Reggie Miller – the thin Killer

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But I can tell you, we’re going to have a lot of fun doing it

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Forse questa citazione è quella che descrive meglio di tutti il numero 31 degli Indiana Pacers: un giocatore che ha divertito (né vedremo delle belle), ma soprattutto si è divertito, portando alla pallacanestro degli anni 90 tanta classe ed eleganza.

Partendo dalle origini, Reginald Wayne Miller, ma per gli amici Reggie, nasce a Riverside (California) il 24 agosto del 1965. In quel giorno i medici sono preoccupati delle condizioni fisiche del neonato, vista la deformità di una delle due anche, e propongono ai genitori una particolare operazione: per irrobustire il bambino suggeriscono di fratturargli le ossa delle gambe così da poterle poi ricostruire. Più sane, più forti. In famiglia lo sport è una religione e soprattutto la sorella Cheryl, formidabile giocatrice di pallacanestro e membro della Hall of Fame woman’s basketball players, sarà fonte di ispirazione per il nostro protagonista che deciderà di frequentare il suo stesso college: UCLA.

Nonostante le molte critiche (troppo magro, troppo piccolo, è un raccomandato e altre cavolate simili) inutile spiegarvi che è entrato con prepotenza nella storia di questo ateneo:  se la prima stagione facciamo finta che non sia mai esistita (solamente 13 minuti di media), nei seguenti tre anni ha riportato i Bruins nell’olimpo, tra le più prestigiose università americane, senza vincere però il titolo NCAA. Restano diverse prestazioni individuali a ricordarci che giocatore fosse:

  • secondo realizzatore della storia di UCLA (dietro solo ad un certo Lew Alcindor),
  • record di punti segnati in una singola stagione
  • media di punti segnati più alta di sempre

Reggie Miller Gli Indiana Pacers spendono l’undicesima scelta al primo giro nel draft del 1987 e le critiche, come sempre dal resto, non tardano ad arrivare: troppo smilzo per la lega, non può reggere in un campionato così fisico. Già dalla sua stagione da rookie dimostra di essere un discreto realizzatore, con un ricco arsenale, specializzandosi soprattutto nel tiro da tre punti.  Al suo terzo anno arriva l’esordio ai playoff, però i Pacers sono nel pieno di un processo di ricostruzione e la squadra, che per tre stagioni consecutive sarà eliminata al primo turno, non può competere con i Detroit Pistons di Thomas.

La svolta arriva la stagione successiva: in panchina viene firmato Larry Brown e viene scelto Antonio Davis al draft. Miller e compagni abbattono la maledizione del primo turno e dopo aver sconfitto Orlando e Atlanta, affrontano i New York Knicks di Patrick Ewing alle Finali di Conference. Purtroppo la squadra è ancora giovane e poco amalgamata, ma riesce a portare i Knicks fino gara 7 grazie ad alcune prodezze dello smilzo, come ad esempio durante gara 5: la serie è sul 2-2 e al Madison Square Garden il punteggio dice +20 per i padroni di casa quando mancano 12 minuti sul cronometro. E’ qui che nasce la leggenda. E’ qui che Reggie Miller entra a far parte della storia: 25 punti con 5 triple e vittoria per Indiana.

L’anno seguente ci riprovano e al secondo turno incontrano nuovamente New York. Voglia di vendicarsi? Assolutamente si.  Già da gara 1 il nostro dimostra che a perdere di nuovo non ci sta e vuole a tutti i costi tornare alle Finals: 18 secondi alla sirena finale ed Indiana si trova sotto di 6 punti. Avete presente la prestazione dello scorso anno? Ecco, dimenticatevela, perché questa ha fatto la storia della pallacanestro. Raffinatezza ed eleganza.


In finale quest’anno ci sono gli Orlando Magic e sempre dopo sette partite Miller deve arrendersi allo strapotere fisico di Shaquille O’Neal.

Indiana in questi ultimi anni è sempre stata inclusa tra le favorite al titolo, ma non è mai riuscita ad arrivare fino in fondo.  Reggie Miller è diventato un giocatore di punta nella nba, grazie alle sue giocate e soprattutto grazie alla sua continuità: nel quadriennio che va dal 1989 al 1993 ha disputato TUTTE le partite di regular season, senza mai scendere sotto i 20 punti di media. Un giocatore incredibilmente devastante, fortemente temuto dalle difese avversarie, soprattutto negli sprazzi finali delle partite. Eppure non era mai riuscito ad andare fino in fondo. I problemi fisici che lo perseguitano nelle stagioni a venire hanno imposto alla dirigenza la necessità di rifondare una squadra si forte, ma mai completa.

Reggie MillerrI playoff del 2000 sono una delle ultime possibilità per Miller di tentare l’assalto al tanto agognato titolo nba: eliminate in sequenza Philadelphia, Milwaukee e New York, finalmente i Pacers riescono a disputare le Finali NBA. Ad Ovest i Los Angeles Lakers di Kobe Bryant e Shaquille O’Neal hanno vinto e dominato ogni singolo turno e sono nettamente i favoriti. La squadra non sarebbe nemmeno così male: Mark Jackson in cabina di regia, Jalen Rose a dividere il campo e Rik Smits sotto canestro, il tutto orchestrato da Larry Bird capo allenatore. Ci hanno provato fino in fondo e Miller nonostante l’età (34 anni), ha tenuto una media di 24 punti a partita con il 40% da dietro l’arco, ma i Lakers erano troppo forti.

Dopo tre anni, al termine della stagione 2004-2005 Miller si ritira alla veneranda età di 39 anni. Riguardando un po’ alla sua carriera, quello che mi è rimasto più impresso è la capacità con la quale è riuscito a venire fuori, ad emergere. Non era un rimbalzista, non sapeva nemmeno passare particolarmente bene la palla, non era un buon difensore e non aveva un fisico consono alla nba. Non sapeva fare niente particolarmente bene, ma alla fine faceva un po’ di tutto. E’ il secondo giocatore per triple realizzate nella storia, ma se andassimo ad analizzare attentamente la sua tecnica di tiro, si potrebbe notare più di qualche imperfezione. Nel 1994 è entrato nel ristretto gruppo dei 50-40-90 club: ovvero 50.3% al tiro, 42% da tre punti e 90.8% ai liberi (al momento sono solamente in 6 i giocatori a farne parte). Un giocatore furbo, troppo furbo, così da aver scatenato una quantità incalcolabile di risse attraverso il suo trash talk e con il suo famoso tiro, tanto da dover decretare scorretto un movimento che fino alla sua ascesa era considerato legittimo: quel piede al giorno d’oggi non si può più allontanare dal cilindro e allungare verso l’avversario.

Oggi siede comodamente sulla poltrona di TNT dove commenta a bordo campo le partite nba. I riconoscimenti sono infiniti e inserirli tutti in questo articolo già prolisso non mi sembrava il caso. Vorrei come ultima cosa ricordare solamente che nel 2012 è entrato meritatamente nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame di Springfield.

Un vincente che non ha vinto… Ma siete veramente sicuri non abbia vinto?

Giovanni Aiello

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