Il Sudan del Sud è la favola più bella delle qualificazioni ai Mondiali di basket del 2023.
La nazionale africana ha dominato le finestre che portano alla FIBA World Cup e si è guadagnata meritatamente un posto fra le migliori 32 squadre del Mondo. Un piccolo miracolo, se si pensa che il Sudan del Sud esiste solamente dal 2011, che la Federazione è nata nel 2013 e che si tratta di uno dei Paesi più poveri del mondo, se non il più povero in assoluto..
Di sicuro è la nazione con il più basso tasso di sviluppo umano, visto che il 94% della popolazione vive in villaggi. Parliamo di una terra che per decenni è stata teatro di una sanguinosa guerra civile, dove fino a un paio di anni fa si fronteggiavano gruppi etnici contrapposti, capeggiati rispettivamente dal presidente Salva Kiir Mayardit e dal suo vice Riek Machar. Uno dei Paesi più corrotti al Mondo, con disuguaglianze sociali incredibili, dove gli scontri per motivazioni etniche si sommano alla volontà di accaparrarsi i proventi del petrolio.
Il ruolo di Luol Deng
Nel 2019 però scende in campo il principale artefice di questo miracolo, Luol Deng. Una carriera in NBA, principalmente con i Chicago Bulls, negli ultimi anni si è parlato di lui specialmente per la montagna di dollari che i Los Angeles Lakers hanno continuato a versargli anche dopo che di fatto si era ritirato. Deng era fuggito dal Sudan da giovanissimo, dopo che il padre era stato imprigionato in seguito a un colpo di stato. E’ stato parte dei 4 milioni di profughi che le guerre civili hanno causato, oltre a circa 400mila morti. Deng ha sempre giocato per la Gran Bretagna ma ha deciso di riportare a casa i tanti sud-sudanesi come lui che sono stati costretti a scappare. Nel 2019 ha preso il controllo della federazione e ha iniziato una intensa opera di reclutamento, richiamando i tanti giocatori di origine sudanese che erano sparsi per il Mondo.
Parliamo di un territorio con mezzi umani spaventosi, uno dei Paesi con l’altezza media più elevata al mondo. Un posto dove il basket è decisamente popolare grazie alle gesta di Manute Bol, probabilmente il sud-sudanese più famoso di sempre. Mancano però le infrastrutture, in un Paese essenzialmente rurale. Non c’è un palasport e i campi al coperto sono pochissimi. Le qualificazione ai Mondiali, però, in Africa si giocano in concentramenti che vengono ospitati di volta in volta in città diverse. Nel 2021 il Sudan del Sud ha ottenuto il suo primo risultato di livello, i quarti di finale di Afrobasket. Poi l’arrivo in panchina di Royal Ivey, assistant coach dei Brooklyn Nets e la cavalcata trionfale con 11 vittorie su 12 gare nelle qualificazioni al Mondiale. Un traguardo che porta indelebile la firma di Deng, anche perché ha guidato lui personalmente la squadre nelle ultime due gare, visto che il coach “titolare” non è stato liberato dalla NBA per questa finestra. Ma il suo ruolo va al di là del campo, come dimostra quanto avvenuto lo scorso Agosto, quando si è auto-tassato per riportare a casa tutti gli atleti dopo un’altra finestra. Ad accoglierli a Giuba, la capitale del Sud Sudan, c’erano circa 7mila persone e per tanti ragazzi si è trattato del primo ritorno in patria dopo circa dieci anni.
L’emigrazione, l’Australia e la NBA
La storia della nazionale di basket del Sudan del Sud è la storia di un ritorno a casa, dell’approdo in una patria che per tanti anni non è esistita. Una storia di persone strappate alle proprie radici ma che le rivendicano con orgoglio, pur essendo cresciuti e formatisi altrove. Ma è anche la storia di un popolo poverissimo che nella pallacanestro vede un’occasione di riscatto e di notorietà agli occhi di un mondo che spesso si è girato dall’altra parte di fronte a grandi atrocità.
I giocatori del Sud Sudan sono tutti emigrati, ne abbiamo avuto testimonianza anche in Italia con lo sfortunato Mangok Mathiang, autore di una stagione da autentico dominatore con la Vanoli Cremona che vinse la Coppa Italia nel 2019, prima di essere fermato dagli infortunati. Oppure con un altro centrone, il 2001 Dut Mabor, recentemente passato dalla Stella Azzurra agli estoni del Parnu.
Mathiang è cresciuto in Australia e proprio nella nazione oceanica c’è la più folta rappresentanza di sud-sudanesi. Lì tanti si sono rifugiati in fuga dalla guerra civile, lì questi ragazzoni hanno trovato asilo e qualcuno che gli insegnasse a giocare a basket. Sono circa una ventina nel campionato australiano, alcuni hanno scelto altre nazionalità ma ora che hanno una “propria” nazionale per cui giocare potrebbero ripensarci. Dal mondo NBA, invece, arriva Numi Omot, l’eroe degli ultimi match, nato in un campo profughi del Kenya e poi giunto negli Stati Uniti, dove gioca tuttora con i Westchester Knicks in G-League. Ma in Asia a fine estate potremmo vedere anche altri NBA come JT Thor degli Charlotte Hornets, Wenyen Gabriel dei Los Angeles Lakers e soprattutto Bol Bol, il figlio di Manute che agli Orlando Magic sta giocando la miglior stagione della carriera dopo anni da simil meteora.
Insomma, non è assolutamente detto che la nazionale del Sud Sudan si presenti da Cenerentola ai prossimi Mondiali. Deng potrebbe essere in grado di allestire un roster che avrebbe fisicamente pochi eguali nel globo, con alcuni giocatori NBA, altri con una ormai solida esperienza europea e un nucleo formato da atleti che vivono da anni un contesto competitivo come quello del campionato australiano. Insomma, la favola potrebbe non essere finita qui.
Foto: FIBA
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