il metaforico fuoco d’amore e di speranza si tramuta in benzina concreta che riduce in cenere le canotte con numero 23, in quella macabra usanza del tifoso-ignorante a stelle e strisce. Unica sua colpa l’onnipotenza, e l’aver mostrato a Cleveland qualcosa di mai visto; o forse, il mero desiderio di vittoria, cosa a quanto pare imperdonabile nella città perdente.

LeBron se ne è andato. Nel football si continua a perdere. Nel baseball si continua a perdere. Nel basket si continua a perdere ma si torna a farlo come prima, cioè nell’anonimato più totale, senza poter nemmeno sperare di poter dire a quel “traditore”: hey, forse ti sbagliavi..

Sicuri?

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La prima volta non si scorda mai: LeBron vola a Miami, vince e rivince, realizza il suo sogno. Ma nemmeno il primo amore si scorda, e lo sguardo si volge di nuovo a Nord-Ovest. The Return.
Il primo tentativo va a vuoto, o quasi: troppo più forti loro, Golden State, come quegli Spurs del 2007. Il secondo anche: di nuovo troppo più forti questi Warriors, come l’anno precedente, che sul 3-1 son pronti a rimettere le mani sul Larry O’Brian.
Sicuri?
Fino alla sera del 13 Giugno la storia è sempre, perennemente, la stessa. Cleveland ha perso, come ha perso l’anno prima, come ha perso nel 2007, come ha sempre e solo perso dal 1948 in avanti. Ma il 14 l’Ohio non si risveglia come ogni volta. E’ 3-2, han sbancato l’OracleArena. E ora la gara sta tornando a Cleveland! Non si può più fare niente: la città perdente ormai ci crede, e decide di giocarsi tutta sé stessa. 3-3.

Una sola partita, una sola. Una sera, una soltanto: quella stessa notte avrebbero potuto provare la sensazione tanto inseguita, tanto sognata, mai provata; a festeggiare son sempre stati gli altri (Irving da oltre l’arco). Non si riesce nemmeno a pensare a come potrà essere vivere sulla pelle certe cose (Irving da oltre l’arco: l’ha messa. La palla è entrata).
Cosa?
Cleveland si trova avanti. A meno di un minuto dalla fine. Avanti in maniera sicura. Avanti come lo era stata 57 volte nella sola regular season. Tutti sanno cosa sta per accadere ma nessuno vuole dirlo, vuole pensarlo, vuole crederlo: Cleveland sta vincendo.
Poi la sirena, e l’indicibile, l’incredibile, l’impensabile: Cleveland ha vinto. Dopo 68 anni la città perdente ha vinto. Nella maniera più insensata, nella maniera più dannatamente epica. 19 Giugno 2016.

Al terzo tentativo, il Prescelto ce l’ha fatta. Ora anche Cleveland sa cosa si prova, e lui sa cosa si prova ad aver vinto con lei.
Per una notte la città perdente non è più perdente, per una notte sale al ventesimo piano, per una notte mangia caviale. E si pensa che possa essere l’anno definitivo, l’anno della fine di tutto, quando gli Indians sono avanti 3-1 contro Chicago nelle World Series di MLB. No dai, è troppo: la città perdente diventa, per un anno, città vincente. Forse.
Ma si sa, chi di 3-1 ferisce di 3-1 perisce, come del resto Golden State aveva sperimentato sulla sua pelle. E niente, gli Indians e Cleveland tornano a perdere.

Ma poco importa.
Poco importa perché se mangi tutti i giorni caviale poi è difficile tornare alle salsicce, ma se mangi solo salsicce quella volta che mangi il caviale non te la scordi più. Quando sei vincente e vinci è la normalità. Quando sei perdente e vinci è la Storia.

Ed è anche per questo che Cleveland rimane La Città Perdente, perché rimanendo tale quel 19 Giugno e quel Prescelto saranno impressi nella memoria di chi nascerà, da qui in eterno, sulla terra dove dorme Moses Cleaveland.

Cleveland, this is for you!

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Gabriele Buscaglia

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