Jason Kidd si è raccontato alla Gazzetta dello Sport, parlando sia del suo passato da giocatore che della sua carriera da allenatore. Ovviamente non si poteva non parlare del titolo vinto a Dallas assieme a Dirk Nowitzki, da lui incoronato come il migliore dei compagni di squadra mai avuti. Oltre a questo però, anche un confronto con alcuni dei migliori play attuali e la sua esperienza da coach, iniziata subito dopo la fine di quella da giocatore:
“PERIODO RELAX – Per la prima volta non sto preparando l’inizio di una stagione? E’ tutto nuovo e devo dire anche piuttosto bello. Ho finalmente tempo per godermi la mia famiglia. E per riflettere, sia sulle cose che devo migliorare come coach sia su quello che sono riuscito a fare come giocatore.
Aver giocato per 19 stagioni è il punto di partenza, ma la cosa di cui vado più fiero è essere riuscito a migliorare i miei compagni e le squadre in cui ho giocato, trovando sempre il modo di vincere.
No, quello che ho fatto è andato oltre le mie aspettative. Ci sono così tanti buoni giocatori in Nba che per essere uno di loro, oltre a lavorare sodo, devi avere la fortuna che la palla rimbalzi nella tua direzione. Io sono riuscito sempre a giocare in ottime squadre con grandi compagni che volevano vincere.
Fu una cavalcata incredibile. E’ stato speciale vincere con la squadra che mi aveva scelto al draft e a cui poi ero tornato. Quando arrivi in Nba sogni di vincere un titolo: quell’anno ho scoperto quanto sia duro farlo. Ma è stato straordinario.
Dirk Nowitzki. Poi Kenyon Martin, Vince Carter, Jason Terry. E Steve Nash, con cui ho giocato a Phoenix. Come coach vorrei Dick Motta, il mio primo tecnico in Nba, uno che penso dovrebbe essere nella Hall of Fame: lui e Danny Ainge mi hanno fatto capire cosa serve per vincere. E poi Rick Carlisle, con cui ho vinto il titolo, il mio traguardo più grande.
Direi di no. Ho giocato al massimo livello contro i migliori giocatori del mondo, ho vinto due medaglie olimpiche con Team Usa, un titolo Nba, sono stato più volte All-Star, All-Nba e nel quintetto difensivo. Pensandoci bene, però, un rimpianto ce l’ho: avrei dovuto tirare di più.
Problema di aspettative: la dirigenza pensava che dovessimo essere meglio di quello che eravamo e ha agito di conseguenza. E’ un business e lo accetto. Dico però che stavamo migliorando, sia a livello di squadra che di singoli giocatori. Per far crescere un gruppo serve tempo, anche se a volte una dirigenza vuole tutto e subito quando invece servirebbe pazienza. Mi spiace non abbia funzionato, ma sono orgoglioso di quello che abbiamo ottenuto.
“E’ già tra i migliori in Nba e con la sua etica del lavoro, che lo spinge a migliorare continuamente, può diventare uno dei più forti di sempre. Lavora duro, ha la volontà di essere grande, ha passione per il gioco e vuole vincere. E’ stato bello stargli attorno, sia dentro che fuori dal campo: mi spiace non potermelo più godere dal vivo, ma lo vedrò in tv.
Sì, e non fa differenza se con una squadra che punta al titolo o con una da ricostruire. A Milwaukee ho ridato vita ad una franchigia in condizioni non buone, a Brooklyn invece avevo Paul Pierce e Kevin Garnett in una squadra che giocava per vincere.
Assolutamente sì. Dirk è il miglior compagno di squadra possibile. Ha grande personalità sia dentro che fuori dal campo, è un vincente che ha cambiato per sempre il modo di giocare dei lunghi con le sue abilità di tiro. E’ incredibile che stia per iniziare la sua 21ª stagione, ma questo la dice lunga sulla sua forza mentale. Gli auguro di rimanere sano tutto l’anno: sarà un mentore strepitoso, e anche se con l’età ha perso velocità le sue abilità di tiro lo rendono ancora un pericolo di cui tenere conto.
Mi rivedo in Russell Westbrook: gioca alla morte, riempie le statistiche e trova sempre il modo di vincere giocando ad altissimo livello. Ci sono delle somiglianze con Lonzo Ball, con le sue capacità di passaggio. E con John Wall, con la sua abilità di sfruttare la sua velocità per fare canestro o creare per i compagni”.
Troppo facile dire Warriors. Ai Lakers con LeBron sarebbe tutto facile. A Est invece andrei a Philadelphia: con tutti quei giovani…”.
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