Jim Valvano: don’t give up, don’t ever give up

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Se nasci nel Queens ed i tuoi genitori si chiamano Rocco Valvano e Angelina Gianturco le tue origini sono piuttosto chiare: James Thomas Anthony, per tutti Jim, è il secondo di tre figli di una coppia di emigrati lucani che hanno deciso di stabilirsi a New York, è nato nel 1946, a guerra appena terminata e passa la sua infanzia tra le strade del Queens vedendo la Grande Mela crescere e diventare sempre di più un’ enorme metropoli. Jim è anche un ottimo studente e un buon giocatore di basket, i suoi genitori per potergli dare l’istruzione che loro non hanno mai avuto non rinunciano a fare sacrifici e lo iscrivono alla Seaford High School, dove eccelle sia dal punto di vista accademico che da quello sportivo e si diploma con il massimo dei voti. Appena uscito dal liceo scrive su un foglio di carta, che porterà con se per tutta la vita, quelle che sono le sue aspirazioni professionali: giocare a basket all’università, diventare assistente allenatore e poi capo allenatore di una squadra NCAA, vincere una partita al Madison Square Garden e tagliare la retina del titolo nazionale.

Jim Valvano (a destra) giocatore a Rutgers.
Jim Valvano (a destra) giocatore a Rutgers.

Il suo primo obiettivo si realizza praticamente subito; riceve infatti una borsa di studio dalla Rutgers University ed entra a far parte della squadra di basket dell’università, dove gioca nel ruolo di guardia per 4 anni e dove si laurea in lingua inglese nel 1967; incredibilmente, a soli 21 anni, coach Bill Foster lo vuole come suo vice ed allenatore della squadra dei freshman e quando di anni ne ha 23 ottiene la prima panchina da capo allenatore nel piccolo college di Johns Hopkins; i risultati sono però negativi e si trasferisce prima a Bucknell e poi, nel 1975, a ventotto anni, ad Iona, piccolà università che si trova ad una cinquantina di chilometri a nord di Manhattan; dopo tre stagioni discrete negli anni 1978-79 e 1979-80 riesce a portare i Gaels, per la prima volta nella loro storia, al torneo NCAA, venendo eliminato subito il primo anno ed al secondo turno l’anno successivo; ma ciò che tutti ricordano di quell’ultima stagione è la pazzesca vittoria ottenuta a Febbraio contro Lousville, squadra n.2 del ranking e che a fine stagione avrebbe poi vinto il titolo; per uno strano scherzo del destino quel giorno il palazzetto di Iona era indisponibile, prenotato da tempo per un altro evento e per far fronte all’alta richiesta di biglietti si decise di spostarsi a sud, a New York e giocare al Madison Square Garden, fu così che un altro dei sogni di Jim si realizzò.
I risultati sorprendenti ottenuti da questo giovane allenatore italo-americano di soli 34 anni non passano certo inosservati ed è così che arriva una chiamata importante, una di quelle che possono svoltare una carriera: North Carolina State University, un college prestigioso che però da quattro-cinque stagioni viaggia nella mediocrità; dopo aver vinto il titolo nazionale nel 1974 Norm Sloan decide di farsi da parte e lascia la panchina dell’università con sede a Raleigh a Jim. Nella prima stagione i risultati sono altalenanti, già l’anno successivo i Wolfpack riescono però a tornare al torneo NCAA; ma questi due anni non sono altro che il prologo ad una delle annate più incredibili nella storia dell’intero sport americano, la stagione di college basket 1982-83.

Jim Valvano sulla panchina dei Wolfpack.
Jim Valvano sulla panchina dei Wolfpack.

L’anno non inizia certo nel modo migliore per i Wolfpack, che in pre-season erano stati inseriti nel ranking ed erano stati pronosticati come una delle possibili sorprese, nel primo mese perdono due partite di venti contro avversari neanche inseriti nel ranking; quando arrivano le partite di conference la situazione diventa, se possibile, peggiore e a Febbraio ci sono ben sei sconfitte su otto partite, la stagione regolare termina con un tutt’altro che esaltante 17-10, (8-6 se si contano le gare di conference) e, visti i risultati, l’unico modo per potersi qualificare al torneo NCAA è quello di vincere il torneo della ACC, impresa che pare quasi impossibile, ma quello che succederà da questo momento in poi è qualcosa d’incredibile. Il torneo si disputa ad Atlanta e nei quarti di finali arriva una vittoria 71-70 su Wake Forest, dopo aver rincorso per tutta la partita, nel dopo gara Jim Valvano mette in chiaro una cosa: “Probabilmente non siamo la squadra più forte, probabilmente non siamo la squadra che gioca il basket migliore ma vi sfido a trovare una squadra che lotta come noi, noi non molliamo mai”. In semifinale bisogna affrontare gli eterni rivali di North Carolina, guidati da un certo Michael Jeffrey Jordan, e ancora una volta lottando e non arrendendosi mai i Wolfpack arrivano al supplementare, dove incredibilmente battono i Tar Heels 91-84. Nella finale, ancora sfavoriti, hanno la meglio su Virginia per 81-78; qualcosa di impensabile solo quattro giorni prima accade: North Carolina State vince il torneo della ACC e si qualifica al torneo NCAA, al grande ballo. I media americani, proprio per il modo rocambolesco con cui la squadra di coach Valvano ci è arrivata a questo ballo, definiscono i Wolfpack come “Cindarella, Cenerentola, termine che da quel momento diverrà d’uso comune nel definire le squadre rivelazione.

