David Robinson “The Admiral” e la sua quadrupla doppia

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La partita che vogliamo raccontarvi oggi, va in scena in quel di San Antonio, Texas, ma in campo non c’è ancora Tim Duncan (strano ma vero). E’ il 17 febbraio del 1994 ed in città sono arrivati i Detroit Pistons di Isiah Thomas in netta parabola discendente. Quale migliore occasione per griffare una delle più sensazionali prestazioni individuali di sempre? L’Ammiraglio non se la lascia sfuggire. Ecco il racconto della quadrupla-doppia di David Robinson. 

Nonostante fosse già alto 2 metri durante l’ultimo anno del liceo, il basket proprio non piaceva a David; era il miglior giocatore della sua squadra senza aver mai disputato una partita regolamentare, ma non aveva attratto l’attenzione dei vari college. Così, grazie alla sua grande devozione allo studio, si iscrisse all’Accademia Navale (come suo padre) e si laureò in matematica. Inizialmente non venne ammesso perchè era 6 centimetri più alto dell’altezza massima consentita e pensò di lasciare dopo il secondo anno poiché, per le stesse ragioni, non gli permettevano di svolgere tutti i compiti che gli venivano assegnati. Nel frattempo continuò a giocare e a crescere, tanto da raggiungere i 2.13 di altezza, ma non si aspettava di certo di arrivare nella NBA, tanto meno di diventarne un’icona. Guidò la sua “NAVY” ad una partita dalle Final Four NCAA del 1986, fu per due volte un All-American e vinse i due più importanti riconoscimenti a livello collegiale: il Naismith ed il Wooden Award. Nel 1987 fu chiamato con la prima scelta assoluta dai San Antonio Spurs, che dovettero attendere altri due anni prima di poterlo inserire nella squadra; lo studio prima di tutto, come voleva sua madre.

Le regole dell’epoca permettevano a Robinson di dichiararsi nuovamente al Draft del 1989 ma si accordò con San Antonio, ricevendo uno stipendio, per ogni anno, pari alla media dei due giocatori più pagati della lega; in alternativa sarebbe diventato un free agentIl suo impatto fu devastante. Gli Spurs passarono da 21 a 56 vittorie nell’arco di una stagione, un record per la NBA che venne poi superato dalla stessa San Antonio all’arrivo di Tim Duncan ed infine dai Celtics dei Big Three nella stagione 07-08. Fu nominato all’unanimità Rookie dell’Anno e guidò gli Spurs fino alla semifinale di Conference dove persero per mano dei Portland Trail Blazers. Nel 1992 fece parte dello storico Dream Team delle Olimpiadi di Barcellona mentre nella stagione 1993-1994 ingaggiò un duello con Shaquille O’Neal per il titolo di miglior marcatore, conquistandolo grazie ad una prova da 71 punti contro i malcapitati Clippers che gli valse anche il record di franchigia, superando i 63 di George Gervin.

Ma soffermiamoci di più su questa stagione, perché è chiaro che il ragazzo studioso non è un giocatore come tanti, è ormai una stella affermata ed affamata di successo. Siamo a metà stagione e coach John Lucas fa di Robinson il suo unico punto di riferimento offensivo, di gran lunga il giocatore più forte della sua squadra in cui figurano anche Vinny Del Negro e Dennis Rodman. Il primo tempo scorre via senza particolari scossoni ma i costanti raddoppi che la difesa di Detroit attua nei confronti dell’Ammiraglio fanno lievitare la voce “assist”; per i punti nessun problema così come per le stoppate, già 6 a referto. Nel terzo quarto gli Spurs piazzano l’allungo decisivo ma presto ci si rende conto dei numeri che sta realizzando David Robinson: mancano gli ultimi 12 minuti di partita ed è lontano solo un rimbalzo da una storica quadrupla-doppia. E’ paradossale visto che proprio i rimbalzi sono il suo pane quotidiano, ma di fianco a lui un certo Rodman ne ha catturati 22, rendendogli questo compito un po’ più difficile. Ci riuscirà poco dopo. Con i liberi per i punti numero 33 e 34, coach Lucas lo tira fuori dal campo con la partita ampiamente in ghiaccio. Queste le cifre finali di una partita leggendaria:

34 punti, 12/20 dal campo e 10/17 ai liberi, 10 rimbalzi, 10 assist, 10 stoppate, 2 palle rubate e una sola palla persa. 

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Il ristretto club dei giocatori con una quadrupla doppia (ufficialmente riconosciuta) in carriera si arricchisce di una unità: vicino a Nate Thurmond, Alvin Robertson e Hakeem Olajuwon ora troviamo anche l’Ammiraglio Robinson. Raccontato così può sembrare un caso isolato, ma andiamo a valutare l’intera settimana.

  • Vs Pacers: 34pts 10rebs 9asts
  • Vs Pistons: 34pts 10rebs 10asts 10blks
  • Vs Heat: 19pts 12rebs 7asts
  • Vs Twolves: 50pts 9rebs 6blks
  • Vs Jazz: 25pts 16rebs 9asts

Semplicemente inarrestabile. L’unico che fu in grado di porsi davanti a lui fu proprio il nativo nigeriano menzionato poco sopra. Olajuwon ed i suoi Rockets non lasciarono scampo agli Spurs di Robinson, che vide così svanire un’altra possibilità di vincere l’anello. Dovette attendere altre quattro stagioni, accompagnate da innumerevoli infortuni ma anche dall’arrivo del suo “gemello” Tim Duncan e delle conseguenti “Twin Towers”, per raggiungere finalmente il titolo di campioni NBA nella stagione del lockout nel 1999.

Potremmo stare qui ore ad elencarvi gli altri innumerevoli riconoscimenti e record che detiene David Robinson ma preferiamo ritornare su quanto fu in grado di fare quella sera contro i Pistons. Per realizzare una quadrupla-doppia bisogna essere il prototipo del giocare ideale: un giocatore in grado di segnare, di essere altruista e di servire i compagni, di difendere il proprio canestro come la propria casa e mettendoci la stessa voglia e dedizione su entrambi i lati del campo. Non è un caso che sono passati quasi 22 anni da quella serata e nessuno sia riuscito a replicare una tale prestazione. La NBA di oggi è ricca di specialisti ed è utopico pensare che un giocatore possa da solo fare la differenza e realizzare numeri simili. Abbiamo fresca nella memoria la prestazione di LeBron James nelle ultime Finals, con delle cifre fantascientifiche ma la vittoria finale ai Golden State Warriors, figli del lavoro di squadra in cui tutti hanno messo il proprio mattoncino. Oggi con tutta probabilità il più indicato a potersi avvicinare a realizzare una quadrupla-doppia è Anthony Davis, isolato nel deserto dei Pelicans, o Draymond Green, il tutto fare di Golden State.

Erano altri tempo, ritmi diversi, ma la classe e il dominio dell’Ammiraglio rimarranno scolpiti nella pietra e nei libri di storia di questo gioco. 

 

 

 

Lorenzo Simonazzi

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