Shaquille O’Neal, 216 cm di potenza e divertimento

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Shaquille O'Neal

The Big Diesel, The Big Aristotele, The Big Cactus, Superman, Wilt Chamberneezy, The Real Deal, Shaqovic, Shaqstradamus… tutti i soprannomi che si è dato lui, più semplicemente… Shaq, ecco l’infinita lista di nomi con i quali ha dominato la scena del basket NBA, un campione, ma non solo, perché oltre alle sue prestazioni sul campo Shaq doveva condividere con la sua gigantesca personalità.

La storia di Shaquille Rashaun O’Neal comincia il 6 marzo 1972, a Newark, nel New Jersey, in seguito ad una relazione avuta da sua madre Lucille con un giocatore di basket locale, non certo un fulmine di guerra, Joe Tony. Sin dai primi giorni però il piccolo Shaquille indirettamente dovette condividere con un problema fondamentale della vita di ogni essere umano, il cognome. Il padre naturale infatti, oltre a non riconoscere il figlio, lo abbandonç, lasciandolo solo con la madre (di cui prenderà il cognome infatti, O’Neal). La solitudine portò per un breve periodo Lucille a ridosso di alcool e droga, ma un giorno conobbe l’uomo della sua vita, un militare americano, un Marine, che risponde al nome di Philip Harrison.

Sin dai primi momenti Phil si prese cura di Lucille e del piccolo Shaquille, crescendolo come fosse un figlio, educandolo con regole ferree, a fin di bene. La madre ed il piccolo dovettero però seguire gli spostamenti di Phil e Shaq si ritrovò senza un posto fisso dove vivere. Curioso un episodio della sua vita quando, a 6 anni, cadde da un albero e si fratturò il polso destro, episodio che nel corso della sua carriera gli creò diversi problemi, limitando parzialmente il suo gioco (ai liberi soprattutto).

Il primo pensiero dello Shaq adolescente non era il basket, bensì la musica ma, a 14 anni, ecco la svolta della sua vita. Si trovava in Germania per seguire “papà” Phil nei Marines e un giorno, mentre stava passando il tempo facendo due tiri a canestro in una base militare, conobbe Dale Brown, l’allora allenatore dei LSU Tigers che, desideroso di aggiungere nuovi talenti al suo college, gli chiese quanti anni avesse e da quanto tempo giocava a basket. Vedendo in lui un futuro fenomeno, gli chiese di entrare nella sua squadra; Shaq rispose che gli sarebbe piaciuto provarci ma che aveva solo 14 anni e che non aveva mai toccato un pallone da basket in vita sua al di fuori delle basi dei Marines. Questa risposta lasciò basito coach Brown, che scoprì di aver trovato un lungo che in futuro avrebbe potuto dominare la scena per molti anni.

Phil, dopo l’esperienza avuta in Germania, decise di rientrare in patria anche per permettere a Shaquille di provare a sfondare nel mondo della pallacanestro e lo portò a San Antonio, in Texas, dove lo iscrisse alla Cole High School, in cui Shaq giocò per due anni. Una volta apprese le nozioni di base e soprattutto i fondamentali divenne un vero e proprio talento, trascinando la sua squadra al titolo nazionale del Texas e perdendo solo una partita. Un episodio cruciale nel corso della sua vita fu la prima partita NBA vista dal vivo, un incontro dei San Antonio Spurs, guidati dall’allora giovane ma fenomenale David Robinson,scelto con la prima scelta assoluta al Draft del ’87. Shaq ebbe modo di conoscerlo personalmente, ma Robinson non dedicò molto tempo a O’Neal e lo congedò dopo pochi minuti, non dandogli la benché minima attenzione. Questo incontro sconvolse Shaq, che nel corso della carriera non risparmiò mai di criticare l’Ammiraglio per i suoi atteggiamenti dentro e fuori dal campo.

