Joey Crawford: “Stern mi fece vedere uno psichiatra dopo la famosa espulsione di Tim Duncan”

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Joey Crawford non è più un arbitro NBA dal 2016, anno del ritiro al termine di una gloriosa carriera, anche se molto controversa. Una delle sue chiamate più famose è sicuramente il fallo tecnico fischiato ad un Tim Duncan seduto in panchina durante una gara tra Spurs e Mavericks del 15 aprile 2007. La leggenda di San Antonio stava ridendo con i compagni fuori dal rettangolo di gioco e l’arbitro si sentì preso in giro e insultato esplicitamente, tanto dall’espellerlo con un doppio tecnico.

In un’intervista a ESPN, Crawford ha rivelato ulteriori dettagli e conseguenze sull’accaduto. L’episodio, come è risaputo, gli costò una lunga sospensione da parte della NBA (le Finals del 2007 sono le uniche delle ultime 30 della sua carriera che non ha arbitrato proprio per via di questo provvedimento) e una multa di 100mila dollari, ma non solo. Il commissioner David Stern gli ordinò anche due sedute da uno psichiatra per valutare eventuali disturbi mentali:

L’incidente con Duncan fu nel 2007. Lui era seduto in panchina e stava ridendo, così lo espulsi. Quella risata mi aveva fatto innervosire. Credevo fosse una mancanza di rispetto incredibile, ma sapevo fin dal minuto successivo all’accaduto che quell’espulsione mi avrebbe causato problemi. La sospensione fu un provvedimento importante. Mi sorprese davvero. Lì è quando realizzai: “Devo fare qualcosa a riguardo”. Dovevo parlare con un professionista per farmi aiutare a gestire la rabbia.

Stern mi sospese per il resto della stagione. Pensavo ci fossero buone possibilità che la mia carriera fosse al capolinea. Il commissioner mi ordinò di far visita ad uno psichiatra in Park Avenue. Mi disse di andare due volte, per due ore a sessione. Quest’uomo avrebbe determinato se fossi pazzo o no. Così mi presentai, ero spaventato alla morte. Ero già stato multato di 100mila dollari. Indossavo un completo ed ero sudato fino alla cintura. Questo psichiatra non sapeva distinguere il basket dalla pallavolo, dopo un paio d’ore mi disse: “Ok, abbiamo finito”. Io gli risposi: “Ehi, devo venire un’altra volta per due ore. Hai già deciso che sono passo?”. Ma lui mi disse che non lo ero. “E quindi cosa sono? Qual è il mio problema?”. Mi rispose: “Sei eccessivamente appassionato al tuo lavoro”. Pensai che potevo convivere con quella diagnosi. Alla fine mi sono messo a frequentare il dottor Joel Fish a Philadelphia. Nel mondo dello sport di Philly tutti gli fanno visita appena hanno dei problemi. Quell’uomo mi salvò la carriera, iniziai a vederlo un paio di volte alla settimana.

Francesco Manzi

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