La Los Angeles di fine anni ’40 è una città in rapida espansione, con una grande crescita demografica ed al centro delle attenzioni per lo sviluppo dell’industria cinematografica. Los Angeles è però una città dove, fino a quel momento, di sport se ne vede ben poco; l’unica squadra con un reale seguito di tifosi era il team di college football di UCLA(University of California at Los Angeles), che però giocava le partite casalinghe fuori città, al Rose Bowl di Pasadena (uno stadio in cui molti anni dopo si giocò una finale dei mondiali di calcio, che noi italiani preferiremmo non ricordare).

Per vedere un po di sport in città bisognava andare a vedere la squadra di basket dell’università, che giocava sì a Los Angeles, ma al Men’s Gym, palestra di circa 2000 posti, e non aveva mai vinto nulla. In una situazione di questo tipo il board di UCLA decide di ingaggiare per la stagione 1948-49 un nuovo allenatore: John Robert Wooden, giovane coach di 38 anni, con un passato da giocatore ad inizio anni’30 a Purdue, dove venne anche nominato all-american; proveniente da due anni come capo-allenatore ad Indiana State (il college dove poi giocherà Larry Bird), Wooden è nato e cresciuto nelle campagne dell’Indiana, uno stato dove si respira basket fin dalla nascita; al giovane allenatore è lasciata carta bianca e le prime due stagioni sono subito vincenti, i Bruins vincono per due anni di fila la Pacific Coast Conference e arrivano al torneo NCAA, qualcosa d’impensabile solo un paio d’anni prima. John nonostante questo non si trova bene, la vita di Los Angeles è troppo caotica per uno come lui, cresciuto in una fattoria nell’Indiana, anche sua moglie spinge per andarsene e Wooden sembra destinato a diventare coach della sua alma mater, Purdue; il contratto con i Bruins è pero triennale e c’è un’altra stagione da portare a termine, John deve restare a Los Angeles, da dove non se andrà più.

Le università della costa ovest sono però, almeno a livello di basket, ancora lontane dai prestigiosi college del Midwest e durante gli anni ’50 i Bruins otterranno sempre ottimi risultati, ma non riusciranno mai a raggiungere le Final Four; ciò che stupisce è però il metodo di allenamento di Wooden, che è fortamente innovativo, i giocatori vedono poco il pallone: corrono, scivolano, fanno esercizi muscolari, “per essere degli ottimi giocatori di basket bisogna essere degli ottimi atleti” dice coach Wooden ed infatti i suoi giocatori eccellono in moltissimi sport (Rafer Johnson, titolare nella stagione 1958-59 vincerà la medaglia d’oro nel decathlon alle Olimpiadi di Roma ‘60); e mentre il coach, rivoluzionando completamente il programma cestistico di UCLA, costruisce le basi per i successi futuri, la città di Los Angeles diventa sempre più il punto di riferimento per la costa ovest degli States e così vengono “trasferite” in città i Dodgers di baseball da Brooklyn ed arrivano pure i Lakers da Minneapolis; ormai la città è sempre più affamata di basket ed alla squadra di John Wooden il Men’s Gym sta stretto e ci si trasferisce alla neonata L.A. Sports Arena, il luogo dove nasce il ciclo vincente dei Bruins; dopo un’apparizione alle Final Four nel 1962 arriva la stagione 1963-64 in cui UCLA scrive la storia: 30-0, imbattuti, con una vittoria meravigliosa nella finale di Kansas City contro Duke, successo ripetuto l’anno successivo. A questo punto John Wooden, che non gradiva la condivisione del palazzetto con gli eterni rivali di USC, può permettersi di richiedere direttamente all’università di giocare in una propria arena ed il luogo prescelto per la costruzione è Westwood, sobborgo a nord-ovest di Los Angeles, dove ha anche sede il campus dell’università; il risultato è il Pauley Pavilion, una delle arene più belle d’America, che darà, per il luogo in cui si trova, il soprannome a coach Wooden: “The wizard of Westwood”, il mago di Westwood. Per l’inaugurazione si sceglie una partita amichevole tra la squadra “titolare” e la squadra dei freshmen (che all’epoca non potevano giocare nelle partite ufficiali), incredibilmente le matricole vincono di 15, trascinati da un ragazzone di nome Lew Alcindor, che tira in un modo che nessuno aveva mai visto prima. Per quest’anno i Bruins non vincono ma nella stagione 66-67 il ragazzo che cambierà poi nome in Kareem Abdul-Jabbar li trascina ad un’altra stagione da imbattuti. I titoli NCAA di questi anni non hanno storia, UCLA vince 7 campionati di fila tra il 1967 ed il 1973 e nelle ultime due stagioni la squadra termina imbattuta guidata in campo da un certo Bill Walton, che nella sua ultima partita con i Bruins, la finale del ’73 contro Memphis State, realizza 44 punti con 21 su 22 dal campo, a detta di molti la miglior prestazione individuale nella storia del torneo NCAA. La squadra si prende un “anno di pausa” nel ’74 (interrompendo una striscia di 88 vittorie consecutive, durata dal 21 Gennaio ’71 al 19 Gennaio ’74) per poi conquistare l’ultimo titolo nel 1975. Coach Wooden deciderà inaspettatamente di ritirarsi in questo momento, dopo 27 stagioni sulla panchina di UCLA, dopo 10 titoli nazionali negli ultimi 12 anni, con un record di 664-162 e dopo essere stato eletto nella Hall of Fame sia come giocatore (nel 1961) che come allenatore (nel 1973), semplicemente, come lo definirà Sports Illustrated “The greatest coach of all time”.