Nel suo primo anno a LSU, non mancarono le difficoltà, dovette farsi largo per ritagliarsi uno spazio importante nell’assetto di coach Dale, che però poteva contare su due futuri giocatori professionisti: il playmaker Chris Jackson (in futuro Mahmoud Abdul-Rauf, primo terminale offensivo) e il centro Stanley Roberts. O’Neal dunque dovette condividere lo spazio nella rotazione con una presenza ingombrante come Roberts e, per via della loro posizione, non potevano certo giocare entrambi. Molto spesso durante gli allenamenti scoppiavano vere e proprie risse da saloon tra O’Neal e Roberts, che a fine anno lasciò la squadra firmando con il Real Madrid mentre Jackson si dichiarò al Draft e venne scelto da Denver. Shaq chiuse la sua prima stagione a LSU registrando 13.9 punti (tirando con il 55.6% dal campo), 12 rimbalzi e 1.9 assist.

Nel suo anno da Sophomore si rese conto di essere la prima opzione offensiva della squadra e nel corso della stagione registrò numeri stratosferici, terminando con 27.6 punti (63.8% dal campo), 14.7 rimbalzi e 1.6 assist, anche se la squadra non conseguì nessun risultato di rilievo, non accedendo nemmeno alle Final Four. Inizialmente la sua intenzione era quella di dichiararsi eleggibile per il Draft del ’91 ma il sergente Harrison non lo permise e lo convinse a ritardare di un anno l’ingresso nel mondo dei Pro. L’anno da Junior, 1991-92, fu il più difficile per O’Neal per il fatto che gli avversari si adattarono al suo modo di giocare e dunque anche le sue cifre registrarono un lieve calo (24.1 punti, 52.9% dal campo, 14 rimbalzi, 1.5 assist). Ma, durante una partita di PO contro Tennessee, arrivò la fatidica “goccia che fece traboccare il vaso”, quando O’Neal, che aveva trascinato LSU ad un vantaggio di oltre 20 punti, inveì contro Carlus Groves, prendendolo a pugni perché stanco delle sue mosse sporche per marcarlo.

Al termine del suo terzo anno si dichiarò al Draft del 1992 e venne inserito nel primo quintetto All-American per quanto riguarda le annate da Sophomore e da Junior. Da Sophomore fu anche riconosciuto come il miglior giocatore di college da parte di Associated Press, Upi e Sport Illustrated. Quando concluse la sua carriera universitario risultò il miglior stoppatore di tutti i tempi della SEC (conference dove milita LSU).

Al Draft del 1992 gli Orlando Magic ottennero la prima scelta assoluta, dovuta al fatto di aver disputato le prime quattro annate in NBA con risultati tutt’altro che convincenti (la franchigia nacque nel 1988) e non ebbero il benché minimo dubbio nel scegliere Shaq, che cominciò la sua avventura nella lega sotto l’occhio di tutti i riflettori, reo del fatto di essere un fenomeno, una superstar, ancor prima di cominciare (come affermò anche Larry Bird in una conferenza stampa nel suo ultimo anno in NBA, nel 1992 appunto). A quei tempi però dietro il centro di Newark incombeva l’enorme presenza di Leonard Amato, agente di altissimo livello che in passato aveva tra i suoi assistiti centri Kareem Abdul-Jabbar e Hakeem Olajuwon. Amato cercò di portare sin dal primo anno Shaq in California, più precisamente a Los Angeles, sponda Lakers, dove, oltre a poter giocare in una delle più grandi franchigie dello sport americano, avrebbe avuto la possibilità di incidere dischi ed affermarsi anche come attore. Ma tra Amato e la dirigenza dei Magic ci fu subito un braccio di ferro dato che Orlando non voleva cedere il giocatore su cui avevano puntato per accontentare il suo agente; Amato allora arrivò persino a minacciare che Shaq avrebbe saltato tutta la stagione da Rookie, ma così non fu, dato che Shaq scese a compromessi con la società, firmando un contratto di 7 anni, che prevedeva un’opzione per uscire da esso dopo 4 stagioni.

