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Cantù e la forza della resilienza

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Ci sono viaggi che sembrano non finire mai. Quelli in cui ogni passo pesa, ogni ostacolo sembra invalicabile, ogni vittoria è un respiro affannoso. Ma ci sono anche viaggi che, proprio per quanto sono duri, ti cambiano. Ti rendono più forte. Ti fanno capire davvero chi sei. È questo il viaggio che ha fatto la Pallacanestro Cantù: un cammino durato quattro lunghissimi anni, partito da una retrocessione dolorosa e finito con un ritorno da brividi. Cantù è di nuovo in Serie A.

Il peso di non appartenere

A Cantù, la Serie A non è un obiettivo. È casa. E quando la perdi, non è solo il parquet che ti manca: è la tua identità che vacilla. Gli spalti si riempiono lo stesso, ma con uno sguardo diverso. Come se ogni partita fosse un atto di resistenza, come se ogni tifoso dicesse con la sua voce: “Noi siamo ancora qui”. E infatti, ci sono stati momenti in cui sembrava tutto perduto: una gara-5 sfumata a Scafati, un oggetto lanciato in quella fatidica gara contro Pistoia, una promozione mancata a un passo dalla storia contro Trieste con le prime 2 sfide di finale in casa. Ma in quei momenti, è nata la vera forza di Cantù: la resilienza.

Quando restare è più difficile che partire

Lo sa bene Filippo Baldi Rossi, che un paio di estati fa aveva quasi fatto le valigie per Trapani. Sarebbe stato facile cambiare aria, ricominciare altrove, avendo quasi la certa matematica di tornare in Serie A con i siciliani. E invece ha deciso di restare. Di diventare capitano, simbolo di un progetto che ha bisogno di uomini prima che di giocatori. Il suo gesto è stato il primo sì di un puzzle destinato a ricomporsi. Senza proclami, senza luci, con la sola forza di chi sceglie di lottare per ciò in cui crede.

Un cerchio che si chiude: Brienza e Bianchi, il ritorno dei condottieri

Nell’estate del 2024, Cantù ha ritrovato due volti familiari: Nicola Brienza e Roberto “Sam” Bianchi. Entrambi hanno scelto di tornare in biancoblù con un obiettivo chiaro e condiviso: riportare il club dove merita di stare. «Siamo tornati per chiudere un cerchio», hanno detto in conferenza stampa dopo la promozione, parole che oggi suonano come una promessa mantenuta. Brienza ha riportato equilibrio e visione tecnica; Bianchi ha incarnato lo spirito di appartenenza e la connessione con la città. Insieme, hanno saputo costruire una squadra solida e resiliente, capace di trasformare il peso del passato in carburante per la risalita.

Grant Basile, l’uomo del ritorno

Poi c’è lui, Grant Basile. Una scoperta, una sorpresa, una furia controllata. Un giocatore arrivato senza fanfara, ma che ha saputo trascinare la squadra come pochi. Ogni partita, una prova di forza. Ogni canestro, un passo verso la vetta. È stato lui a guidare Cantù fuori dal labirinto, con una naturalezza che solo i grandi hanno. Basile non è solo il volto della promozione. È il simbolo di ciò che succede quando la resilienza incontra il talento.

Non è solo basket

In questi quattro anni, Cantù ha riscritto il suo DNA. È passata dall’essere una nobile decaduta al diventare un gruppo di uomini e professionisti pronti a sudarsi ogni centimetro. Non è stata una risalita. È stata una scalata con le mani nude, una rinascita fatta di scelte scomode, di cadute rumorose e di silenzi che urlavano più delle parole.

Il ritorno in Serie A non è solo un traguardo sportivo. È la vittoria della costanza sulla frustrazione, dell’identità sull’oblio, della resilienza sulla resa.

Ora non si guarda più indietro

Cantù non torna in A per salvarsi. Torna per restare. E per farlo con la consapevolezza di chi ha toccato il fondo ma ha scelto di risalire, insieme. Perché certe squadre non muoiono mai. E perché certe piazze, anche quando cadono, lo fanno in piedi.

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