Formula che convince non si cambia.
Circa 365 giorni fa decidemmo di celebrare l’anno che se ne stava andando con un particolare alfabeto che fosse in grado di riassumere alla perfezione ciò che il basket aveva regalato nei precedenti 12 mesi.
Oggi, estasiati e scossi da nuovi eventi, storie e personaggi, proviamo a fare altrettanto, presentandovi una carrellata di nomi, cognomi, luoghi, frasi o semplici sostantivi che siano in grado di andare a ripescare ogni atto, gesto e fenomeno degno di nota che questo sport ci ha riservato nel 2015. Come nel primo appuntamento, imprescindibile appoggiarsi all’alfabeto straniero e giocare con le varie lettere, magari presentando più parole che ruotino attorno a un asse comune o coppie e tridenti che, a primo impatto, possono non aver molto in comune. E’ arrivato il momento di partire, come sempre, dall’inizio:
A di Addio: perché, come si suol dire, sono sempre gli addii a fare più rumore e quello di Kobe Bryant non poteva certo esimersi dal farlo. Una struggente lettera d’amore verso il proprio gioco per anticipare la fine di una carriera strepitosa, leggendaria. Le standing ovation e le lacrime sono già partite e, probabilmente sono destinate ad aumentare se all’annuncio del 24 dovessero seguire quelli, possibili ma non certi, dei vari Duncan, Ginobili, Garnett e Pierce. Un’era che si appresta a salutare. Da non dimenticare anche l’addio più straziante, quello alla vita, di Flip Saunders, storico patron e coach dei Minnesota Timberwolves, stroncato dal linfoma di Hodgkin.
B di Berlino e BBBBBelinelli: la capitale tedesca si è ritrovata ad essere, per una settimana, il centro d’interesse del popolo cestistico italico. Sede di una prima fase elettrizzante dell’Europeo. Sfondo delle emozionanti partite dell’Italia, scandite dalle perle di Flavio Tranquillo, come l’urlo che ha accompagnato la grandinata di triple contro la Spagna e quella pazza esecuzione nel supplementare contro la Germania. Brividi veri.
C di Curry e California: come si può escludere il giocatore che sta rivoluzionando il gioco? Come si può estromettere colui che ha portato alle stelle non solo una squadra, ma un nuovo modo di intendere, concepire e praticare il basket? Fenomeno sportivo e mediatico, ha avuto un’accelerazione incredibile nel proprio percorso di crescita. Per la prima volta da anni, una parte di America sale alla ribalta e si prende lo scettro per una squadra che non sia gialloviola.
E di Elena Delle Donne: l’indiscussa regina del basket femminile. MVP dell’anno, regina delle Chicago Sky, squadra che ha condotto nel gotha della WNBA dopo essere stata scelta solo due anni fa. Le manca solo il titolo per entrare a pieno titolo nella storia. Nel frattempo, la Nike ha deciso di ingaggiarla nella propria sublime squadra di testimonial in compagnia di Bryant, James, Durant, Davis e George. Se non è un’investitura questa…
F di Federico Buffa: in extremis, come regalo di Natale, l’Avvocato ha deciso di tornare sul piccolo schermo per tornare a parlare di basket, soprattutto americano, con il compagno di una vita. Incredibili la voglia e l’entusiasmo dei tifosi/spettatori di sentire le parole e le opinioni di un giornalista sportivo, di un commentatore, di un appassionato, chiamatelo come volete. Quando le etichette risultano essere insufficienti per dare una definizione esaustiva. Quando la differenza la possono fare anche le persone che sono fuori dal campo e provano a raccontarci, in uno stile inconfondibile e con passione, ciò che succede al suo interno.
G di Gasol: Pau Gasol, si intende. Un Europeo da MVP, da assoluto dominatore, da trascinatore unico di una Nazionale che, dopo molti anni, non vestiva i panni della favorita. La vendetta perfetta, contro la Francia, dei quarti di finale del Mondiale casalingo del 2014. Il trionfo della classe, della tecnica e della vecchia scuola contro la fisicità e l’atletismo dei Gobert, dei Valanciunas. Perché i grandi campioni non tramontano mai, oppure lo fanno con stile.
H di Hodskins Zach: quante storie nasconde il basket dietro i protagonisti sempre in copertina? Tante, belle e commoventi. L’anno scorso fu Lauren Hill a smuovere i nostri cuori, mentre pochi giorni fa è stato il giovane Zach Hodskins a farci capire la bellezza e la gioia che si nascondono dietro un semplice canestro. Ragazzo impegnato in Ncaa con i Florida Gators, ha avuto il merito di trovare i primi punti ufficiali contro Jacksonville alla sua settima partita disputata. E il merito dove sta? Nel fatto che Hodskins è privo dell’avambraccio destro dalla nascita.