Della serie a volte ritornano… nel 1991 Stanley Roberts aveva firmato per gli Orlando Magic, ma fu tagliato immediatamente all’arrivo di O’Neal in squadra per evitare ulteriori divergenze. Shaq dunque esordì in NBA e fin dai primi momenti si capì che il suo futuro non potesse che essere roseo, nel 1992/93 grazie ad una media di 23.4 punti (59.2% dal campo), 13.9 rimbalzi e 1.9 assist venne eletto Rookie dell’anno, aiutando la squadra a vincere 20 partite in più dell’anno precedente (da 21 a 41); tuttavia Orlando non riuscì ad entrare nei PO per un niente. Nel 1993/94 i numeri di Shaq crebbero ulteriormente a quota 29.3 punti (55.4% dal campo), 13.2 rimbalzi e 2.4 assists, imponendosi come uno dei migliori realizzatori di tutta la lega. Per Orlando iniziò un periodo d’oro anche grazie all’aggiunta di Penny Hardaway, Rookie scelto al Draft 1993, che si trovò a proprio agio fin da subito accanto ad O’Neal. I Magic, per la prima volta nella storia della franchigia, approdarono ai playoffs ma l’assenza di un numero 4 di alta caratura ed esperienza si rivelò fatale.

La dirigenza di Orlando piazzò un formidabile colpo e nell’estate del 1995 firmò lo scontento free agent di Chicago Horace Grant. Grant, 3 volte campiona NBA coi Chicago Bulls di Michael Jordan, si sentiva a disagio nella Wind City e avallò il progetto giovane ed ambizioso dei Magic. Il 1995 si rivelò estremamente positivo per Shaq sia a livello individuale sia come risultati di squadra, così Orlando, dopo un paio di stagioni, accedette alle NBA Finals trascinate da un O’Neal sempre più leader. Orlando eliminò facilmente Boston al primo turno, sconfisse i Bulls di Jordan e spazzò via anche i Pacers di Reggie Miller. I Magic in 3 anni grazie all’arrivo di Shaquille avevano l’opportunità di vincere il primo titolo NBA della loro storia, ma dovettero cedere in 4 gare (la prima persa clamorosamente all’OT) ai Texani guidati da un formidabile Olajuwon.

I Magic, arrivati ad un passo dall’anello, ci riprovarono anche nel 1995/96, ma Shaq fu costretto a saltare 28 partite a causa di una serie d’infortuni alla caviglia e al ginocchio. La sua media punti scese leggermente ma si riconfermò come uno dei migliori giocatori della lega. Il cammino di Orlando non fu così netto come l’anno precedente e la squadra venne spazzata via da Chicago, subendo un altro sweep.

Arrivata l’estate del 1996 Shaq decise di uscire dal contratto e di sondare il mercato dei Free Agent. Jerry West, allora GM dei Lakers, contattò immediatamente O’Neal per cercare di convincerlo a cambiare squadra e di scegliere Los Angeles, avendo già preparato un ingaggio di 121 milioni di dollari in 7 anni. Il tutto divenne ufficiale il giorno prima dell’apertura dell’Olimpiade di Atlanta, quando Shaq firmò il contratto, diventando un giocatore dei Los Angeles Lakers. Durante l’Olimpiade disputò otto partite (vincendole tutte ed aggiudicandosi la medaglia d’oro), 3 volte titolare, chiuse con 9.3 punti (62% dal campo), 5.3 rimbalzi, 1 stoppata e 0.88 palle rubate.

Nella serata del Draft del 1996 Jerry West, sicuro dell’arrivo Shaq, mise a segno un colpo molto importante per il futuro della franchigia, scambiando Vlade Divac, il centro titolare diventato “superfluo”, con gli Hornets e al suo posto prese un giovane cresciuto in Italia e proveniente da una High School di Philadelphia, ovvero Kobe Bryant. La guardia della Lower Marion High School era ancora acerba e nelle prime due stagioni partì dalla panchina; tuttavia, anche se O’Neal continuava la sua scalata nella classifica dei migliori giocatori della lega, i risultati di squadra furono molto deludenti. Nei campionati 1996-97 e 1997-98 furono i Jazz a infrangere il sogno dei Lakers rispettivamente nelle Eastern Conference Semi-Finals e Finals. Particolarmente secca fu l’eliminazione del 1998 quando il duo Stockton-Malone diede a Shaq e compagni una lezione di basket indimenticabile,spazzando i Lakers con un netto 4-0. Nemmeno nel 1998-99, la stagione del lockout, i numeri di O’Neal (26.3 punti, 10.7 rimbalzi, 2.3 assist) riuscirono ad essere determinati nella postseason, i Lakers vennero eliminati nelle Western Conferece Semi-Finals per mano dei San Antonio Spurs del duo Robinson-Duncan con un altro cappotto.

