A dieci anni dalla scomparsa di Red Auerbach

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Esattamente dieci anni fa se andava da questa terra il leggendario Red Auerbach. Il 28 ottobre 2006 veniva stroncato da un infarto all’età di ottantanove anni lasciando un vuoto incolmabile – come disse l’allora commissioner David Stern – nell’intero mondo NBA. Del resto si trattava di colui che aveva creato la prima vera e propria dinastia della storia della lega e che era riuscito a ottenere enorme successo sia come coach che come GM e presidente. Il tutto per unica e sola squadra, i Boston Celtics. Perché per lui i C’s erano uno “stile di vita” e non una semplice franchigia NBA.

Auerbach era figlio di quegli Stati Uniti dei primi anni del novecento che avevano chiuso da pochi decenni la prima grande stagione della propria storia – ovvero quella della frontiera – e stavano attraversando quella del consolidamento a prima (o una delle prime, se si preferisce) potenza mondiale. Questo attirò molte più persone nelle terre a stelle e strisce di quanto fosse successo prima, portando a una nuova generazione di statunitensi figli di immigrati in cerca di una nuova opportunità di vita. Il celeberrimo coach dei Celtics era per l’appunto figlio di un ebreo russo spostatosi da Minsk. RA

Auerbach cominciò giocare a basket al P.S. 122 di Brooklyn, sua città natale, ma il suo obiettivo era affermarsi come coach e insegnante. Per questo frequentò l’università a Washington, D.C., e nello stesso luogo cominciò la carriera da allenatore nel 1941, prima alla St. Albans Preparation School e poi presso la Roosevelt High School. Dal 1943 al 1946 invece dovrà mettere da parte la carriera per servire la nazione come U.S. Navy (periodo per cui verrà onorato il 25 ottobre 2006, appena tre giorni prima della morte).

Finita l’esperienza militare, e dopo un periodo in BAA, Auerbach approda a Boston nel 1950. Qui dimostra il suo totale disinteresse per il colore della pelle dei giocatori (tema invece molto sentito all’epoca) ed è il primo a scegliere un afroamericano al Draft. La sua personalità vulcanica, la sua mentalità vincente e il suo fiuto per il talento (unito alla capacità di rischiare come nel caso Bill Russell) gettarono le basi per quella che sarà la squadra capace di vincere undici titoli NBA. Più ovviamente gli altri vinti tra gli anni settanta e ottanta quando Auerbach non era più in panchina per i biancoverdi.

I record del nativo di Brooklyn fanno ovviamente impallidire, ma più dei numeri è l’eredità da lui lasciata a dover essere sottolineata. Senza di lui non avremmo molte delle cose che oggi possiamo vedere in NBA dal punto di vista organizzativo, culturale o semplicemente sportivo. Per i fumatori il consiglio per onorarlo è seguire l’esempio di Phil Jackson dopo il titolo conquistato con i Lakers nel 2009:

Questa notte accenderò un sigaro in onore di Auerbach

 

Mattia Moretti

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