Je suis Charlie: la follia dell’uomo nello sport e negli alti ideali

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Olimpiadi di Atlanta 1996. Quelle del “Second Dream Team” che, tra gli altri, comprendeva Hakeem Olajuwon, un ragazzone devoto all’Islam e di cui molti hanno potuto ammirare la tenacia nell’affrontare parte delle proprie stagioni da professionista durante il periodo del Ramadan. Sappiamo bene ciò che comporta. Non si può fare a meno di ammirare un personaggio del genere.

Torniamo però alla squadra, che ovviamente vinse i giochi con estrema facilità e che avrebbe anche potuto non sfigurare contro “l’originale” del 1992. Gli stessi beniamini dell’NBA dell’epoca che si misero la medaglia d’oro al collo- e tutti gli altri atleti- dovettero assistere ad uno degli eventi più eclatanti della storia dei Giochi: l’attentato al Centennial Olympic Park di Atlanta. L’attentato provocò due morti(la spettatrice Alice Hawthorne a causa dello scoppio e il cameraman turco Melih Uzunyol a causa di un attacco di cuore) e centoundici feriti. La strage fu evitata grazie ad un addetto alla sicurezza, Richard Juwell, che scoprì la bomba e fece in tempo a far allontanare la maggior parte delle persone prima dello scoppio.

L'autore dell'attentato di Atlanta, Eric Rudolph
L’autore dell’attentato di Atlanta, Eric Rudolph

L’attento fu opera di Eric Rudolph. Nome sconosciuto ai più- almeno da questa parte dell’oceano-, originario della Florida, è stato per anni nella lista dei “Dieci uomini più ricercati dall’FBI”. Suona molto cinematografico- quasi un richiamo a James Bond e ai film d’azione- ma è pura realtà. Fu catturato nel 2003 e confessò la paternità di tanti altri attentati. Tutti a sfondo Cristiano: Rudolph aveva aderito al movimento “Christian Identity” e gli attentati servivano come protesta contro il governo contro l’arrivo di leggi più flessibili nei riguardi di aborto e diritti degli omosessuali.

Atti come questo non erano nuovi alle Olimpiadi. Basti ricordare gli eventi di Monaco 1972, ma si potrebbero citare tanti altri eventi in ambito sportivo. Come la partita tra Pacers e Celtics annullata lo scorso anno. Non ci fu sangue, ma solo tanta tristezza quando quella bandiera croata spuntò dopo la vittoriosa finale del mondiale 1990: Vlade Divac la prese e la lanciò via(era una vittoria di tutti), ma molti nazionalisti croati giurarono vendetta per il gesto mentre l’amico Petrovic tagliò i rapporti. Le ritorsioni violente dei conservatori americani nei confronti dei ragazzi afroamericani che “osavano” presentarsi al campetto o a qualche partita ufficiale. Niente è immune al “seme della follia”.

Il punto è questo: tutto può essere strumentalizzato ed essere macchiato dal fanatismo, a partire da qualcosa che dovrebbe essere innocuo come lo sport. Proviamo dunque ad immaginare cosa potrebbe succedere quando si tratta di cose ben più importanti, come la libertà di stampa o la religione. Ed è proprio quello che è accaduto oggi a Parigi. Alla redazione della rivista “Charlie Hebdo”: un attentato di matrice islamica che ha provocato 12 morti(tra cui il direttore e vignettista Stéphane Charbonnier). Il loro peccato? Aver pubblicato delle vignette satiriche sul profeta Maometto(raffigurare il profeta è considerato atto blasfemo). Provo a buttarla sul banale: su questo sito sono apparsi articoli polemici più di una volta, ciò basta per essere passibili di una ritorsione del genere? Permettetemi di esprimere una forte perplessità.

Forse queste pagine non sono il  luogo migliore per riflessioni come queste, ma è doveroso buttare giù qualche riga sull’argomento. Qui non si tratta di Islam o non Islam (l’esempio di Atlanta lo dimostra), qui si tratta di morire per delle idee. Senza aver scelto di farlo. Non solo, si tratta di imparare capire che tutti possono essere fanatici (e allo stesso tempo non basta aderire ad una religione per diventarlo), di smettere di spargere sangue. Se contrari all’ultimo punto tra parentesi, andate pure ad insultare Olajuwon e Jabbar, almeno per non essere ipocriti.

Il Partizan Belgrado, nel novembre scorso, ha visto un proprio tifoso ucciso in Turchia.
Il Partizan Belgrado, nel novembre scorso, ha visto un proprio tifoso ucciso in Turchia.

Mi rendo conto della spinosità della situazione, non voglio nemmeno scendere nei dettagli. Si dovrebbe capire il nocciolo della questione senza ulteriori parole. Aggiungo solo una cosa: per smettere con questi atti proviamo a partire dalle piccole cose, proviamo ad essere meno fanatici già dallo sport. Perché sappiamo bene quali atti sono stati commessi. Una volta partiti da queste piccolezze, la rieducazione sarà iniziata e potremo evitare una nuova Charlie Hebdo.

JE SUIS CHARLIE!

Mattia Moretti

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