L’estate del 1999 fu fondamentale per la dirigenza della Città degli Angeli, che riuscì a mettere sotto contratto l’ex allenatore dei Chicago Bulls di Michael Jordan, Phil Jackson. Shaq durante la stagione regolare fu a dir poco dominante concludendo con 29.7 punti (riconfermandosi dopo il 1995 come miglior realizzatore NBA, tirando con il 57.4% dal campo), 13.6 rimbalzi e 3.6 assists. Fu una stagione indimenticabile per O’Neal che  venne eletto MVP dell’All Star Game insieme a Tim Duncan e a fine anno risultò l’MVP anche della stagione regolare. Degni di nota  i 61 punti (con il tempo diventato anche massimo in carriera) contro i Clippers, rei di non avergli procurato i biglietti per i suoi amici e parenti. Nei PO il rendimento del Diesel si alzò notevolmente ed i Lakers si ritrovarono alle NBA Finals (vincendo 4-3 le ECF contro i talentuosi Portland Trail Blazers dopo essere stati sotto 1-3). Ad attenderlo c’erano i Pacers di Reggie Miller ma ciò non sembrò disturbare Shaq che in sei incontri terminò con una media di 38 punti (61.1% dal campo), 16.7 rimbalzi, 2.67 stoppate e 2.3 assists. La serie si chiuse 4-2 per i Lakers,con Shaq che venne eletto MVP delle Finali, essendo risultato immarcabile in quasi tutti gli aspetti del gioco, quasi appunto, perché gli avversari iniziarono ad usare l’Hack-a-Shaq, tecnica che consisteva nel mandare intenzionalmente O’Neal in lunetta per via della sua scarsa precisione ai liberi.

Il 2000-01 vide Shaq confermarsi come miglior centro della NBA con 28.7 punti, 12.7 rimbalzi e 3.7 assist. La stagione però fu caratterizzata dai primi screzi tra Shaq e Kobe, con quest’ultimo che iniziò a lamentarsi pubblicamente degli schemi usati in partita, considerando eccessivo il numero di palloni che poteva avere O’Neal e rivendicando un ruolo da leader al posto del n° 34. La situazione venne temporaneamente risolta da Jerry West, che riappacificò i due per i PO. I Lakers raggiunsero nuovamente le Finals, soprannominate Davide contro Golia: Davide erano i Philadelphia 76ers guidati da Iverson e Golia erano i gialloviola di Shaq. I 76ers stupirono il mondo in gara 1 allo Staples, quando A.I. fu protagonista di una delle più grandi prestazioni individuali in una Finale NBA mettendo a segno 48 punti e portando letteralmente da solo Phila al successo; ma dopo 5 gare a festeggiare l’anello di campione NBA e il titolo di MVP delle finali fu Shaquille O’Neal grazie alle sue cifre straordinarie che parlano di 33 punti, 57.3% dal campo, 15.8 rimbalzi, 4.8 assist e 3.4 stoppate. Sempre nel 2002 l’allora centro dei Toronto Raptors, Keon Clark, dichiarò che giocare contro Shaquille O’Neal era come giocare contro un frigorifero pieno che bisogna spostare… Anzi no, che vi attacca lui!

La stagione seguente, 2001-02, tornò a disputare meno di 70 partite a causa di svariati infortuni legati alle caviglie e all’alluce. Durante il corso dell’annata ci furono nuovamente problematiche con Bryant che continuava a lamentarsi di essere il secondo violino e per ripicca verso il duo Shaq-Jackson, passava giornate in cui, appena ricevuta palla, tirava e ad altre in cui faceva lo “sciopero del tiro” e anche da liberissimo passava la sfera ai compagni. Nella postseason i Lakers arrivarono nuovamente in Finale NBA, questa volta dopo aver sudato sette camicie contro i Sacramento Kings, che potevano contare su uno dei migliori roster nella storia della franchigia (Divac, Webber, Stojakovic, Christie e Bibby). In finale i Lakers dovettero sfidare i New Jersey Nets di Jason Kidd, Richard Jefferson e Kenyon Martin ma O’Neal, per la terza volta consecutiva, umiliò gli avversari in 4 gare terminando con 36.3 punti, 59.5% dal campo, 12.3 rimbalzi, 3.8 assist e 2.75 stoppate e facendosi eleggere per la terza volta consecutiva MVP delle Finals, unendosi a MJ come unico giocatore nella storia capace di tale impresa. In un’intervista dopo le Finals Bill Russel, il miglior centro difensivo della storia, dichiarò che lui contro O’Neal non avrebbe avuto chanc in difesa e lo consacrò come il giocatore più immarcabile e devastante di tutti i tempi.

