Luke Ridnour e quello strano posto che (vorrebbe) chiama(re) casa

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Not one, not two, not three, not four…

No, non è il discorso di presentazione di Lebron James ai Miami Heat nel 2010, quando progettava di vincere innumerevoli anelli (e proseguiva anche dopo il cinque). Parliamo di un ragazzo meno celebre, meno sponsorizzato dai media, con una carriera meno vincente, meno “abbronzato” e meno talentuoso.

Luke Ridnour si appresta ad iniziare la tredicesima stagione in NBA all’età di 34 anni, con alle spalle anche alcuni anni di qualità soprattutto ai Minnesota Timberwolves, dove ha ricoperto per qualche anno il ruolo di point guard titolare AR (Avanti Rubio). Il talento spagnolo ne ha poi segnato l’inizio della fine, con meno minuti e più scambi, causando prima la sua partenza in direzione Milwaukee e da lì a Charlotte e infine Orlando. Fino al 25 Giugno 2015, meno di una settimana fa, erano cinque le squadre di cui era stato parte Ridnour: Seattle, Milwaukee (due volte), Minnesota, Charlotte e Orlando.

Cattura“Pensione” all’orizzonte, un’onorevole carriera da role player con 9.3 punti di media, un titolo di Giocatore dell’Anno in Pac-10 nel 2003 e la 14esima scelta assoluta al Draft dei fenomeni lo stesso anno. Si può chiedere di più? Sì, certo, si può chiedere di essere Lebron James, ma se non arrivi al metro e novanta, sei bianchiccio e non particolarmente atletico… Cavolo! Meglio di così difficilmente può andare.

Nell’ultima stagione ai Magic raramente ci si è accorti della presenza del nativo dell’Idaho, 4.0 punti di media e oscurato dai giovani talenti che ad Orlando stanno cercando di far emergere. Ma veniamo appunto al 25 Giugno, quando la carriera del buon Luke ha preso una piega che non vorreste mai prendesse la vostra. Viene scambiato ai Memphis Grizzlies in cambio dei diritti su Janis Timma, lettone che probabilmente in NBA non sbarcherà mai. Nulla di strano fin qui, di scambi se ne vedono tantissimi nella Lega, capita che un giocatore venga scambiato per liberare spazio salariale come in questo caso.

Passa qualche ora. Il telefono suona di nuovo. “Sei stato scambiato a Charlotte”. Bene, ma non benissimo. La situazione inizia a farsi per così dire simpatica, diventa esilarante da lì a poco perché arriva, lo stesso giorno, l’annuncio di un’altra trade, la terza in 24 ore. Stavolta Ridnour vola a Oklahoma City e qui sembra stabilirsi, passano i giorni e nessuno chiama più. Magari sta anche pensando di trovarsi una casa e passare un anno al fianco di Westbrook e Durant, invece no: si va a Toronto, per soldi e una trade exception, il 30 Giugno. E’ la quinta squadra in cinque giorni, Luke diventa l’uomo dei record: mai nessuno aveva cambiato così tante squadre in così poco tempo. Quentin Richardson, in un paio di mesi dell’estate 2009, ebbe la stessa sorte: cinque squadre cambiate (Knicks, Grizzlies, Clippers, Timberwolves e Heat). Ma appunto: in un paio di mesi. Luke lo ha praticamente stracciato e solo il tempo ci dirà se si fermerà qui.

Nel frattempo non ci resta che immaginarci il povero ragazzo che ad ogni trade prende un aereo, arriva nella città che crede di poter chiamare “casa”, salvo poi essere costretto a partire di nuovo, senza nemmeno uscire dall’aeroporto.

There’s no place like home, dicevano ne “Il Mago di Oz”.

Sì, ma quale “home”? E, soprattutto, quale “place”?

Francesco Manzi

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