I di Igoudala: da uomo-franchigia di una valida squadra da playoff (Philadelphia), a semplice specialista difensivo o preziosa arma dalla panchina di squadre più competitive, per poi trasformarsi nell’inaspettato MVP delle ultime Finals. E’ la parabola di Andre Igoudala, giocatore molto sottovalutato e capace di risultare il fattore in più di Golden State per ottenere il sospirato anello a discapito di Cleveland.
J di Jones, James e Jordan: tre cestisti diversi e tre maniere diverse di entrare nella storia di quest’anno. Il primo, Tyus, lontano, a differenza di altri, da clamori e predizioni circa un’eventuale scintillante carriera futura in NBA, ha trascinato Duke al titolo NCAA, finendo col vincere il titolo di Most Outstanding Player delle Final Four. Il secondo, LeBron, ha rischiato di trascinare una compagine priva dei suoi altri elementi vitali al titolo NBA, prolungando una serie che molti credevano non sarebbe mai esistita sul serio. E poi, diciamolo chiaramente, da anni non si può non fare riferimento a lui per riassumere qualsiasi anno di basket. L’ultimo, DeAndre, finisce nella lista per meriti meno onorevoli: si è parlato molto di lui negli ultimi playoff per la crudele pratica dell’Hack-a-Shaq, volta a sfruttare le sue mancanze dalla lunetta e per la mancata firma con Dallas quest’estate, quando tutto sembrava fatto per l’approdo in Texas. Maniere diverse per ergersi a protagonisti.
K di Kerr, Krzyewski e Kurtinaitis: altro terzetto, stavolta di allenatori vincenti. Il primo ha smentito gli scettici e ha costruito, all’esordio da coach, una macchina perfetta, capace di strabiliare per bellezza e di raggiungere l’apice col titolo NBA. Il secondo, al contrario al top da molti anni, ha vinto il quinto titolo NCAA della propria carriera, da sommare alle varie medaglie olimpiche e mondiali ottenute con Team Usa. Il terzo ha dominato l’Eurocup con il suo Khimki e sta ben figurando anche in NBA. Diamo a Cesare quel che è di Cesare.
L di Lituania a Lille: da quella storica semifinale ad Atene mandano in frantumi i nostri sogni, mondiali o europei che siano. Come si dice a Roma, ” ‘i mortacci vostra “.
M di Metta World Peace: il ciclone del fu Ron Artest si è all’improvviso abbattuto su Cantù e sul campionato italiano, suscitando un interesse mediatico incredibile. Non da meno è stato il suo contributo sportivo, considerando il grande aiuto dato ai brianzoli per la qualificazione ai playoff e la lottata serie contro Venezia al primo turno. Una bella ventata di novità nella nostra pallacanestro.
N di Nazionale: la squadra che ci ha unito in un fantastico mese di settembre, facendoci soffrire, estasiare, divertire, sognare e rimanere male quando sembrava che il bello dovesse arrivare. Una squadra che ci riproverà dalla prossima estate, con un Messina in più e un Pianigiani in meno. Basterà? Di sicuro l’entusiasmo e la voglia di stare insieme ci sono e questa è già una splendida premessa.
O di ‘O famo strano: rimaniamo in ambito azzurro ricordando il marchio di fabbrica, sia di Danilo Gallinari, che di Flavio Tranquillo. Le giocate spettacolari e ad alto coefficiente di difficoltà del primo, trascinatore assoluto dell’Italia, raccontate dall’estro giornalistico del secondo. Un mix scoppiettante che ha esaltato tutta la penisola.
P di Pokerissimo e Promozione: l’impresa straordinaria del Real Madrid, dominatore del 2015 con ben 5 titoli all’attivo (Scudetto, Eurolega, Coppa del Re, Supercopa di Spagna e Coppa Intecontinentale) e quella della Manital Torino, tornata in Serie A dopo aver smorzato gli entusiasmi della cenerentola Agrigento. Bacheche e trionfi non apparentemente comparabili, ma la stessa eguale gioia nel centrare ciò che ci si prefigge.
Q di Quieto: fin qui lo abbiamo citato di sfuggita o solo come comparsa, ma è giusto rendergli lo spazio che merita. Flavio Tranquillo, presente su Twitter e su Instagram con il nickname di quieto62, ha reso più ricco e bello questo 2015 cestistico. Perfetta e galvanizzante voce narrante, pozzo di conoscenza nel nuovo e apprezzatissimo talk show “Basket Room”, protagonista dell’ultima e invocata “reunion” con Buffa. Un anno in cui è ancor più salito alla ribalta, semmai ce ne fosse ancora bisogno.
