Storia di un fallimento quasi annunciato

Rubriche Serie A News

Fallimento. Desolazione. Ennesima rivoluzione. La stagione dell’Olimpia Milano si riassume in queste tre parole finali, parole che in casa biancorossa sono ampiamente conosciute, e che puntualmente appaiono quasi ogni stagione. Ma come ci si è arrivati in questa stagione 2016/17? Le tappe e le motivazioni sono molteplici, è inutile puntare il dito contro una singola persona o un singolo ruolo, tutti sono colpevoli di questo fallimento colossale, che passo dopo passo ha sempre più preso forma, senza dar mai la sensazione che Milano potesse uscire dal tunnel.

La stagione milanese si è conclusa con un Forum che ha riempito di fischi il proprio allenatore, la propria dirigenza e buona parte dei giocatori, salvo qualche applauso unicamente per la banda degli italiani, unici ad aver sempre dimostrato almeno impegno costante e voglia di fare, fino in fondo. Trento non ha rubato nulla, ha semplicemente meritato e dominato questa semifinale, coach Buscaglia e i suoi giocatori sono usciti dal Forum accompagnati da una standing ovation del pubblico biancorosso, evento raramente visto e vissuto su questi spalti. I problemi milanesi però non sono sorti solamente ora, perché l’intera stagione è stata costellata da alti (pochi) e bassi (tanti), e la vittoria della Supercoppa Italiana e delle Final8 di Rimini non sono assolutamente sufficienti per cancellare la parola “fallimento”.

Le tappe di questi nove mesi sono state diverse, a partire soprattutto dalla sfuriata di Repesa dopo la vittoria in trasferta a Torino, e passando per l’improvviso taglio dal roster di Alessandro Gentile, ovvero il simbolo di questa Olimpia negli ultimi sei anni. Sicuramente all’interno di uno spogliatoio ci sono stati problemi, ma a volte il modo in cui essi sono stati trattati ha lasciato a desiderare. Motivo per cui le colpe sono da ripartire tra tutti, perché una società forte si fa sentire se il proprio allenatore se ne esce in conferenza stampa in quella maniera, si fa sentire se l’atteggiamento di certi giocatori è quello che si è visto lungo tutto l’anno. Oltre al caso Gentile c’è quello, emblematico, di Miroslav Raduljica, arrivato con grandi proseliti e rivelatosi poi uno dei flop più grossi di tutta l’era Armani, privando di fatto Milano di un giocatore di rotazione, portando così McLean a tirare la carretta per mesi, e arrivare ai Playoff in uno stato di forma a tratti pietoso.

E’ fuori discussione che Repesa abbia avuto le proprie colpe, ha gestito in maniera scellerata le rotazioni in gran parte delle partite, nonostante certe volte sia sembrato si trattasse più di scelte “punitive” nei confronti di alcuni giocatori, piuttosto che dovute a temi tattici. Si è partiti con un roster di 14 giocatori a referto, tutti potenzialmente titolari nei quintetti delle altre squadre di Serie A, si è finita la stagione ruotando in 8, complici mille infortuni e decisioni dell’allenatore alquanto rivedibili. Qui entra in gioco anche l’aspetto societario. Una società che, tolto l’innesto di Tarcweszki, non si è mai mossa sul mercato per sopperire all’infortunio di Zoran Dragic e ai ripetuti infortuni di Simon, portando così Milano a giocare a ranghi ridotti rispetto al potenziale iniziale. Ovviamente molti giocatori hanno reso al di sotto delle aspettative: Sanders è stato l’emblema assoluto, un giocatore con un potenziale mostruoso che è finito per risultare deleterio nella maggior parte delle gare, giocando svogliato e isolandosi dal resto della squadra. Hickman, per quanto ci abbia sempre messo impegno, è chiaro non essere più quello del 2014 e anche la sua stagione è da considerarsi insufficiente, come quella di un Kalnietis, tornato dalle Olimpiadi in condizioni fisiche approssimative, e mai ripresosi durante tutto l’arco della stagione, terminata con quella rimessa in Gara-5 contro Trento che è davvero la fotografia della stagione di Milano.

