Esclusiva BU: Michele Carrea a 360°. “Stagione positiva. Divisione Est-Ovest da rivedere”

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Dopo un anno non facile conclusosi al primo turno playoff contro Montegranaro, e dopo il rinnovo di contratto che lo legherà a Pallacanestro Biella fino al 2020, Michele Carrea si è raccontato a BasketUniverso rivelando una gran voglia di guardare al futuro, senza dimenticare il passato, togliendosi anche qualche sassolino dalle scarpe.

Coach, il primo turno playoff dopo il quarto posto in regular season, era il massimo che la Biella di quest’anno poteva ottenere?

Se guardiamo alla regular season posso dire che abbiamo raggiunto quasi il massimo del nostro potenziale, considerando che dopo la sconfitta in casa contro Scafati ci davano tutti per morti, ma noi siamo stati bravi a ricompattarci e a ottenere due belle vittorie contro Tortona e Casale. Anche in Coppa Italia abbiamo fatto il nostro massimo, considerando la bella vittoria contro una squadra forte come Udine, e che Tortona in quei tre giorni si è dimostrata di fatto imbattibile.  Per quanto riguarda i playoff, da agonista, ho il rammarico per l’approccio non all’altezza in gara-1, e questo è l’unico ripianto che ho riguardo alla stagione passata, unito ovviamente all’epilogo arrivato in una gara-4 in cui eravamo stati perfetti per 25′, e poi è avvenuto quel crollo di testa e di energia che onestamente non sono ancora riuscito a spiegarmi.

Coach Carrea durante un time out

La squadra di quest’anno era impostata su energia e dedizione difensive, con l’obiettivo di vincere le partite obbligando l’avversario a segnare un canestro in meno di voi. Quanto il roster è stato frutto di programmi, e quanto piuttosto una necessità dopo l’addio inaspettato di Udom, e il no di Imbrò quando tutto sembrava ormai fatto?

Per quanto riguarda la vicenda di Imbrò, abbiamo deciso di portarla alla luce perché c’è stato un cambio di orientamento avvenuto secondo noi con modalità scorrette, che ci ha portato alla conseguente rinuncia a Venuto, creando una situazione diventata poi irreversibile. A quel punto era chiaro che la nostra scelta era di affidare a Ferguson il ruolo di play maker, e conseguentemente avevamo anche bisogno di un giocatore come Bowers che in A2 può essere un “jolly” utilizzabile in diversi ruoli. Forse abbiamo commesso l’errore di sottovalutare il campanello d’allarme che è iniziato dalla partita di Treviglio, quando era evidente che gli avversari decidevano di raddoppiare sistematicamente su Ferguson, “battezzando” altri giocatori; le contromisure che abbiamo preso non sono state sufficienti, e non siamo stati in grado di produrre un basket utile per essere pericolosi nel playoff.

La squadra di due anni fa, con Mike Hall, De Vico, Ferguson da guardia, era impostata invece in maniera totalmente diversa, e faceva della pericolosità offensiva il suo punto di forza. Quali difficoltà hai trovato nell’allenare due squadre così diverse?

Il ruolo dell’allenatore non è una scienza perfetta, bisogna saper cambiare vestito e avere una visione a 360°. Dal punto di vita tecnico non ho trovato difficoltà o grosse differenze. Il gruppo di quest’anno era forte, fatto di giocatori disponibili e pronti ad adattarsi a ciò che gli veniva chiesto; la squadra dell’anno scorso invece aveva più talento e più personalità individuali, e la cosa importante era far capire alla squadra il giocatore a cui affidarsi in ogni momento e come gestire le situazioni. Dal punto di vista emotivo invece le differenze sono state molte: la passata stagione avevo il problema di arginare le varie personalità, quest’anno invece ho dovuto lavorare di più sullo stimolare i giocatori, e per me è stato faticoso e in alcuni casi riconosco di non essere stato così performante.

In tanti hanno sottolineato come non si sia assistito alla definitiva “esplosione” dei giovani: è una questione solo di talento, o come staff vi rimproverate qualcosa?

