Steve Kerr: ora vorrei ritornare

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29 Luglio 1890.

Thèo e Ravoux sono seduti ai bordi di un letto. Senza parlare. Ormai anche le più flebili speranze si stanno spegnedo.

“Non ce la farà”, sussurra Thèo all’orecchio di Ravoux che, senza guardare verso la spalliera del letto, annuisce con la testa. Mentre quest’ultimo sta per alzarsi, una mano accarezza la sua. Si volta di scatto. Vincent, disteso sul letto, ha incredibilmente aperto gli occhi. Raccoglie le forze e con un filo di voce: “Ora vorrei ritornare”.

Queste furono le ultime parole che Vincent van Gogh pronunciò sul letto di morte. Si era sparato un colpo di pistola nel petto due giorni prima. Era stanco. Stanco di lottare per la sua arte che nessuno apprezzava. Stanco di dimostrare al mondo quanto fossero ipnotici i suoi ritratti. Di quanto i suoi paesaggi potessero far piangere, di quanto i suoi cipressi potessero, invece, consolare chi si soffermava a guardarli. Dilaniato da quella frase che ha sentito ripetersi per i 10 anni in cui ha dipinto: “Non hai la propensione per la pittura, hai iniziato troppo tardi, i tuoi quadri non emozionano”.

11 Maggio 1984.  Arizona. Steve si sta allenando da solo in palestra. Una porta si apre con veemenza. Il suo compagno di stanza al college corre verso di lui.

“Steve, Steve, c’è tua madre al telefono, dovresti rispondere”

Steve butta per aria la palla a spicchi con la consapevolezza di chi sa benissimo che non è successo niente di buono.

“Mamma… dimmi”

“Tuo padre… è stato assassinato”

Malcolm Kerr, padre di Steve, era un diplomatico che lavorava in Libano per conto del Governo degli Stati Uniti. Al funerale Steve avvicinandosi alla madre le sussurrò all’orecchio:

“Mamma, credo che ora vorrei ritornare, non ha più senso che io provi ancora”.

Si. Perché se sei alto 185 centimetri e pesi neanche 80 chili non è così ovvio che tu possa giocare a basket. Tutt’altro. Steve deve e dovrà convincere tutti. Convincere chi al college gli dirà: “Non hai la propensione per il basket, non hai il fisico e l’altezza, le persone vogliono emozionarsi, con te è impossibile”.

13 Giugno 1997. United Center. Michael Jordan viene raddoppiato. Scarico e palla nelle mani di Kerr. Steve prende il tiro che può decidere le Finals tra i Bulls e i Jazz. Pochi secondi alla fine. Come una straordinaria pennellata il pallone accarezza la retina. I Bulls sono campioni NBA.

Michal Jordan nel time out decisivo preannuncia a Kerr che sarà lui ad avere la palla della partita.

Sì, proprio Steve Kerr, il biondino alto 185 centimetri che non ha le caratteristiche per giocare. Che non potrà mai emozionare, né ora ne mai.

Nel basket, come nella vita, non conta la forza che hai nelle braccia o la lunghezza delle tua gambe, ma solo la grandezza del tuo cuore.

Dentro o fuori da un ring non c’è niente di male nel cadere. L’unica cosa sbagliata è rimanere a terra.

Gabriele Manieri
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