4-11-2008-7-07-53-PM-6709954North Carolina State è inserita nel West Region e riceve il seed numero 6, al primo turno bisogna affrontate la modesta Pepperdine; l’università di Malibu è però in vantaggio di sei a venti secondi dalla fine, il sogno dei Wolfpack sembra finito, ma così non è, quando di secondi ne mancano otto i punti sono diventati solo due, Whittenburg sbaglia volutamente l’ultimo libero ed il rimbalzo offensivo è preda di Cozell Mcqueen che sigla il tap-in che da alla squadra i supplementari, dove Valvano ed i suoi ragazzi vincono 69-67. Nel secondo turno i Wolfpack mantengono la loro fama e vincono di un solo punto, 71-70, contro UNLV, dopo essere stati sotto per tutta la partita. I media americani hanno coniato un titolo per definire le imprese di Valvano e della squadra: “Survive and advance, i ragazzi in biancorosso non mollano mai, restano aggrappati all’avversario per tutta la partita e nel finale riescono sempre a rimontare, facendo impazzire i tifosi dei Wolfpack che hanno ribattezzato i loro beniamini come “Cardiac-pack”, un chiaro riferimento al rischio che corrono le loro coronarie ogni volta che NC State scende in campo.
Incredibilmente nelle Sweet 16 arriva una vittoria agevole per 75-56 su Utah e i Wolfpack si trovano così ad una sola partita dalle Final Four, per arrivare ad Albuquerque bisogna però superare Virginia, già battuta in finale di conference e i ragazzi guidati da coach Valvano concedono il bis, ovviamente secondo il loro stile, partita tiratissima e vittoria in volata 63-62, con il tiro della potenziale vittoria di Virginia che s’infrange sul ferro.

La schiacciata di Lorenzo Charles sulla sirena.
La schiacciata di Lorenzo Charles sulla sirena.

Siamo ad Albuquerque, nel New Mexico, siamo alle Final Four del torneo NCAA, da una parte c’è la finale anticipata Lousville-Houston, i “Doctors of dunk” contro la “Phi slama jama” e ad avere la meglio saranno i secondi, guidati da due giocatori straordinari come Hakeem Olajuwon e Clyde Drexler, che con un gioco spettacolare ad altezze allora (e forse anche adesso) proibite per il mondo del college vincono 91-84; nell’altra semifinale si sfidano le due sorprese della stagione, i Wolfpack devono infatti vedersela con Georgia e la vittoria andrà ai ragazzi di Valvano che nonostante un Whittenburg con 38.8 di febbre (ma alla fine metterà a segno 20 punti) vincono 67-60 senza troppa fatica. NC State sembra la vittima sacrificale di fronte ad una squadra che arriva da 26 vittorie consecutive e che è la favorita d’obbligo; il giorno prima della gara alla domanda su cosa avrebbe fatto per fermare Drexler e Olajuwon coach Valvano risponde ironico: “Non ne ho la minima idea”, ma in realtà ha in testa un piano-partita ben definito: il 4 Aprile 1983 in un’arena stracolma inizia la finale NCAA e subito i Wolfpack effettuano un pressing asfissiante, Valvano chiede minuti importanti a tutti i giocatori a referto, mentre in attacco la squadra gioca a ritmi blandi, rallentando il gioco, con azioni lunghe e ben costruite; per la prima volta Houston si trova davvero in difficoltà, non abituata a ritmi lenti ed alla difesa a tutto campo; incredibilmente Valvano ed i suoi riescono ad imbrigliare i Cougars ed in particolare Drexler, che terminerà con soli 4 punti; i Wolfpack si trovano così con il pallone in mano sul 52-52 quando mancano una ventina di secondi, riescono però solo a costruire una tripla da oltre 9 metri per Derek Whittenburg a 3 secondi dal termine; immediatamente s’intuisce che il tiro è troppo corto e tutti pensano già ai supplementari, tutti tranne Lorenzo Charles che salta e trovandosi sulla traiettoria del pallone lo abbranca al volo per poi schiacciarlo a due mani nel canestro proprio a fil di sirena. Immediatamente coach Valvano corre in campo, con gli occhi sbarrati, quasi non credesse a ciò che ha appena visto; il parquet del The Pit di Albuquerque è bagnato dalle lacrime: quelle di gioia dei giocatori di NC State, increduli per l’impresa che hanno compiuto e quelle di rabbia dei giocatori di Houston, anch’essi increduli per la pazzesca sconfitta che hanno sofferto e nel frattempo Jim si appende al ferro aiutato da Whittenburg e taglia la retina del canestro, proprio quel che sognava di fare da ragazzo.

