La contorta gestione Van Gundy

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Il 14 Maggio 2014 i Detroit Pistons annunciano l’arrivo di Stan Van Gundy con un ricco contratto quinquennale da 35 milioni di dollari: la squadra arrivava da un finale di stagione disastroso, sotto la guida di John Loyer, e un record di appena 8 vittorie e 24 sconfitte dal mese di Febbraio. Un allenatore di tutto rispetto, fuori dai radar nba da qualche anno, che non si è limitato “solo” a sedersi in panchina, ma ha da subito ricoperto anche l’incarico di “President of Basketball Operations”, ruolo molto simile a quello del General Manager. Con la possibilità di avere carta bianca sia sul fronte tecnico sia nelle decisioni di mercato, Van Gundy non perse tempo e cominciò da subito a smobilitare il roster.

La decisione presa fu quella di smantellare per dare vita ad un processo di rebuilding differente da quello attuato dai 76ers, per esempio: nessun giro in lottery, niente tanking. Il potere assoluto di cui ha goduto Stan Van Gundy in questi anni, dopo qualche discreto risultato, sembra però aver condannato il futuro dei Pistons, perché il livello tecnico della squadra non è riuscito ad evolversi come previsto e alcune scelte operate sulla squadra si stanno rivelando oggi “discutibili”.

 

ANNO I – URAGANO STAN

Dopo due anni passati lontani dal parquet, Van Gundy torna al timone di una franchigia NBA e come fatto ai tempi dei Magic, decise anche a Detroit di impostare il gioco della squadra partendo dal ruolo del centro, il più importante, a cui affiancare una serie di giocatori perimetrali e/o tiratori in grado di allargare il campo e lasciare spazio al gioco in post. La più grande fortuna di Stan fu quella di arrivare nella squadra di Andre Drummond, centro di stazza che fa della fisicità e del gioco sotto a canestro i suoi punti di forza: caratteristiche fondamentali per ricoprire quel ruolo all’interno del nuovo sistema.

LUGLIO 2014 – Preso in mano il comando, Van Gundy comincia subito a fare un po’ d’ordine: dopo aver lasciato partire Billups, Villanueva e Stuckey, vengono firmati per allungare la panchina Caron Butler, DJ Augustin e Jodie Meeks, mentre per Greg Monroe viene estesa la Qualifying Offer.

DICEMBRE 2014 – Alla vigilia di Natale arriva la prima vera “grande” mossa di Van Gundy: dopo Peyton Siva e Josh Harrellson anche Josh Smith, senza ombra di dubbio il meno amato e il più sacrificabile, viene tagliato dai Pistons, dopo appena una stagione e mezza.

FEBBRAIO 2014 – Non si ferma qua il mercato di Detroit, che prima della Trade Deadline si assicura Reggie Jackson in cambio di un pacchetto formato da DJ Augustin, Kyle Singler e una seconda scelte del 2017. Viene inoltre liberato altro spazio cedendo Gigi Datome, Jonas Jerebko , Will Bynum e Tony Mitchell.

Arrivano segnali incoraggianti dall’evoluzione di un gioco divertente e che sembra adattarsi ad un nucleo giovane e stravolto dall’uragano Van Gundy. Le fondamenta sono state buttate, con la squadra che gioca attorno al duo Jackson (1990) – Drummond (1993), con Caldwell-Pope in continua crescita (da 5.9 a 12.7 punti a partita) e una squadra che incomincia a prendere forma. La stagione si chiude con un record di 32-50 e l’ultimo posto nella Central Division: Detroit ottiene sulla carta dei pessimi risultati, ma non esiste una franchigia in ricostruzione che non deve fare i conti con le sconfitte.

(Un sublime contributo del timeout chiamato da Van Gundy sul finale di partita contro San Antonio)

 

ANNO II – LA GRANDE ILLUSIONE

 

La stagione 2015/2016 comincia subito con il botto, perché Van Gundy decide di abbandonare la pista Monroe e una volta free agent il giocatore firma con i Bucks.

GIUGNO 2014 – La prima mossa del nuovo “anno” arriva direttamente dalla notte del Draft, quando Detroit decide di selezionare Stanley Johnson con la scelta numero numero 8: prototipo di “3&D” dal grande potenziale, molto fisico e con un discreto senso della posizione a rimbalzo.

