Tra guerra fredda, birra fresca e mano calda: la parabola di Arvydas Sabonis

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A pochi in una vita intera capita ciò che ad Arvydas Sabonis è accaduto in meno di vent’anni: dal vincere due medaglie olimpiche con due nazionali diverse a sfiorare il titolo di Rookie Of the Year a trentun anni, passando per un MVP dell’Eurolega all’ultima stagione da professionista, alla veneranda età di quaranta primavere. Di fronte a questi dati nessuno oserebbe dire qualcosa, ma la particolarità della carriera di Sabonis è che è caratterizzata da “se” e “ma”. Dove sarebbe arrivato se non avesse subito quell’innumerevole serie di infortuni? Quanto avrebbe vinto di più se avesse iniziato prima la sua carriera Oltreoceano? Era un indubbio campione, ma avrebbe fatto di più se non avesse avuto problemi con l’alcool?

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Questo è l’aspetto di un Arvydas Sabonis agli albori, lontano parente dell’enorme gigante visto con la maglia di Portland.

La carriera cestistica del giovane Arvydas Romas Sabonis, venuto al mondo il 19 dicembre 1964, inizia nella propria città natale, Kaunas, ai tempi ridente cittadina dell’Unione Sovietica. A soli diciassette anni il bambino prodigio alto 2.21 metri debutta nella maggiore squadra locale, lo Zalgiris con cui vincerà tre volte consecutive il campionato sovietico, raggiungendo inoltre una finale di Eurolega da leader assoluto. Il tutto a soli ventidue anni.

Da subito, tuttavia, iniziano i primi problemi di un inizio di carriera travagliato per “Sabas”. Proprio poco dopo la finale di Eurolega persa contro il Cibona Zagabria, Sabonis subisce un gravissimo infortunio al tendine d’Achille, che ne ridimensiona il rendimento comunque impressionante. Dichiaratosi eleggibile per il draft NBA, viene selezionato dai Portland Trail Blazers con la scelta numero 24 nel 1986, ma il lungo non è ancora pronto al grande salto. Nei due anni che seguono, Arvydas è tartassato dagli infortuni, ma da “Principe del Baltico” qual’è risorge in tempo per gli appuntamenti importanti: è il centro titolare della nazionale sovietica alle Olimpiadi di Seoul dell’88.

Sabonis qui con la maglia dell'URSS.
Sabonis qui con la maglia dell’URSS a Seoul ’88.

Nell’attesissima – e tesissima – semifinale dal sapore di guerra fredda vinta contro gli Stati Uniti  per 82-76, Sabas fa registrare una doppia-doppia da 13 punti e 13 rimbalzi che pesa come un macigno. Poi, in finale contro l’altra repubblica socialista scomparsa, la Jugoslavia di Drazen Petrovic e Vlade Divac, il Pincipe del Baltico si rivela fondamentale per la vittoria dell’oro olimpico: con 20 punti è miglior marcatore del proprio team, secondo solo a Saraunas Marciulonis.

Nel 1989 Sabonis lascia il Mar Baltico e trascorre i seguenti sei anni in Spagna, tra il Valladolid e il Real Madrid. Il clima più mite ne tempra lo sviluppo dal punto di vista tecnico e tattico e nelle sue plurivincenti stagioni nella penisola iberica – due titoli di Spagna e uno di Eurolega con rispettivi MVP delle finali – Sabas diventa una macchina perfetta, il cui unico ingranaggio arrugginito è il piede del primo infortunio.

Dopo quattro anni di attesa dall’oro di Seoul, inoltre, Sabonis torna a calcare il parquet olimpico, questa volta difendendo i colori che ama: le repubbliche baltiche sono diventate indipendenti e la Lituania di Sabonis e Marciulonis è una seria candidata per il podio. Nella storica partita contro la Nazionale Unificata – l’ex Unione Sovietica priva, appunto, di Estonia, Lettonia e Lituania – il Principe del Baltico segna 27 punti conditi da 15 rimbalzi, portando a casa una vittoria che sa di (parziale) rivalsa contro il regime oppressivo degli ultimi anni. Quella nazionale chiude sul gradino più basso del podio, con uno storico primo bronzo olimpico per la neonata Repubblica Lituana.

Quando Sabonis arriva in NBA non è certo più un ragazzino...
Quando Sabonis arriva in NBA non è più esattamente un ragazzino…

Sabonis decide dunque di provare un’esperienza in NBA. Quando nel 1994 i Portland Trail Blazers possono abbracciare il giovane talento europeo adescato quasi dieci anni prima, si ritrovano in casa un enorme trentunenne, che dimostra il doppio della propria età. Sabonis spaventa gli stessi scout che lo avevano osservato nelle prime stagioni allo Zalgiris. Il giocatore dinamico e veloce non c’è più: Arvydas si muove nel modo in cui glielo consentono i suoi 132 kg e delle gambe che hanno passato le pene dell’inferno. In tutto questo, però, la classe cristallina del talento di Kaunas è rimasta la stessa. Laddove non arriva la gamba, ci pensa l’esperienza di anni di gavetta nei più tosti campionati europei. Laddove non arriva il fiato, ci pensa un cuore che manifesta alla palla a spicchi tutto il proprio affetto.

