Mercoledì 9 aprile 2014 non è stato un giorno qualsiasi nella storia del basket: Dirk Nowitzki, nella partita vinta dai suoi Dallas Mavericks contro gli Utah Jazz, è entrato nella top ten dei marcatori della storia Nba. In pochi giorni, il doppio sorpasso ai danni di due autorità del gioco come Dominique Wilkins e Oscar Robertson ha proiettato il tedesco nell’Olimpo di questo sport, più di quanto non ci fosse già entrato in precedenza; infatti, il traguardo raggiunto una settimana fa, è ormai l’ennesimo di una serie di step che il tedesco, quasi senza porsi, ha scavalcato uno dopo l’altro. Entrato in punta di piedi e a fatica nel mondo dell’Nba, la sua scalata verso il successo è stata forse lenta, ma continua e costante, noncurante degli intralci, delle critiche, delle sconfitte e di una certa diversità che gli appartiene. E’ diventato in fretta l’uomo simbolo dei Mavs, ha portato questa giovane franchigia verso apici sconosciuti, le ha fatto assaporare il sapore del trionfo senza poi gustarlo a pieno, è arrivato a consacrarsi come il migliore fra tutti, ha saputo levarsi di dosso la scomoda etichetta di perdente quando nessuno se l’aspettava, riuscendo a conquistare quell’anello che in Nba, fin quando non lo si indossa, crea perennemente unas terribile sensazione di vuoto interiore, incolmabile da numeri, statistiche e record. Lo ha fatto da leader riconosciuto, da unica stella in un gruppo di eccelsi veterani e ottimi gregari. Come tutti coloro che hanno toccato le vette più alte, ha dovuto affrontare il percorso opposto, quello della discesa, arrivando addirittura a far parlare qualcuno di malcelata decadenza. Invece, eccolo di nuovo fra i protagonisti assoluti, principale artefice della qualificazione dei Mavs agli imminenti playoff e divoratore di record.
Il bello di tutto ciò però, non è la storia fine a sé stessa, non sono le vittorie personali ed individuali, i record infranti e da infrangere. Ovviamente non si può discutere sul fatto che determinati numeri e risultati siano solo per pochi eletti, ma ci sono giocatori che, per alcuni e svariati aspetti, hanno saputo brillare e imporsi meglio di lui; la straordinarietà è che Wunder Dirk ha fatto e sta facendo tutto ciò essendo un giocatore tedesco, un europeo in un mondo dominato da americani e dalla cultura americana. Vi aspettavate qualcosa di diverso e meno scontato? Dispiace avervi deluso, ma se ci riflettete, scoprirete la grandezza e l’eccezionalità di questa diversità. Ormai l’Nba si sta aprendo da anni alle nuove frontiere ed in particolar modo a quella europea: tanti sono i giocatori del Vecchio Continente che oltrepassano l’oceano per tentare di imporsi nel basket che conta più di tutti, alcuni ci riescono, altri no, per poi essere prontamente rispediti al mittente. Quanti però, fra loro, hanno raggiunto la dimensione leggendaria ed epica che appartiene al nativo di Wurzburg ? Nessuno è riuscito a vincere un titolo Nba da protagonista indiscusso, da primo e, forse, unico vero violino, nessuno è riuscito a laurearsi come miglior giocatore sia di una stagione regolare che di una post season, nessuno è arrivato ad identificarsi così a fondo in una squadra, nessuno si è issato così in alto nel gotha del basket americano. In un mondo così prettamente e prepotentemente americano, dove la storia è stata scritta da americani e soprattutto, da americani di colore, Nowitzki è un’incredibile quanto rara eccezione, è una nota di colore diversa che può essere il bianco della sua pelle o il biondo dei suoi capelli. Dirk ha sfidato una realtà estremamente patriottica, entrandoci, non in post basso e in allontanamento come così bene sa fare sul parquet, ma in maniera diretta, spavalda ed energica, quasi come una schiacciata a una mano. Ha convinto una franchigia a puntare sempre e solo su di lui, accostandogli non star del suo livello, ma giocatori di contorno che lo completassero e lo supportassero. Non per suoi capricci o ripicche, ma perché si sapeva che lui sarebbe bastato a raggiungere il top. E’ stato sempre l’inamovibile perno dei progetti di Cuban: se pensi a Nowitzki puoi sicuramente pensare anche ai Mavs, ma se pensi ai Mavs, non puoi assolutamente non pensare a Nowitzki.
Questo suo cammino all’interno dell’Nba inoltre, lo ha sempre condotto alla sua maniera, con il suo modo di fare, essere e giocare, con la sua etica del lavoro degna di un vero teutonico, lontano dai richiami mediatici e spettacolari di cui è farcita l’Nba. Ci si ricorda forse una sua dichiarazione fuori posto, un suo momento di auto-celebrazione, una sua maniera di porsi e di mostrarsi che non abbia a che fare con le prestazioni sul campo ? Rieccola la sua straordinaria eccezionalità: un tedesco arrivato a rendersi grande fra gli americani ma senza americanizzarsi, bensì mostrando sempre tutta la sua vera ed originaria indole. La vittoria del titolo del 2011 è quanto mai simbolica: di fronte a lui i Miami Heat dei fantastici 3, di LeBron James, l’uomo che ha calamitato l’attenzione di un paese intero comprandosi una trasmissione televisiva per dire dove sarebbe andato a giocare, di Dwyane Wade, l’uomo che dopo le finali del 2006 vinte contro di lui disse che non aveva il carisma da leader, i due insomma che, per deriderlo riguardo le voci di una sua febbre in quelle finali, imitarono un attacco di tosse alla vigilia della decisiva gara 6. La risposta del tedesco, che la febbre l’aveva per davvero e con quella segnò il canestro decisivo in gara 4, fu la semplice vittoria di quell’incontro e di quel titolo. Con orgoglio e senza polemiche.
Anche nel modo di giocare ha saputo imprimere un suo marchio, senza perder troppo tempo in schiacciate fotografiche. Il suo è un gioco di classe e raffinatezza, piede perno e tiro in allontanamento, alla faccia del gioco fisico dei più classici lunghi statunitensi. Uno dei primi pivot a cercare la retina da lontano, da fuori l’area addirittura. Capostipite di una scuola, di un movimento che ha fatto storia, che in tanti apprenderanno ma che sarà sempre suo. Scriveva Leo Longanesi “Questi americani, Dio mio, che non hanno il coraggio di essere tedeschi; e questi tedeschi che non riescono a sembrare americani”. Dirk non sembra proprio un americano, nemmeno un po’; se lo fosse stato e magari anche di colore, sarebbe più celebrato, idolatrato ? Probabilmente sì, ma è in questo non esserlo e non sembrarlo che si nasconde la sua forza, la sua eccezionalità.
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