LUGLIO 2015 – Non viene lasciato partire solamente Monroe, perché dopo i rinnovi di Reggie Jackson e Joel Anthony, Van Gundy si libera anche di Tayshaun Prince e di John Lucas III. Aron Baynes viene strappato agli Spurs, mentre in cambio di una seconda 2020 e “cash consideration” arrivano direttamente da Phoenix Danny Granger, Reggie Bullock e Marcus Morris.

FEBBRAIO 2016 – Per il secondo anno consecutivo i Pistons provano il colpaccio e spediscono un giocatore ai margini delle rotazioni come Jennings e Ilyasova a Orlando in cambio di Tobias Harris, fresco di rinnovo quadriennale.

In questi mesi Van Gundy, come re Mida, trasforma in oro tutto quello che “tocca”: pesca in Morris un discreto titolare, capace di giocatore sia sul perimetro (36,2% dall’arco) sia come finto “4”, capace di chiudere la prima stagione a Detroit con 14.1 punti (+3.7) e 5.1 rimbalzi di media. Anche Tobias Harris sembra trarre vantaggio dal cambio di squadra: con lo stesso minutaggio incrementa la produzione offensiva da 13.7 a 16.6, migliorando sensibilmente le percentuali da tre punti arrivando al 37,5% (+6).

Stan Van Gundy trascina i Pistons ai playoff dopo 6 anni di assenza, con un record che manda ai registri  44 vittorie e 38 sconfitte, ben 12 vittorie in più rispetto alla passata stagione: questo permette a Drummond e compagni di terminare all’ottavo posto nella Eastern Conference e affrontare i Cavs al primo turno (4-0 secco).

La cosa più importante per la società, la squadra e per i tifosi stessi è che finalmente si vede la luce in fondo al tunnel: la squadra, dopo più di 5 anni, è tornata ad assaporare i playoff e soprattutto sembrano esserci i presupposti per un futuro “luminoso”. Andre Drummond è la stella della squadra: alla sua quarta stagione nba continua a mostrare segni di miglioramento sia dal punto di vista realizzativo (16.2 punti, massimo in carriera), sia a rimbalzo (14.8 a partita!), chiudendo come leader di questa voce statistica al termine della stagione (sia per quanto riguarda i rimbalzi difensivi che per quelli offensivi). Il tutto condito dalla prima apparizione all’All Star Game e un massimo salariale già pronto per i prossimi 5 anni.

Reggie Jackson, dopo 4 stagioni alla corte di Westbrook e KD, sembra trovarsi a suo agio con le chiavi della regia in mano: ne esce un’annata da 18.8 punti e 6.2 assist di media, entrambi massimi in carriera, con un discreto 35,5% dall’arco. In tutto ciò continua il percorso di crescita di Pope, che alla terza stagione mostra altri passi in avanti e registra il massimo in carriera per punti, rimbalzi, assist e rubate.

 

ANNO III – BLACKOUT

E poi?

Alla pausa per l’All Star Game i Pistons arrivano con un record appena negativo (27-30), ma che in quel momento vale l’ottavo posto nella Eastern Conference. Nel rush finale però, Detroit sfodera una striscia di 5 sconfitte consecutive (Brooklyn, Chicago, Orlando, New York e Miami) e vince appena 4 partite delle ultime 16, precludendosi così la possibilità di un viaggio ai playoffs.

Nonostante un avvio mediocre (6-5) e l’assenza di Jackson per infortunio, Detroit ha viaggiato per quasi tutta la stagione sul 50% di vittorie, ma i risultati ottenuti non sembravano affatto convincenti: l’interpretazione degli schemi, il linguaggio del corpo dei giocatori e l’atteggiamento in campo avevano lasciato intendere da subito “qualcosa”. In difesa i Pistons sono riusciti a trovare una certa continuità, concedendo 102.7 punti a partita (settimi) e, sfruttando al meglio la fisicità del reparto lunghi e la versatilità di alcune ali (Harris e Morris), hanno chiuso a fine stagione tra le prime 10 per rimbalzi di squadra (sia offensivi che difensivi). Quello che non ha funzionato purtroppo è stato l’attacco e questa volta non è bastata la difesa per vincere abbastanza partite.