Nella prima stagione con la maglia della franchigia dell’Oregon Sabonis fa registrare ottime medie: 14.5 punti e 8.1 rimbalzi a partita, giocando meno di 24 minuti ad incontro per ovvie ragioni fisiche. A 31 anni è il più vecchio membro del quintetto dei migliori esordienti di quella stagione. Arvydas rimane a Portland per sei annate consecutive, in cui fa registrare una media di 13 punti e 7.9 rimbalzi. A trentotto anni, tuttavia, sente di non essere più in grado di fare la differenza in NBA e ritorna allo Zalgiris, il club in cui è cresciuto e di cui ora è proprietario.

In Europa il talento di Sabonis non conosce età. Nella stagione finale della sua carriera, quella del 2003-2004, il Principe del Baltico viene incoronato un’ennesima, ultima volta. A 40 anni è l’MVP della regular season di Eurolega, con una media stratosferica di 16.7 punti e 10.7 rimbalzi a partita. Vederlo giocare in campo è commovente: Sabas non salta più in alto di venti centimetri ma riesce comunque a fare la differenza sotto canestro grazie a dei movimenti che hanno fatto la storia del basket. Nelle Top-16, le sue statistiche lievitano maggiormente, come di consueto nelle occasioni che contano. Lo Zalgiris non si qualifica per le Final Four, ma Sabonis segna 18.2 punti a partita, conditi da 11.5 rimbalzi. Nella sua ultima partita su un palcoscenico internazionale, Arvydas gioca oltre i limiti del proprio fisico ormai in declino: resiste per ben trenta minuti, chiudendo con 29 punti e 9 rimbalzi, sbagliando in totale solamente tre conclusioni dal campo. Qui potete riguardare l’ultima partita di Eurolega disputata dal Principe del Baltico, che si ritirerà a fine stagione.

Sabonis posa con un tifoso in un bar, il bicchiere, come al solito, è pieno a metà...
Sabonis posa con un tifoso in un bar, il bicchiere, come al solito, è pieno a metà…

Merita un capitolo a sé l’analisi del rapporto tra Sabonis e la bottiglia. Inutile girarci attorno: al più grande giocatore di pallacanestro della storia lituana piaceva l’alcool, e Arvydas non sapeva regolarsi nel suo consumo. Le avventure del Sabonis alticcio sono diventate parte integrante del suo mito: il Principe del Baltico era dominante nei pub tanto quanto lo era sul parquet. Girano innumerevoli voci e altrettanti aneddoti riguardanti il talentuoso giocatore lituano; quanti di questi siano leggenda e quanti realtà è da verificare.

Il consumo di alcool da parte di Sabas è iniziato sin da giovane, quando militava nelle file dello Zalgiris. Gira voce che prima di un incontro di Eurolega, la squadra di Kaunas fosse nel panico più totale perchè Sabonis mancava all’appello. La partità iniziò senza Arvydas, che entrò solamente nel secondo tempo, dopo essere stato trovato addormentato in un pub locale in completo hangover. Inutile spiegare come nonostante le condizioni pietose, il suo ruolo nei venti minuti finali della partita fu fondamentale.

La squadra Lituana alla premiazione alle Olimpiadi di Barcellona 1992: manca Sabonis.
La squadra Lituana alla premiazione alle Olimpiadi di Barcellona 1992: manca Sabonis.

I tifosi di vecchia data, poi, ricorderanno come alla cerimonia di consegna delle medaglie alle Olimpiadi di Barcellona 1992, sul terzo gradino del podio, tra i lituani nei loro abiti multicolore, spiccasse l’assenza di un marcantonio di 2.21 metri. Il motivo? Semplice: tra la finale per il terzo e quarto posto e la cerimonia c’erano tre ore di intervallo, e la squadra lituana, una volta certa della medaglia di bronzo, festeggiò alla maniera baltica. Il nostro, come sempre, esagerò e non si svegliò in tempo.

Ritorniamo dunque alla domanda iniziale: dove sarebbe arrivato il Principe del Baltico se…?

La risposta è semplice. La risposta è “ancora più in alto”. Arvydas Romas Sabonis nella sua carriera ha vinto ogni cosa, nonostante tutti i “se” e i “ma” che l’hanno accompagnato nella sua storia. Forse gli è mancata la giusta consacrazione al di là dell’Atlantico; l’anello NBA è l’unico titolo che il lituano non ha mai conquistato, ma considerando il personaggio, non credo che sia uno dei suoi rimpianti maggiori. Non credo che Sabonis abbia rimpianti in generale. D’altronde, se avesse vinto pure quello, forse oggi non si parlerebbe più di Principe del Baltico ma di Dio del Baltico, e questo, forse, si avvicinerebbe troppo alla blasfemia.

Niccolò Armandola

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