Breve storia del basket in Jugoslavia

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Throwback stavolta ha deciso di portarvi in Europa, precisamente in Jugoslavia. Tenetevi forte.

Nei prossimi giorni, esattamente tra il 29 e il 30 novembre, ricorrerà il settantatreesimo anniversario della nascita della “seconda Jugoslavia”. Quella socialista che andava a sostituire quella monarchica. E in un certo senso con quell’esperienza se ne avviava un’altra parallela, una sportiva e in particolare cestistica (anche se non andrebbe dimenticata la fortissima nazionale di calcio).

Jugoslavia

 

Da quell’insieme di sei repubbliche si costituì una delle più importanti scuole di pallacanestro a livello mondiale e una delle più spettacolari nazionali mai viste sui parquet mondiali. Un insieme di giocatori con esperienze nazionali e culturali spesso distanti tra loro, per un motivo o per l’altro. Un insieme che per tempo rimarrà fortemente unito, prima di dare segnali di cedimento. Tra questi uno dei più eclatanti fu quello che accadde durante i festeggiamenti per la vittoria jugoslava ai Mondiali del 1990, subito dopo il fischio della sirena. I tifosi avevano invaso il parquet, ma uno di loro portava con sé la bandiera della Croazia. Divac fece notare al tifoso che quella era una vittoria della Jugoslavia e che in un periodo di così forte tensione interna al paese (di lì a un anno sarebbe avvenuta la dissoluzione del Paese) era necessario far sì che quella vittoria non calmasse gli animi. Poi gli strappò di mano la bandiera (qualcuno dice anche lanciandola via). Questo gesto non piacque ai suoi compagni di squadra croati, e in particolare a Dražen Petrović, suo migliore amico. Da quel momento in poi l’amicizia tra i due si ruppe. Non si parlarono più. E la morte di Petro non consentì loro di riappacificarsi. La struggente storia è raccontata nel bellissimo documentario “Once Brothers”

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Un’immagine che rappresenta ciò che avrebbe potuto fare il Mozart dei canestri se non ci fosse stato portato via anzitempo

Si è citato Petrović. Che giocatore straordinario. Dominatore in Europa (capace anche di segnare 112 punti in una partita del campionato jugoslavo) e poi mina vagante in NBA. Non ebbe fortuna nei primi anni, ma poi riuscì a farsi strada. Se quella maledetta autostrada in Germania non gli fosse stata fatale staremmo qui a raccontare un’altra storia sul suo conto. Ma come il grande artista a cui doveva il suo soprannome, Mozart, se ne andò giovane e in maniera tragica. Lasciando però dietro di sé delle sinfonie indimenticabili. Come i quarantaquattro punti contro Vernon Maxwell, arcigno difensore degli Houston Rockets. O la sfacciataggine nei confronti di superstar come Partick Ewing e Michael Jordan. La sua storia comunque l’abbiamo raccontata qui (Parte 1, Parte 2, Parte 3). In ogni caso il talento e la voglia di vincere sembrano un affare di famiglia: Aza, il fratello di Petro, ebbe una grande carriera europea e attualmente allena con ottimi risultati la nazionale croata.

Una delle ultime foto dell Zio Ranko
Una delle ultime foto dell Zio Ranko

La Jugoslavia però non sforno solo grandi giocatori. Che dire di Ranko Žeravica, padre spirituale del basket jugoslavo? Il santone è scomparso il 29 ottobre 2015 lasciando un immenso vuoto in patria e non solo. Paradossalmente il coach arrivò ad allenare per necessità. L’occupazione del suolo jugoslavo da parte dei nazisti aveva ridotto la famiglia alla fame e dopo la liberazione quella era l’unico modo per procurarsi qualcosa da mangiare. Il motivo per cui Žeravica è considerato il padre della pallacanestro in Jugoslavia risiede nei successi ottenuti sul parquet dalla nazionale sotto la sua guida, in particolare ilCampionato del Mondo del 1970. Quella squadra, che comprendeva tra gli altri i croati Krešimir Ćosić (appena passato dalloZara al campionato di college americano) e Petar Skansi (che da giocatore lascerà laJugoplastika Spalato solo per vestire la maglia di Pesaro, prima di imbarcarsi in una lunga carriera da tecnico, anche in Italia), portò alla Jugoslavia il primo titolo iridato proprio di fronte al proprio pubblico: la fase finale si giocò alla Hala Tivoli di Lubiana (i gironi si erano disputati tra Spalato, Sarajevo, Skopje e Karlovac) e la squadra di Žeravica chinò la testa solo contro l’Unione Sovietica. Lo Zio Ranko, il suo affettuoso nomignolo, fu anche colui che lanciò l’eterna linea verde che ancora oggi vediamo in questi Paesi e che mai ha smesso di dare i suoi frutti. Alcune storie raccontano che fosse considerato una leggenda nientemeno dal Pibe de oro, Diego Armando Maradona. In Argentina, in effetti,  Žeravica è una celebrità sportiva, perché a detta di molti avrebbe posto le basi per il moderno basket argentino

La parte triste del coach che ci fece vincere l'Europeo
La parte triste del coach che ci fece vincere l’Europeo

Gli anni di Žeravica era anche quelli in cui venivano alla ribalta la Stella Rossa di Belgrado, l’Olimpija Lubiana, il Cibona Zagabria. Che in Europa non sfiguravano. Erano però anche gli anni in cui si affermava una leggenda del basket nostrano, proveniente però da quei paesi. Stiamo parlando di Bogdan Tanjević. Un allenatore estremamente vincente, con un peso enorme però alle spalle. Quello lasciato dalla guerra in Jugoslavia:«La guerra ha consumato la mia vita più dello sport e delle sue tensioni. Ho sofferto per i miei amici e per la gente di Sarajevo che era incolpevole. Conoscevo gente che è morta di crepacuore mentre i sopravvissuti sono rimasti disorientati, costretti a mettere tutto in dubbio, persino se la vita precedente era reale o frutto di un sogno. E se ho avuto quello che ho avuto non è stato certo per via del sigaro o dello stress delle partite, quello non c’entra. C’entra invece quello che è successo nella mia patria, nella mia città, la guerra e tutto quello che ne è seguito, la disgregazione di una nazione, della mia nazione. È il corpo che rifiuta, che si disinnamora di questo tipo di vita, di quest’inganno, di questo tradimento. Una volta eravamo tutti fratelli e, all’improvviso, solo odio».

Le embolie polomari non sono le uniche cose ad aver reso difficile la vita del capitano della Bosnia
Le embolie polomari non sono le uniche cose ad aver reso difficile la vita del capitano della Bosnia

 

Una storia, quella di Tanjević, vicina per certi aspetti a quella di un protagonista del basket attuale. Il giocatore dei Milwaukee Bucks e capitano della nazionale bosniaca Mirza TeletovićIl giocatore è cresciuto sotto i bombardamenti che hanno distrutto Mostar. 

 

 

La storia del basket di quella che fu la Jugoslavia si intreccia con quella del paese. Ed è intricata e lacerata, ma di straordinario interesse. Ora, però, Bosnia, Serbia, Croazia, Slovenia, Montenegro e più indietro Macedonia sono pronte a far tremare nuovamente i parquet europei e mondiali. Le ultime competizioni mondiali giovanili e non, hanno lanciato segnali inequivocabili.

Mattia Moretti

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