Jim festeggia la vittoria del titolo assieme a Derek Whittenburg.
Jim festeggia la vittoria del titolo assieme a Derek Whittenburg.

A soli 37 anni Jim ha raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissato appena uscito dal liceo e per ringraziarlo della straordinaria vittoria il board dell’università gli offre un contratto a vita, le stagioni successive saranno buone ma è impossibile ripetere il miracolo compiuto nel 1983; si arriverà due volte ad un passo dalle Final Four, ma per tutti Jim rimarrà l’uomo che ha guidato “la squadra del destino”, che ha spinto i ragazzi di NC State ben oltre i propri limiti; Valvano capisce perfettamente che quel giorno di Aprile dell’83 ha raggiunto di qualcosa di irripetibile e così decide a soli 43 anni, nel 1990, complice una storia legata ad alcuni giri di scommesse mai realmente chiariti, di terminare la sua carriera da allenatore. Un uomo così non può però andarsene dal basket ed infatti mette a disposizione la sua grande ironia e la sua capacità oratoria per ESPN, dove inizia la carriera di commentatore televisivo. Ma sarà proprio ESPN che nel Giugno del 92 annuncerà che a Valvano è stato diagnosticato un tumore in stadio terminale; negli ultimi mesi di vita la testimonianza portata avanti di Jim è straordinaria, instancabile, nonostante la malattia, viaggia per tutta l’America per sensibilizzare alla ricerca sul cancro, fonda anche, con l’aiuto di ESPN, la “Jimmy V Foundation for cancer research”, associazione impegnata nella lotta e nella ricerca contro il cancro.

Alla consegna dell'Arthur Ashe Courage and Humanitarian Award.
Alla consegna dell’Arthur Ashe Courage and Humanitarian Award.

Proprio come avevano fatto i suoi Wolfpack in quella magica stagione fino alla fine lotta e non s’arrende e proprio per la sua testimonianza viene insegnito nel Marzo del ’93 dell’Arthur Ashe Courage and Humanitarian Award, durante la consegna del premio tiene un appassionato e commovente discorso in cui trova anche lo spazio per mandare a quel paese (ovviamente in italiano) il “gobbo” che lo invitava a terminare visto che il tempo a sua disposizione stava per scadere e in cui pronunciò una frase che rimase nelle menti e nei cuori di molti: “Per me ci sono tre cose che noi tutti dovremmo fare ogni giorno. Dovremmo farle ogni giorno della nostra vita! La prima cosa è ridere; si dovrebbe ridere ogni giorno. La seconda è pensare; si dovrebbe trascorrere del tempo a pensare. E la terza è emozionarsi e commuoversi fino alle lacrime; per la felicità o per la gioia. Ma pensateci: se si ride, si pensa e si piange potete dire di aver vissuto un giorno completo. Accidenti che bel giorno! E se hai trascorso sette giorni così a settimana, hai ottenuto qualcosa di speciale.” Terminato il discorso, dopo dieci minuti di applausi, invitò tutti a fare una cosa: “don’t give up, don’t ever give up”, confermando anche nei suoi ultimi giorni l’idea che aveva portato avanti per una carriera intera; James Thomas Anthony Valvano morirà il 28 Aprile 1993, lasciando a tutti lo straordinario esempio di un uomo che ha combattuto fino all’ultimo.
Se in questa storia abbiamo dedicato così ampio spazio all’impresa dei Wolfpack del 1983 è perché quella squadra rappresenta alla perfezione, su un campo da basket, ciò che Valvano è stato in vita, un uomo che ha sempre lottato anche quando tutto semprava perduto, un uomo che non ha mollato mai.

Redazione BasketUniverso

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