Pochi giorni prima del via della stagione 2002-2003 Shaq decise di farsi operare al mignolo saltando così tutto il training camp ed il primo mese di stagione regolare. Bryant, fresco del terzo titolo ancora una volta vinto “all’ombra” del Diesel, accusò pubblicamente O’Neal di ingrassare troppo durante i mesi estivi e di essersi fatto operare apposta a fine settembre con lo scopo di allungare le proprie vacanze. Ancora una volta ci volle l’intervento di coach Zen per placare gli animi. L’MDE (Most Dominant Ever) chiuse la stagione con 27.5 punti, 11.1 rimbalzi e 3.1 assists a partita. Tutto ciò portò ad un calo di rendimento ed i Lakers furono eliminati dai SAS nelle Western Conference Semi-Finals in 6 gare.

Shaq durante tutta l’estate del 2003 spinse la dirigenza al rinnovo del contratto, in scadenza nel 2005, ma quest’ultima rifiutò, dichiarando di voler esaminare i risultati del ’03-’04 per prendere delle decisioni. Dal mercato dei free-agent arrivarono Gary Payton e Karl Malone, chiamati dal Diesel ed entrambi decisi a firmare per i gialloviola per cercare di vincere un titolo NBA. La stagione però fu piena di voci riguardanti i gialloviola, con Payton che si lamentava della Triple Post Offense, Malone che era spesso in lista infortuni e puntava al record di punti segnati di Jabbar, Bryant che continuava a non accettare il ruolo di secondo violino e con il rendimento di O’Neal al di sotto delle aspettative (21.5 punti, 11.5 rimbalzi, 2.9 assist). Nonostante le difficoltà i Lakers riuscirono a ri-approdare sul palcoscenico più importante dell’anno, le NBA Finals, con il favore del pronostico contro i Detroit Pistons. Fu un disastro, vennero spazzati via per 4-1 producendo un livello di gioco nettamente inferiore alle aspettative. La stagione si concluse con gli addii di coach Jackson, Malone e Payton e  il rapporto O’Neal-Bryant ormai irrecuperabile, con il Diesel che chiese ufficialmente di essere ceduto.

Nel corso dell’estate la dirigenza losangelina cercò un coach per il dopo Jackson e pensò al GM dei Miami Heat Riley, allenatore all’epoca dello showtime negli anni ’80, ma quest’ultimo rifiutò perché non ebbe la certezza di poter far convivere Shaq e Kobe, quindi decise di rimanere a Miami e portare il Diesel nella capitale della Florida come contropartita di Lamar Odom, Caron Butler e Brian Grant.

Shaq fu accolto da una miriade di tifosi Heat in una parata e con Dwyane Wade strinse un rapporto speciale. La prima stagione di O’Neal con la divisa degli Heat si chiuse con 22.9 punti, 10.4 rimbalzi e 2.7 assist. Nel corso dei PO Miami dovette cedere in 7 gare a Detroit nelle Eastern Conference Finals per via delle condizioni precarie di O’Neal e dell’assenza di Wade in gara 6 e 7. A fine anno rinnovò per altre 4 stagioni a “soli” 20 milioni di dollari per permettere alla società di operare sul mercato con più tranquillità.

Il 2005/06 fu il primo campionato in cui O’Neal non viaggiò in doppia-doppia (concluse con 20 punti, 9.2 rimbalzi, 1.9 assist), tuttavia la sua presenza a Miami continuò ad essere determinante per ogni chiamata offensiva e incredibilmente nei PO i Miami Heat arrivarono in finale contro i Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki. Ancor più speciale fu la rimonta della squadra della Florida che, sotto 0-2, vinse 4 gare consecutive laureandosi campione NBA; per Shaq si trattò del quarto titolo, il primo da secondo violino.

