Lamar Odom: “A Dallas, Mark Cuban mi calciò e mi insultò durante una partita. Per fortuna Vince Carter…”

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Lamar Odom sta ancora cercando di rimettersi in carreggiata dopo aver rischiato la vita nel 2015 per overdose a Las Vegas. L’ex giocatore dei Lakers ci ha provato quest’estate con la Big3, ma l’esperienza è durata solo pochi giorni prima che la Lega di 3vs3 lo estromettesse perché non incontrava le richieste di prestanza fisica sufficienti a sostenere questo impegno.

Odom è così tornato in cerca di fortuna, nonostante continui a dichiarare di voler proseguire la sua carriera cestistica, a 39 anni, 40 il prossimo novembre. Nel suo nuovo libro autobiografico “Darkness to Light”, il nativo di New York ha raccontato un aneddoto riguardante il proprio rapporto con Mark Cuban, celebre proprietario dei Dallas Mavericks, squadra in cui Odom militò nella stagione 2011-12, ormai sulla via del declino, con appena 6.6 punti di media. In quell’occasione Cuban avrebbe addirittura tirato un calcio al giocatore durante la partita, dopo che quest’ultimo era appena stato sostituito e stava cercando un posto libero in panchina.

Cuban iniziò velocemente a provare risentimento nei miei confronti. Sembrava che il suo obiettivo fosse rendere il mio periodo a Dallas il peggiore possibile. Continuava a provocarmi, mi sminuiva e metteva in dubbio la mia virilità di fronte agli altri. Durante le partite casalinghe, si sedeva al suo solito posto a bordocampo e mi urlava oscenità.

In occasione di una di queste partite, stavo giocando probabilmente la mia peggior partita della stagione. Coach Rick Carlisle decise di sostituirmi, cercai un posto in panchina vicino ai coach ma erano tutti occupati. Quindi andai verso il fondo della panchina, proprio vicino a Cuban. Lui allungò il piede destro e mi tirò un calcio negli stinchi: “Dai, figlio di p*****a!”. Ero senza parole. Non era un colpetto. L’avevo sentito bene. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Era dolorosamente chiaro che non mi rispettasse come uomo. Sentivo l’adrenalina nelle vene. In un istante fui trasportato indietro a Linden Boulevard [la zona dove Odom è cresciuto, ndr], dove anche il più piccolo segno di mancanza di rispetto potrebbe essere fatale. Mentre stavo per reagire, Vince Carter, seduto vicino a me, mi prese stretto per il braccio e si avvicinò. “Stai calmo, non farlo. Non ne vale la pena”. Cosa sarebbe successo se Vince, con il quale avevo il rapporto più stretto in squadra, non fosse stato seduto vicino a me? O se fosse stato attento alla partita e non avesse visto la scena? Posso dire senza dubbio che Vince in quell’occasione mi salvò da una reazione violenta che avrebbe messo fine alla mia carriera.

Francesco Manzi

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