L’Olimpia Milano non si è meritata i playoff di EuroLega

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Per il quinto anno consecutivo, l’Olimpia Milano non accede ai Quarti di Finale di EuroLega, ma mai come in questa stagione i biancorossi potevano – e dovevano – raggiungere questo obiettivo (minimo).

Nessuno si aspettava una regular season dominante stile Fenerbahce o CSKA, ma a settembre, a roster completato, era innegabile vedere Milano nei piani medio-alti della classifica: Mike James, Jeff Brooks e Nemanja Nedovic sono stati 3 acquisti di altissimo livello, che insieme alle conferme dell’anno precedente e gli inserimenti di italiani di ‘rincalzo’ come Burns e Della Valle facevano di Milano, sempre sulla carta, una delle più importanti outsider di questa stagione. Ma si sa, ciò che dice ‘la carta’ e ciò che poi dice effettivamente il campo spesso e volentieri non combaciano, e il risultato dell’Olimpia dopo la sconfitta con l’Efes, che l’ha estromessa definitivamente dalla post season, è davanti agli occhi di tutti.

Torniamo però ad ottobre, a quando questa EL cominciò. L’inizio di stagione fu clamoroso: 6 vittorie nelle prime 8 gare (tra cui il +25 al Pireo) e due sconfitte di misura contro Real e CSKA, cioè due formazioni che già sanno di essere alle Final Four ancor prima di giocare.
Questa prima fase rappresenta il primo blocco di cinque importanti sezioni in cui la stagione europea biancorossa può essere divisa. Perché dopo questa partenza scoppiettante sono arrivate 5 sconfitte consecutive, un inverno che definire gelido per Milano è quasi riduttivo. Ovviamente questi KO hanno un peso specifico diverso perché, se alcuni possono starci (Fenerbahce e Barcelona fuori casa), complice anche un calendario folle, altri sono stati dei veri e propri macigni che hanno pesato tantissimo sull’economia di tutta l’annata; naturalmente ci riferiamo alle gare con Gran Canaria e Bayern Monaco, formazioni di livello discreto ma indubbiamente inferiori a questa A|X. Ed entrambe le sconfitte sono arrivate al Forum, sinonimo che allora forse a questa squadra, soprattutto a livello mentale, qualcosa stava iniziando a mancare, perché un team che ha velleità d’alta classifica non può lasciare per strada match così preziosi, soprattutto concedendo in casa propria 90 punti e oltre a formazioni che normalmente si sono fermate a molto meno. E così Milano dal terzo posto si ritrova immischiata a metà classifica, finendo il girone d’andata con 7 vittorie e 8 sconfitte, ovvero ottava posizione.

A cavallo tra la fine del 2018 e l’inizio di 2019 sono arrivate un paio di buone vittorie con Buducnost e Panathinaikos, e sconfitte punto a punto ancora con Bayern, Barcellona e Baskonia, mostrando una Armani Exchange più combattiva rispetto a dicembre, a cui però manca sicuramente il killer instinct, in particolar modo in fase difensiva, dato che i punteggi delle gare dei biancorossi sono sempre elevatissimi.
L’attacco sicuramente produce molto, Mike James disputa una stagione a livello offensivo incredibile, con colpi di genio e di classe assoluta, Micov è una garanzia, Gudaitis e Tarczewski sono una coppia di pivot affidabilissima. Però, con un roster di 14 giocatori, Milano spesso e volentieri gioca le partite in 8, arrivando al termine delle varie sfide con la lingua per terra. Giocatori come Cinciarini, Della Valle e Burns non vedono praticamente mai il campo e, nonostante il livello dell’EuroLega sia alto per le loro qualità, è assolutamente impensabile che non possano restare sul parquet per 5-10 minuti, il tempo necessario per far rifiatare i titolari. In più c’è il “mistero doloroso” Dairis Bertans: viene utilizzato col contagocce, a volte addirittura non viene nemmeno schierato con Nedovic in tribuna, quando nelle gare disputate è risultato essere il miglior tiratore da tre punti di tutta la competizione, con oltre il 50%. Misteri difficili da comprendere per noi da fuori, sicuramente più facile per chi vive quotidianamente la squadra, ma che comunque qualche domanda ce la fa fare. Oltre a Nedovic – tre infortuni allo stesso muscolo – si fa male anche Tarcwezski, una frattura alla mano che lo lascia fuori 50 giorni, obbligando Milano a ricorrere al primo intervento di mercato: buyout al Buducnost per Alen Omic. Beh, si può dir tutto meno che sia stato un acquisto azzeccato perché il ragazzo sloveno ha dimostrato di non poter tenere minimamente il confronto con i pari ruolo nei minuti avuti a disposizione; in un amen la coperta di Milano diventa incredibilmente corta. Rotazioni limitate, infortuni, cambi non all’altezza e – gira che ti rigira – risulta sempre difficile giocare in 7-8.

