L’infortunio di George non è frutto del caso, si cercano i colpevoli e l’NBA è la prima indiziata…
La psicologa svizzera Elisabeth Kuebler Ross, negli anni ’70, schematizzava in cinque passi il modo in cui l’uomo affronta le catastrofi, forgiando le famose <<fasi del lutto>>. L’evoluzione prevede una prima fase di incredulità, una seconda di rabbia, poi un momento di razionalità, in cui si cerca di analizzare freddamente le cause effettive del dramma, infine la depressione e poi l’accettazione finale.
Dopo il terribile infortunio di George, ogni giocatore, tifoso o appassionato che sia non ha voluto credere a quanto vedevano i suoi occhi. Le prime reazioni sono state “non può essere vero”, “ditemi che si tratta di un fake“, “ma no, sarà molto meno grave di quanto non sembri”… E invece no. E’ tutto vero, purtroppo. George si è rotto a metà tibia e fibula, dicendo addio al mondiale di Spagna e alla stagione 2014-15. Ecco che il mondo intero è sfociato nella seconda fase; quella di rabbia e dolore. Tutti hanno imprecato, hanno chiesto “perché”, hanno citato in giudizio forze superiori all’uomo. Rabbia. Poi, una volta sfogati gli animi bollenti, la maggior parte di questi si è stretta attorno all’asso di Indiana con messaggi di sostegno e compassione. Dolore.
Ora invece ci troviamo nella terza fase, forse la più interessante: quali sono le cause che hanno portato al gravissimo infortunio? Gli opinionisti d’Oltreoceano non hanno dubbi e puntano il dito contro l’NBA stessa. Ripercorriamo l’infortunio di George. Il numero 24 di Indiana insegue Harden, prende la rincorsa per stoppare il tiro, commette fallo e poi atterra malamente, appoggiando il piede destro contro la base del canestro. Proprio così, la base del canestro, elemento fondamentale, ma messo spesso in discussione a causa della distanza ridotta dal campo di gioco. Attualmente il gap regolamentare tra linea di fondo e base del canestro è di minimo tre piedi, circa 90 cm. Questa distanza è stata spesso giudicata troppo piccola, soprattutto dai giocatori che, finendo un layup veloce, vi finiscono contro più di una volta a partita.
I hope now they will move da basket back, if paul wouldn’t of hit the base of the basket. He would be ok, tell me what u think #moveitback
— SHAQ (@SHAQ) 2 Agosto 2014
Prayers up for Paul George!!!!! I’ve been saying the backstop of the basket should be pushed back further — Ty Lawson (@TyLawson3) 2 Agosto 2014
Prayers for Paul George. Basket stanchion a tough issue. Padding is fine, but shouldn’t be padded out that close to the end line.
— Kevin Brockway (@gatorhoops) 2 Agosto 2014
La deriva spettacolare dell’NBA ha portato l’associazione a permettere a fotografi, tifosi e reporter di posizionarsi a pochi centimetri dal terreno di gioco, offrendo prospettive spettacolari per foto e video. Allo stesso tempo tuttavia, una lontananza ridotta tra campo e spalti può diventare rischiosa per l’incolumità di atleti e spettatori. Pensando agli incidenti a bordocampo ci vengono in mente immagini di giocatori divertiti mentre franano addosso ai tifosi in prima fila, ma in alcuni casi, le cose non finiscono per il meglio.
“L’NBA è un business” si tende a ripetere ogni giorno, ma la perdita di un campione del calibro di George per una stagione intera non ha forse ripercussioni più gravi – a livello di marketing – di una foto scattata da qualche metro più lontano?
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Veramente in NBA la base del canestro è più lontana (4 piedi) rispetto a quella dove si è svolta l’amichevole di Las Vegas. Questo è un campo di una squadra universitaria, NON nba, quindi è quello il problema. Il campo ha dimensioni universitarie.
E’ vero che sarebbe ideale aumentare questa distanza, ma in Ncaa(vedi Las Vegas) la distanza è ancora più ridotta che in Nba.