Numeri come questi fanno impressione ma non rendono ancora l’idea di chi fosse davvero John Robert Wooden, che prima che un allenatore straordinario era un uomo fuori dal comune; tutti i suoi giocatori, da Jabbar fino a Walton ricordano i suoi insegnamenti: un uomo che non urlava mai, a cui non avevano mai sentito un’imprecazione e che dai suoi giocatori esigeva lo stesso comportamento, sicuramente era severo, molto rigido, ma che, come lui amava ripetere, prima di essere un allenatore era un insegnante. Proprio per questo s’informava costantemente su cosa facessero i suoi ex-giocatori una volta terminati gli studi, su quale fosse il loro lavoro, se avessero figli e famiglia; un uomo che ha sicuramente allenato campioni come Jabbar e Walton ma anche moltissimi futuri medici, avvocati, ingegneri; quando infatti gli chiedevano chi fossero i due migliori giocatori da lui allenati rispondeva con i nomi di Conrad Burke e Doug Mcintosh, due che non hanno giocato neanche un minuto da professionisti, che oggi sono stati dimenticati da tutti, tranne da coach Wooden che li citava come esempi perfetti di lavoro e dedizione.

Proprio il lavoro e la dedizione erano, per lui, la chiave per costruire il successo, tant’è che su un tema come questo ha scritto anche un libro:”La piramide del successo”, che è molto più che un semplice libro sul basket, ma è un’opera oggi utilizzata nelle scuole e nelle università americane da insegnanti, educatori, pedagogisti per trattare di tematiche come quelle della lealtà, dell’amicizia, della fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità. John Wooden era davvero un uomo d’altri tempi, un educatore, quasi un filosofo che, prima delle partite o degli allenamenti leggeva ai suoi giocatori passi della Bibbia, gli scritti di Platone o di Pascal, citava autori come Miguel de Cervantes; amava ripetere che il viaggio è meglio della meta, era convinto del fatto che una squadra fosse davvero vincente se ognuno era pronto a dare tutto per i propri compagni, se anche la stella affermata era in grado di aiutare, con un assist o con una semplice pacca sulla spalla, il compagno più in difficoltà: “Il grande allenatore è colui che insegna ad ogni suo giocatore ad accettare il ruolo che lui ritiene il più importante per il bene della squadra”, proprio per insegnamenti come questo il suo lascito va ben oltre un campo da basket.

Uno degli aneddoti spesso citati riguarda il suo rapporto con Bill Walton, che il primo giorno di allenamento si presentò sul parquet con dei capelli folti e una barba lunghissima, nel modo più semplice e pacato del mondo Wooden chiarì a Bill che se non si fosse rasato non avrebbe giocato per lui; Walton ha affermato che appena lo sentì parlare capì che giocare per lui e per UCLA valeva molto di più della sua, seppur bellissima, barba, tanto che corse dal primo barbiere che trovò per le strade di Westwood, per poi tornare ad allenamento ormai finito e continuare a tirare da solo per oltre un’ora. Questo era John Wooden, un uomo semplice e leale, che4 proprio per questo era dotato di un grandissimo carisma e che con un semplice sguardo, con pochi gesti e parole, sapeva motivare e convincere i suoi giocatori, tant’è che dopo quel giorno lui e Walton diventeranno pressoché inseparabili; il loro rapporto durerà per oltre quarant’anni e proprio Bill resterà al fianco del suo vecchio allenatore anche negli ultimi giorni di vita. Il mago di Westwood è infatti morto il 4 Giugno 2010, per cause naturali, a 99 anni; nei giorni successivi la sua morte messaggi di cordoglio gli sono stati recapitati da moltissimi personaggi della società americana, perché, come hanno scritto alcuni giornalisti, “con lui se ne va un pezzo d’America che ormai non c’è più”.
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