Così la società interviene seriamente sul mercato. Portare a casa James Nunnally a fine gennaio è un colpo pazzesco, soprattutto perché è coinciso con le 5 vittorie consecutive del mese di febbraio dell’Olimpia, che rappresentano il miglior momento della stagione. Ma nel mezzo della festa alle Canarie arriva la doccia fredda: il ginocchio di Gudaitis fa crac, stagione finita, e l’elemento forse più importante di tutto il roster (sì, anche più importante di James) saluta anzitempo la stagione. Ecco, questa è stata probabilmente la sola grande, grandissima sfortuna di Milano, cui però non bisogna unicamente appellarsi come causa del mancato raggiungimento della post season. Il reparto lunghi piange col solo Omic a disposizione, eppure arrivano solo vittorie per i ragazzi di Pianigiani: James produce un basket stellare, guida i suoi a ottimi successi, viene nominato MVP del mese di febbraio e, quando mancano 6 gare, nonostante mille difficoltà e mille intoppi, Milano è lì a giocarsi il sesto posto. Ma le ultime 6 gare prevedono un calendario terribile, ovvero le prime 4 della classe e le 2 greche. Bene c’è un dato importante da analizzare di questo ultimo mese: tolta la gara con l’Olympiacos, Milano ha subito 493 punti in 5 match contro CSKA, Fenerbahce, Panathinaikos, Efes e Real Madrid. Che gli avversari fossero di valore si sapeva, ma una squadra che vuol fare i playoff, che ha dimostrato di poter competere a questi livelli, non può concedere perennemente 100 punti a sera. E soprattutto non può giocare una partita come quella contro il Panathinaikos, decisiva in quel momento per passare quasi matematicamente il turno, senza riuscire mai ad opporre resistenza a Calathes e agli attacchi dei greci. Il secondo tempo di Desio è stato l’inizio del tracollo, il sinonimo di come la gestione di Pianigiani e la mentalità dei giocatori andava sgretolandosi ad ogni minima difficoltà. Al primo parziale negativo l’Olimpia si scioglieva, spariva dal campo, spariva la panchina, spariva tutto. Il Pana espugna Desio, in casa contro un Fener che ha fatto giocare le terze linee Milano ne prende 104, a Istanbul nel match decisivo, dopo 20 minuti perfetti e il +13, prende 20 punti di divario in un quarto e viene giustamente eliminata.

Questa Olimpia non merita di fare i playoff. Non merita perché non ha mai risposto presente nei momenti decisivi della stagione, le è mancato ogni volta qualcosa. Errori in campo, errori in panchina, errori ovunque.
Comunque ci sono state buone cose, ma rispetto allo scorso anno la squadra è salita di livello, questo roster non aveva davvero niente in meno dell’Efes, del Baskonia, dello Zalgiris, e tante altre. E invece siamo qui a commentare un altro anonimo dodicesimo posto, che sicuramente lascia amareggiati i tifosi, soprattutto per come l’annata era cominciata. La società non ha mai dichiarato apertamente che i playoff fossero un obiettivo, in quanto bisognava ‘crescere’ rispetto all’anno scorso. Certo, una crescita c’è stata, ma sono cambiati alcuni giocatori, sono stati presi dei top per la competizione, eppure il risultato in fin dei conti è stato lo stesso. Si prenda l’Efes come esempio: ultimo lo scorso anno, quarto quest’anno, facendo alcuni acquisti importanti, ma senza andare a scomodare nomi eccellenti (Larkin escluso).

Rimane molto amaro in bocca: dopo la Coppa Italia, anche i playoff europei sfumano. Resta solo uno Scudetto che Milano è obbligata a vincere per salvare in minima parte la stagione. Chiaro, se Milano fosse arrivata ai playoff, avrebbe incontrato ovviamente una delle tre grandi, con un quasi certo 3-0 a sfavore, ma si sa che sono gare a parte quelle, dove può veramente succedere di tutto, e aver la possibilità di giocarle sarebbe stato fondamentale per i biancorossi. Invece finisce di nuovo mestamente così questa stagione europea meneghina.
E poi che sarà? Ennesima rivoluzione? La squadra c’è. Vanno fatti alcuni accorgimenti in alcuni reparti, ma da qui bisogna ripartire. Va fatto sicuramente un lavoro importante sulla mente di alcuni cestisti, sulla gestione dei possessi decisivi, un lavoro sulla difesa individuale e di squadra, però c’è finalmente una base solida di giocatori.
Il futuro di Pianigiani dipenderà molto da cosa accadrà tra maggio e giugno in Italia perché, se anche lo Scudetto dovesse sfuggire, il fallimento sarebbe totale. E la sua posizione vacillerebbe e non poco.

Luca Consolati

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