Prosegue la nostra analisi sul campionato delle squadre che non hanno raggiunto la post-season. Oggi è il turno di 3 grandi delusioni: Venezia, Avellino e Bologna.
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UMANA REYER VENEZIA: Voto 4,5 A cura di Giorgio Giovannini
Stagione fallimentare per i lagunari. Dopo due anni consecutivi ai playoff, usciti al primo turno, l’obiettivo era quello di arrivare fino in fondo. Così deve averla pensata la dirigenza, che ha stravolto il roster, portando nuovi innesti con una certa esperienza nel nostro campionato: Donell Taylor, Andre Smith, Luca Vitali, Tony Easley, Jacopo Giachetti e Hrvoje Peric, aggiungendo la scommessa dall’estero, Nate Lihart. Viste le premesse e la buona prestagione, per la Reyer poteva davvero essere l’anno della consacrazione. Nonostante l’alta concentrazione di talento presente nel roster veneziano, i risultati non sono arrivati, le quattro sconfitte nelle prime cinque uscite stagionali hanno valso l’esonero dello storico coach Andrea Mazzon, rimpiazzandolo con l’esperto Zare Markovski. Con la nuova guida, la scossa è arrivata, portando la squadra in piena zona playoff e la qualificazione alle Final Eight. Ma si è rotto il meccanismo, un ingranaggio, che si è rivelato fatale per la squadra, incapace di proseguire l’ottimo momento di forma anche nel girone di ritorno, nonostante gli innesti di Aaron Johnson, Andrea Crosariol, e soprattutto, Sasha Vujacic. Se poi si pensa allo spogliatoio, nettamente spaccato e lo scellerato comportamento di Smith nei confronti di Vujacic e della tifoseria, non si può non dire che questa sia stata la peggior stagione dell’era Brugnaro. Da rifare tutto.
SIDIGAS AVELLINO: Voto 5 A cura di Alessandro Saraceno
Avellino è una delle grandi delusioni del campionato viste le aspettative di inizio stagione. I più grandi siti di basket avevano pronosticato la squadra di Vitucci a questi Playoff e si pensava che sarebbe potuta essere anche una possibile outsider. Eppure la Scandone non ha saputo mantenere le aspettative: i Lupi si sono classificati dodicesimi, vincendo solo 12 delle 30 partite totali, un’inezia per un roster di quel tipo. Il più deluso di tutti è Vitucci che commenta così la prematura fine del campionato: “Tutti ci aspettavamo che questa stagione sarebbe finita più avanti, ma che invece, è finita in maniera troppo rapida per quelle che erano le nostre aspettative. […] Ci aspettavamo tutti qualcosa in più da una squadra che ha fatto fatica durante l’anno a trovare quel guizzo che riuscisse a dare una continuità di rendimento”. Avellino avrebbe dovuto fare meglio, anche a seguito dei capitali spesi dalla società per comprare giocatori di tutto rispetto e gran parte della colpa deve essere attribuita a Vitucci.
VIRTUS BOLOGNA: Voto 5 A cura di Roberto Caporilli
La Virtus Bologna di quest’anno ha dato è la classica squadra che dà l’idea di avere grandi potenzialità ma di non riuscire ad esprimerle totalmente. Questo fattore si coniuga poi molto bene con l’altalena di risultati raccolti: dopo un inizio molto promettente con 5 vittorie nelle prime 6 squadre, nelle successive 17 partite sono arrivati solo 3 successi. In questo periodo ci sono stati gli arrivi di Warren e Ebi ma anche il cambio di allenatore (da Bechi a Valli) che non aveva sortito esiti fino al famoso episodio dell’allenamento ripetuto alle 21,00 a causa dello scarso impegno e in seguito al quale la squadra ha infilato 3 vittorie in fila, prima di cedere nuovamente incassando 4 sconfitte nelle ultime gare. Quando si punta su un gruppo di giovani può accadere che alcuni rendano al di sotto delle aspettative, come accaduto con Motum e Gaddefors e se poi alcuni dei più vecchi non riescono a dare un apporto costante, come accaduto nei casi dei centri King e Jordan, è difficile venirne fuori nonostante le ottime stagione di Walsh (tra i migliori “sesto uomo” del campionato) e Hardy. Sul piano tenico l’impressione è che non si sia riuscito a trovare il giusto equilibrio di gioco, visto che la squadra sembrava essere troppo sbilanciata sugli esterni, i quali catalizzavano la maggior parte dei palloni, anche a causa della scarsa attitudine offensiva dei lunghi, fatta eccezione per Walsh che comunque giocava spesso lontano dal ferro. Sul piano psicologico invece è chiaro che quando si indossa questa maglia la pressione è tanta e probabilmente qualcuno degli interpreti non è riuscito a calarsi nella realtà virtussina. Peccato, il potenziale c’era e gli elementi da cui ripartire non mancano, a partire da Walsh e Hardy, ma anche i giovani di casa Imbrò e Fontecchio e, perché no, i due innesti in corsa.
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