timeline
(http://www.basketballanalyticsbook.com)

 

Reggie Jackson – Come possiamo vedere nell’immagine sopra, Detroit ha pagato “a caro prezzo”  il ritorno di Jackson, peggiorando  sia in attacco (-4,3) che in difesa (+5,1), con un NET Rating decisamente negativo (-9,4) in appena 10 partite (-3,53 per Real Plus/Minus, numero 423 in classifica) Una stagione complicata per il playmaker ex Thunder: i 14,5 punti di media messi a segno in 52 partite nascondono un anno passato a litigare con il ferro da tre punti (25% nei Corner Three) e dalla media distanza (appena sotto il 40% dal campo, 51% di True Shooting). Jackson invece che fare un altro piccolo salto in avanti è regredito come attaccante, giocando troppo palla in mano e attaccando male il canestro (0.96 punti per possesso): disastrosi i risultati per Van Gundy, poiché il pessimo impatto del suo giocatore ha influenzato la produzione offensiva della squadra, che ha chiuso con il 26esimo attacco (101.3) della Lega. Il tutto senza dimenticare che Jackson in difesa è diventato impresentabile.

Andre Drummond – La grande speranza. Una regular season che ha fatto storcere il naso a molti: svogliato, lento ed evidentemente fuori forma. Sicuramente il contesto non ha aiutato, ma è risaputo che Drummond abbia un carattere da “bambinone” e il tentativo maldestro di sondare il mercato a Febbraio per una sua eventuale cessione non è stato ben accolto. Il calo dell’ultimo periodo si potrebbe giustificare con discutibili decisioni tecniche da parte di Van Gundy, di cui parleremo a breve, ma da un po’ di tempo a questa  Drummond ha concentrato le sue energie più in altre cose piuttosto che in palestra. La sua meccanica di tiro non accenna a mostrare nessun tipo di miglioramento e tanto meno le percentuali (sotto il 40% ai liberi, 39% nei jumpshot): in post offensivo non ha aggiunto nessun tipo di movimento nella sua ridotta gamma di scelta, mentre in difesa è ancora troppo lento di piedi e molto pigro sui pick and roll alti (primo per palle perse per 3 secondi difensivi).

Statistiche alla mano non è stata una stagione tanto diversa da quelle passate, ma sembra evidente che il centro ex Connecticut non sia più “un’intoccabile”, la pietra angolare del progetto Pistons: quantomeno siamo sicuri  Van Gundy sia disposto, ci fossero buone offerte, ad ascoltare nuove proposte per Drummond.

Van Gundy ha fatto affidamento sui giocatori sbagliati: troppe le responsabilità affidate a Drummond, che tutto sembra meno che un franchise player, così come possiamo definire “persa” la scommessa su Reggie Jackson. Ma “dare a Cesare quel che è di Cesare” significa che si devono valutare anche le scelte operate dal tecnico, che negli ultimi 3 anni è riuscito a spendere e spandere per giocatori non adatti al contesto (Butler, Leuer), sopravvalutati (Baynes e Marjanovic) o semplicemente scarsi (DJ Augustin, Meeks, Bullock e Udrih). Che sia per questo che a Detroit non si veda l’ombra di una panchina da 3 anni a questa parte?

Tobias Harris – Arrivato a stagione in corso due anni fa, è diventato subito un titolare e giocatore di riferimento tra le ali: in 27 partite ha fatto registrare 16.6 punti, 6.2 rimbalzi e il 37,5% da tre punti. Numeri che gli sono valsi il posto in quintetto e più di 30 minuti di media sul parquet. Alla sua sesta stagione in NBA, Harris è riuscito anno dopo anno a migliorare le proprie abilità offensive, lavorando molto bene sul tiro e sulle letture difensive.