Si usa dire che “il pesce puzza dalla testa”, e sicuramente anche a livello dirigenziale qualche intervento deve essere fatto; il presidente Proli si è preso le responsabilità di tutto (e questo gli fa onore), ma, dopo nove anni di gestione, di sbagli ne sono stati commessi parecchi. Il GM Portaluppi è sempre parso essere messo in disparte, in un ruolo che forse non gli appartiene propriamente e nel quale lui stesso si sente “rinchiuso”, a dimostrazione che questa Olimpia, soprattutto per competere anche in Eurolega e non terminare nuovamente all’ultimo posto, necessita di un General Manager di livello internazionale, che porti alla costruzione di un progetto serio e stabile, e non a cambiamenti radicali ogni due anni. Sotto le figure di Proli e Portaluppi c’è quella Repesa, accontentato in tutto e per tutto nei giocatori richiesti, e mai in grado di assemblarli alla perfezione, mai in grado di costruire quel gruppo che si sperava che portasse alla Terra Promessa. Certo, in 2 anni ha vinto due volte la Coppe Italia, una la Supercoppa e una lo Scudetto. Sicuramente i risultati ci sono stati, ma quello che è sempre sembrato mancare è stata la cosiddetta garra, la voglia di lottare su ogni pallone, il famoso “sputare sangue” che da sempre distingue la gloriosa storia Olimpia.

Cosa c’è da salvare di questa stagione? Qualcosa sicuramente c’è, è innegabile. Il gruppo degli italiani ha sempre mostrato di poter dire la propria, Andrea Cinciarini ha combattuto da vero capitano, magari spesso e volentieri sbagliando scelte e giocate, ma senza mai fare un passo indietro, dando l’anima sempre. Davide Pascolo ha goduto della consacrazione definitiva, terminando la stagione in lacrime, con un menisco rotto e vedendo la “sua” Trento dominare e andare in finale, ma ricevendo comunque gli applausi del nuovo pubblico, del quale ormai è e sarà un punto fermo per gli anni a venire. Fontecchio e Abass, dopo un inizio di stagione molto difficile, dovuto a un non utilizzo difficilmente comprensibile, hanno guadagnato i loro spazi, han dimostrato il loro valore, risultando comunque essere sempre positivi nonostante le notevoli difficoltà riscontrate. Su loro 4 Milano deve creare la base più solida per il futuro. Infine c’è anche Kuba Tarcwezski, arrivato dal nulla e dimostratosi comunque un discreto giocatore, utile alla causa, che potrà servire la prossima stagione come cambio di un pivot valido.

Le note positive però terminano qui. Ora inizierà sicuramente un’estate turbolenta per i cuori biancorossi, sia a livello di mercato che soprattutto per quanto riguarda l’allenatore. Milano non è una piazza facile: o vinci o fallisci, le vie di mezzo non esistono, e per questo ora serve una figura forte, estremamente forte, che conduca questa squadra ad altri traguardi. Una figura che, appena arriverà, avrà subito un importante grattacapo da gestire: Alessandro Gentile, che fino a prova contraria è ancora un giocatore dell’Olimpia Milano per la prossima stagione e che, come ha fatto capire Proli, vedrà il proprio destino nelle mani del futuro coach.

Fallimento. Desolazione. Ennesima rivoluzione. Per essere pronti a ripartire nuovamente, per la storia dell’Olimpia Milano.

Luca Consolati

2 thoughts on “Storia di un fallimento quasi annunciato

  1. Beh, visto il distacco abissale tra il budget di Milano e quello di tutte le altre squadre vincere è il minimo dei minimi. Spiace per il basket italiano ma è così.
    Poi se la squadra fa schifo qualcosa deve essere andato male e qualcuno deve aver sbagliato.

  2. Partire con l’idea che l’Olimpia debba per forza vincere il campionato è sbagliato. Può succedere di essere eliminati in semifinale, anche se indubbiamente la squadra ha fatto schifo e Repesa è un contadinotto balcanico che se non fosse stato un coach di basket lo avrei visto bene fare il buttafuori in qualche discoteca di Belgrado frequentata da signorine non proprio “educande”

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.