Nel 2006/2007 il rendimento di tutti i Miami Heat calò vistosamente e vennero spazzati via 4-0 per mano dei Chicago Bulls, con O’Neal che chiuse la stagione a  17.3 punti, 7.4 rimbalzi e 2 assist di media.

Il 2007/2008 si rivelò un flop per i Miami Heat che, stracolmi di infortuni,  con la stagione ormai compromessa e complice l’insistenza del GM dei Suns Steve Kerr, decisero di scambiare Shaq, mandandolo a Phoenix in cambio di Shawn Marion e Marcus Banks.

A Phoenix chiuse la stagione a 13 punti e 10 rimbalzi di media, ma la corsa dei Suns al titolo si fermò al primo turno contro gli Spurs, che passano per 4-1 (dopo una prima gara memorabile,finita all’OT e vinta dai Texani).

Nel 2008/2009 O’Neal ritrovò ottime medie, considerando l’età (17.8 punti,8.4 rimbalzi e 1.7 assist), ma i Phoenix Suns non trovarono l’accesso alla postseason ed a fine stagione Shaq ed il suo contrattone vennero scambiati a Cleveland in cambio di  Aleksandar Pavlović, Ben Wallace, una scelta nel 2° giro del Draft NBA 2009 e 500.000 dollari.

Cleveland era la casa dell’MVP in carica LeBron James e subito Shaq si trovò a proprio agio nel ruolo di centro titolare, chiudendo la stagione con il miglior record di squadra di tutta la lega e registrando 12 punti, 6.7 rimbalzi e 1.5 assist. Tuttavia, dopo un primo turno giocato ad un buon livello dai ragazzi di coach Mike Brown, i Cavs caddero in 6 gare contro dei sempreverdi Boston Celtics. A fine anno Shaq era free agent e, ricevuti gli interessamenti da parte di Mavs, Hawks, Celtics ed addirittura Heat, decise di accasarsi nella squadra più vincente a livello NBA, firmando un contratto biennale al minimo salariale con Boston.

Nonostante avesse firmato un biennale, giocò solo un anno ai Boston Celtics, disputando 37 partite di cui 36 da titolare e chiudendo con 9.2 punti e 4.8 rimbalzi, senza dare un contributo nei PO per via dell’infortunio all’alluce del piede destro.

Il 1° giugno 2011 l’annuncio via Twitter del proprio ritiro dopo 19 anni passati a calcare i parquet NBA,lasciando questo messaggio per i suoi fans: “E’ fatta,dopo 19 anni baby. Volevo ringraziarvi,ho deciso di ritirarmi,vi amo,ci sentiamo presto…”.

Numerosi sono stati i tributi in suo onore e i complimenti ricevuti da mezzo mondo. Nulla da aggiungere, Shaquille Rashaun O’Neal nella sua carriera, oltre ad essere stato uno straordinario campione, si è rivelato un grandissimo showman (attore,wrestler,rapper,produttore televiso e,a tempo perso sceriffo,anche se con risultati alterni) che ha colpito per la simpatia e la personalità (l’unico essere umano che giganteggia al David Letterman Show,fate voi…) che non si pensava potessero mai essere presenti in un uomo di 216 cm. Spettacolari le sue trovate ad ogni All Star Game per deliziare il pubblico ed i fans. Molti ritengono che se avesse dedicato anima e corpo (tenendo il peso attorno ai 140 kg anziché 160/170 kg degli ultimi anni) alla pallacanestro a quest’ora avrebbe riempito entrambe le mani di anelli di Campione NBA. Probabile,  vero… Ma questo è stato il suo limite e anche la sua grandezza.

“Non c’è mai stato nessuno in grado di convincerlo ad allenarsi nella off-season,tranne per un anno Phil Jackson,altrimenti il ragazzo sarebbe adesso,numeri alla mano,il numero uno ogni epoca tra i centri”

-Federico Buffa

“Io,che sono considerato il più grande centro difensivo,contro di lui,non avrei avuto nemmeno una chance” Bill Russell

Grazie di tutto Shaq.

Redazione BasketUniverso

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