Harris TS% by Season
http://www.basketballanalyticsbook.com

Il grafico mostra come negli ultimi 5 anni sia riuscito a migliorare passo dopo passo la voce True Shooting Percentage, diventando così un giocatore d’élite, perché fino alla pausa per l’All Star Game  in questa voce si trovava davanti a gente come Anthony Davis e Paul George. Contro ogni pronostico Van Gundy ha deciso di inserire Leuer titolare al posto proprio di Harris (“solo” 48 volte in quintetto), relegando in panchina uno dei suoi attaccanti migliori: non solo per TS%, ma Harris è stato anche il migliore dei Pistons per punti segnati partendo da una situazione di pick and roll, spot up e post up. Svolge un ruolo fondamentale all’interno dell’economia della squadra, perché molto banalmente è il miglior realizzatore tra i suoi (16.1 a partita) e ha fatto registrare nettamente il miglior Offensive Win Share (4.0 per l’ala ex Magic, 1.4 per Drummond e 0.8 per Jackson) di squadra, ma soprattutto ha un “notevole” Plus/Minus NET per 100 possessi di 2.4 se si considerano quelli di Jackson (-11.3) e Drummond (-12).

 

UN FUTURO POCO LUMINOSO

Come se non bastasse, la situazione salariale dei Pistons non è delle migliori: scelte dettate da valide ragioni, ma che potrebbero essere state condizionate dal doppio ruolo occupato da Van Gundy. La possibilità di mettere mano direttamente sul roster rischia di alimentare il desiderio incondizionato di prendere un determinato giocatore, forzando lo scambio, alterando la percezione reale del giocatore stesso e perdendo di oggettività. Questo può generare di conseguenza contratti “onerosi” e/o decisioni discutibili riguardo strategie e gestione degli asset sacrificabili (ti fischiano le orecchie Doc eh?).

A sorpresa è stato deciso di rinunciare ai diritti su Caldwell-Pope: Detroit ha ceduto Marcus Morris ai Celtics per arrivare ad Avery Bradley, un giocatore sicuramente più affidabile, efficace e pronto di Pope, che arriva dalla sua miglior stagione a 16.3 punti, 6.1 rimbalzi e il 39% dall’arco di media. Un colpo degno di nota, senza ombra di dubbio. Sono due i problemi principali dal mio punto di vista: è un giocatore molto intelligente, difensore d’élite, con punti nelle mani, ma non mi pare ci siano particolari margini di miglioramento (partendo da quello che è oggi): un ottimo esterno, versatile e giocatore di sistema, ma non mi sembra sia un franchise player e non credo lo possa diventare. Tutto questo partendo dal presupposto che a fine anno andrà pagato (Luxury?).  Il divario con i Cavs è ancora enorme, ma anche il gap con la cosiddetta “seconda fascia” (Boston, Washington e Toronto) sembra ancora lontano dall’essere colmato.

Detroit non ha molto margine di manovra: al momento gli unici innesti sono stati Luke Kennard, scelto al draft con la numero 12, e Langston Galloway, che ha firmato un triennale da 7 milioni a stagione, mentre per Harris e Jackson il mercato al momento non offre NIENTE. Stesso discorso va fatto per Marjanovic, che dopo i 5 milioni della prossima stagione andrà a percepire quasi 9,5 milioni: incedibile. Fortunatamente i Pistons hanno ancora tutte le proprie prime scelte, ma non possono permettersi di pagare una prima per liberarsi dei contratti di nessuno.

Quali possibilità? Stan Van Gundy sta provando da un anno a questa parte a liberarsi di giocatori che si sono rivelati più dannosi che utili (Jackson) o non necessari per i piani della squadra (Harris):  questa al momento sembra essere la strada intrapresa dai poteri forti della franchigia. Un’idea potrebbe essere quella di far partire il punto di riferimento di questa squadra e il dito ricadrebbe su Drummond: naturalmente, nel momento in cui dovesse partire il centrone ex Connecticut, la squadra dovrebbe ripartire da un serio progetto di ricostruzione. Purtroppo la situazione per le prossime due stagioni sembrare essere bloccata: una volta scaduti i contratti di Harris, Smith e Marjanovic (2019) verrebbero risparmiati quasi 30 milioni di salary cap. La stagione successiva poi scadranno i contratti di Jackson e Leur, che libereranno ancora più spazio, ma sembra chiaro che l’obiettivo sia di liberarsi di questi giocatori prima della scadenza.

Sarà fondamentale decidere quanto puntare su Drummond e cosa fare di Jackson, valutare l’eventuale rinnovo di Bradley,  far crescere Stanley Johnson e Luke Kennard, ma soprattutto non commettere più errori di valutazione in fase di mercato.

Giovanni Aiello

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