R di Reggio Emilia: una squadra magnifica. Grande delusa dell’ultima finale scudetto, vincitrice della Supercoppa Italiana e brillante protagonista di quest’inizio di stagione. Un gruppo sempre bravo a gettare il cuore oltre l’ostacolo, un mix che si basa su un validissimo e talentuoso nucleo italiano combinato a esperienza e classe dell’est europeo senza alcuna goccia di contaminazione americana. Non che ciò sia un merito, ma di sicuro una via originale e forse priva di imitazioni ad alto livello in Italia e in Europa.
S di Sassari/Sardegna/Sardara/Sacchetti/Sanders: abbiamo già detto tutto. La favola di una squadra che in 5 anni è approdata dalla Legadue allo Scudetto, con tanto di Triplete. L’orgoglio e il riscatto di una regione che non viveva una gioia così dai tempi di Gigi Riva e del suo Cagliari. Frutto dell’entusiasmo e della perseveranza di un tenace presidente, delle idee e del cuore di un caparbio allenatore, dei muscoli e del carattere di un talentuosissimo giocatore (Mvp delle Finali). Si possono interrompere i rapporti, si possono cambiare le maglie, ma mai si potranno cancellare i nomi dei trionfatori dalle coppe e dagli almanacchi e, con essi, la gioia di chi ha goduto di quei momenti. La S è stata una lettera vincente: anche la Spagna e Scariolo ne sanno qualcosa…
T di Towns: prima scelta dell’ultimo draft da parte dei Minnesota Timberwolves e già perfettamente a suo agio nei parquet di prima classe. Un ROY da contendersi con Porzingis e una carriera straordinaria davanti.
U di USA: no, quest’anno non hanno vinto nulla e ci mancherebbe altro visto che non hanno dovuto giocare alcuna competizione. Ma l’annuncio dell’addio di Coach K dopo Rio e della venuta del sergente di ferro Popovich come successore basta a suscitare clamore e curiosità.
V di Venezia e Verona: le avevamo lasciate nel 2014 da protagoniste lanciate, ma le ritroviamo ora da deluse e un po’ imballate nel tentativo di ripartire. La Reyer si è fatta sfuggire una finale scudetto alla portata a favore di una Grissin Bon incerottata, mentre la Tezenis si è ritrovata con un pugno di mosche in mano ai playoff dopo aver dominato la stagione regolare di Legadue e vinto la Coppa Italia di categoria. Al momento stanno rendendo al di sotto delle loro reali potenzialità.
W di Warriors e Wisconsin: due belle storie con un finale opposto. Da lieto fine quello dei Warriors, capaci di rivincere il titolo dopo 40 anni in seguito a una stagione da protagonisti assoluti, e da lacrime amare quello di Wisconsin, che sul più bello si è fatta sfuggire la possibilità di rivincere un titolo dal 1941. L’impresa contro i colossi di Kentucky e poi la notte buia dell’ultimo quarto contro Duke, con buona pace del sublime colosso Kaminsky.
X di Xenofobia: antichi problemi irrisolvibili. L’incredibile caso di Thabo Sefolosha, giocatore degli Atlanta Hawks che ha perso la possibilità di disputare i playoff per via di un infortunio subitoin un night di New York a seguito di una colluttazione con un agente di polizia, reo, forse, di aver percosso l’ex Biella per ragioni legate al razzismo. Un episodio che fa il paio con quello occorso a Bill Kennedy, arbitro che ha fatto outing dopo aver subito, durante una partita, insulti pertinenti alla sua sessualità da parte di Rajon Rondo. Perché laddove la xenofobia è ancora percepibile, anche l’omofobia è una piaga che può fare ancora molti proseliti.
Y di Yao Ming: il gigante cinese, candidato a essere uno dei prossimi ingressi nella Hall of Fame assieme ai vari Shaquille O’Neal e Allen Iverson, suoi antichi rivali in campo. Campioni che hanno segnato una e più generazioni, in grado di spingere la propria fama oltre le vittorie, gli anelli e i trionfi personali. Passano gli anni, ma i ricordi di alcuni campioni non sfioriranno mai.
Z di Zero su quattro: la formidabile performance dal campo di Ragnar Nathanaelsson, 218 centimetri di rara scarsezza su un campo di basket. Centro islandese, dodicesimo in rotazione della propria sorprendente nazionale, in grado di stupire tutti nel super gruppo di Berlino nonostante le zero vittorie riportate. Nella partita contro la Serbia il mitico Ragnar han avuto per 4 volte consecutive la possibilità di iscriversi a referto nella manifestazione ma ha fallito tutti i facili tentativi da sotto il ferro. Ha trovato gloria lo stesso, divenendo uno degli idoli della competizione. Una storia divertente per chiudere l’anno col sorriso perché avremo forse dimenticato qualcuno da ricordare e celebrare, ma lo sport in fondo dovrebbe essere questo: divertimento e spensieratezza, al di là di tutte le tensioni e le difficoltà che in esso possono nascondersi.
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