Quando si parla dei giovani, spesso si guarda solo un breve lasso di tempo, e si tende a dimenticare che è necessario invece osservare il percorso di crescita che il giocatore intraprende, nel nostro caso su un periodo triennale. Sotto questo punto di vista credo che Rattalino e Wheatle abbiano avuto una buona crescita. Il primo quest’anno ha visto di più il campo, a volte con prestazioni virtuose e utili alla squadra; nei playoff i limiti sono usciti tutti, ma non possiamo pensare che ogni anno dal nostro settore giovanile possano uscire giocatori come De Vico. Rattalino comunque ha mercato in serie B, e nel suo caso possiamo considerare un percorso tecnico portato a compimento. Parlando di Wheatle, l’anno scorso ha avuto molti alti e bassi, e nei playoff contro Verona non ha quasi mai assaggiato il campo; in questa stagione invece ha giocato una media di 2 minuti inferiore alla guardia titolare, e nei playoff il suo minutaggio è cresciuto, dimostrando di poter giocare in due ruoli. Da Pollone invece ci aspettavamo di più in questa stagione, era partito bene ma poi è stato messo in ombra dalla crescita di Wheatle e Sgobba; detto questo  ha mercato come under in A2, quindi nel complesso il suo percorso non è da considerare negativo.

Carl Wheatle

Perché hai scelto ancora Biella per le prossime due stagioni, nonostante le voci di un possibile interessamento di squadre di serie A?

In realtà non sono stato contattato da nessuna squadra di A, ma solo da team di A2. Avrebbe avuto senso andare via solo se avessi avuto la possibilità di alzare l’asticella in modo significativo, e in questo caso non ho avuto dubbi: Biella si è mossa in modo serio, dimostrando un reale desiderio di dare un senso al mercato e alla programmazione futura, mettendomi alla guida di tutto il programma tecnico della società, settore giovanile compreso. A Biella amo lavorare, ho alte responsabilità, gli stimoli non mancano e ogni domenica posso confrontarmi con un pubblico che a ovest non ha eguali.

I playoff stanno dimostrando che ci sono grosse differenze tra girone est e ovest, quali sono i fattori principali?

Indubbiamente partecipare tutto l’anno a partite con grande intensità, talento, competitività e in palazzetti pieni, consente di avere un vissuto ed esperienza che nei momenti chiave sono molto importanti. Però il problema resta sempre lo stesso: i maggiori costi che le squadre dell’ovest devono sostenere. La questione non è solo nel budget (se Trieste o Treviso hanno budget maggiori di Latina o Rieti nessuno ci può fare nulla), ma a conti fatti una squadra di ovest spende in media 50.000 euro in più all’anno per le trasferte, e questo equivale al costo di ingaggio di un giocatore che in serie A2 può fare la differenza. Noi quest’anno abbiamo fatto tantissimi chilometri in bus e preso 7 volte l’aereo, sostenendo i relativi costi di due notti in albergo per 18 persone, con sveglia alle 4 del mattino del lunedì per tornare a casa; credo che squadre come Ravenna e Forlì non abbiamo mai dovuto affrontare viaggi così dispendiosi e faticosi. La cosa che più fa arrabbiare è che nessuno a livello dirigenziale si occupi di questa disarmonia, cercando di ristabilire un minimo di equilibrio.

Come sarà l’estate di Carrea?

Dal punto di vista professionale, cercheremo di comporre la squadra il prima possibile, formulando proposte serie anticipando gli altri club per essere il più competitivi possibile. Sarà importante per me usare il tempo per ampliare le mie conoscenze, per imparare e poter poi insegnare cose nuove. Dal punto di vista personale invece cercherò di ricaricare le batterie, e se la programmazione della squadra me lo permetterà, vorrei tornare in Africa a inizio luglio per seguire ancora il progetto Slums Dunk (progetto seguito da Tommy Marino e Bruno Cerella, che attraverso il basket cerca di strappare i bambini dalla strada, ndr).

Si ringrazia l’Ufficio Stampa di Pallacanestro Biella per la collaborazione.

 

Riccardo Picco

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