IL MIO SCUDETTO DELL’OLIMPIA
Anno 1997. Su consiglio del suo allenatore di pallacanestro, un timido ragazzino si recava al Pala Lido, dove facevano dei provini per entrare a far parte della squadra giovanile dell’Olimpia Milano. Indossava il completo biancorosso dell’allora Stefanel Milano, vincitrice del venticinquesimo scudetto l’anno prima. Al momento dell’appello, un signore dello staff ironizza su quel completo: “Oh abbiamo qui un giovane già pronto”. Forse non fu una grande idea indossare quella divisa, pensò quel ragazzino, anche perché tutti gli altri partecipanti, alcuni di età maggiore, erano vestiti con magliette e pantaloncini da playground. Sembravano nettamente più “fighi”.
Dopo un breve allenamento, iniziò la partitella. A guardarla lo staff era raccolto intorno ad un piccolo uomo con gli occhiali, capelli brizzolati, in borghese ma con indosso i simboli della squadra milanese. Quel piccoletto non mollava lo sguardo dal parquet, osservando ogni singolo palleggio o movimento.
Per quel ragazzino non andarono bene quella partita di allenamento e nemmeno il provino. Continuò a giocare a basket nelle varie piccole squadre della provincia, purtroppo con un’altalenante frequenza. Il tifo per quella squadra biancorossa non crebbe, forse dovuto al fallimento di quel pomeriggio o molto probabilmente alla pigrizia di un ragazzino che iniziava la fase adolescenziale. Voltò lo sguardo oltre oceano, dove allora militava un certo Michael Jordan e le sfide con gli Utah Jazz iniziavano a diventare leggenda. Quel completo biancorosso fu sostituito presto con uno blu e azzurro, con disegnato un picchio di montagna e sulla schiena il numero 32 di Karl Malone.
Per Milano iniziarono gli anni del decadimento, della retrocessione sfiorata, mentre la pallacanestro in Italia pian piano perdeva di popolarità, dopo la stella cometa della Rooster Varese.
Anno 2005. Milano, sponsorizzata da un certo Giorgio Armani, è beffata dalla Fortitudo Bologna, dove militava un giovanissimo Marco Belinelli e capitanata da Gianluca Basile, al fotofinish con una super tripla sulla sirena. Quel ragazzino oramai si guadagna da vivere lavorando, ma rifiuta di seguire i suoi amici al Forum di Assago, dove stava per iniziare quella partita.
Cinque anni dopo torna al palazzetto, accettando l’invito del suo migliore amico. Si trova in curva, allora semideserta, conosce a malapena i nomi dei giocatori. Lo striscione con la mascotte Fiero il Guerriero lo sovrasta durante la presentazione, ma la partita non è altrettanto divertente: Milano non da segni di vita e una super Mens Sana Siena la cancella per 4-0!
L’anno dopo qualcosa scatta nella testa di quel ragazzino, orami ventisettenne. Dan Peterson, suo mito quando, durante le scuole elementari, s’imitavano gli eroi del wrestilng capitanati da Hulk Hogan e Ultimate Warrior, torna sulla panchina di Milano. Lui, il nano ghiacciato e leggenda Olimpia, riaccende la fiamma del tifoso in quel ragazzino, che si compra un cappellino rosso portafortuna e si va al palazzetto a vedere la partita d’esordio, altri tre match, la sfida di ritorno contro la rivale Cantù, caso vuole proprio in prima fila, vicino a bordo campo. L’anno è di quelli ancora sfortunati, ma Milano ha un tifoso in più, una “pecorella smarrita” riportata a casa.
Due stagioni seguite dall’esterno, ultima più deludente, fino a quando, con mia sorpresa, entro a far parte integrante di un progetto costante che parla proprio di basket: è l’anno 2013, la stagione dell’Olimpia inizia ed è quella giusta ed io mi trovo a poterla raccontare.
Il ciclo è di quello buono, ne ha tutte le premesse, ma, con grande sorpresa, i playoff sono una sofferenza.
La finale c’è, però, ed è contro la nemica delle ultime stagioni, Siena. Una serie finale tirata e combattutissima, uno spot riuscito per la pallacanestro italiana che, anche nei periodi dei Mondiali, regala maxischermi nel capoluogo milanese proprio per trasmettere le partite.
Un canestro sputato dal ferro di Siena regala la vittoria a Milano nella precedente gara, come se fosse un passaggio di testimone, un lascito di una grande squadra a un’altra, oggi giustamente più forte. Gentile, capitano dell’Olimpia succeduto al padre proprio dopo l’ultimo scudetto vinto, alza la coppa. Non poteva finire diversamente il destino è scritto e la favola compiuta.
Il destino ha però in serbo soprese. Per un caso fortuito mi trovo proprio a soggiornare a Siena durante la gara decisiva. In Piazza del Campo, guardo la partita in una birreria, dietro ad una tavolata gremita di ragazzi tifosi mensanini che prima esultano, ma poi il risultato gli ammutolisce. Io sono già uscito dal locale, già nella mia camera di albergo. Mi guardo ancora la partita, la replica fino alle 2 del mattino, la stanza è illuminata solo dal televisore, il cappellino è in testa. Le immagini inquadrano i giocatori avversari, che hanno recato più che onore alla loro società, e il loro allenatore, che non ha più gli occhiali, ma è rimasto piccolo e brizzolato. Marco Crespi dopo quel pomeriggio al Lido, dove mi guardava giocare a basket vestito con la divisa della Stefanel, di strada ne ha fatta ed è diventato head coach senese e uno dei migliori esperti di pallacanestro italiani. Io oggi gioco solo nei campetti, sono solo un impiegato ma che ora segue la pallacanestro da vicino, con l’amore per questo sport che brilla negli occhi a ogni partita.
I quotidiani sportivi del giorno dopo danno la prima pagina all’Olimpia Milano, quelli del posto la dedicano alla loro squadra. Il mio giornale per ricordo è già a casa, lascio l’edicola sorridendo. Per mano con la mia ragazza inizio a visitare questa magnifica città che è Siena.
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