Memories of Busts: Chris Washburn – una vita divisa a metà

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Potremmo riassumere perfettamente lawashburnx-large storia di Chris Washburn con un detto popolare: “Chi ha il pane non ha i denti”. Christopher Scott Washburn si presentò infatti al Draft NBA 1986 con addosso l’etichetta di talento cristallino, un giocatore che, secondo gli esperti, sarebbe stato un vero e proprio “crack” nella storia del basket. Nell’unica stagione giocata al college per North Carolina State aveva infatti messo insieme medie di tutto rispetto (17,6 punti e 6.7 rimbalzi), mostrando tuttavia una scarsa etica del lavoro che alcuni scout avevano già segnalato al tempo dell’high school. Il 17 giugno 1986 è però il nome di Washburn a venire chiamato dai Golden State Warriors alla scelta #3, subito dopo Brad Daugherty (#1 Cleveland Cavaliers) e Len Bias (#2 Boston Celtics), ma prima di giocatori come Ron Harper, Arvydas Sabonis, Drazen Petrovic, Dennis Rodman, Mike Price, Kevin Duckworth e Jeff Hornacek.

Chris-Washburn

La scelta dei Warriors apparve, al tempo, la più ovvia, Washburn era infatti un talento grezzo, ma dalla enormi potenzialità, dotato di un fisico imponente (211 centimetri per 102 kg), di una velocità fuori dal comune e soprattutto di due mani di velluto sotto canestro. Golden State ingaggiò addirittura l’esperto centro Joe Barry Carroll per fare da “chioccia” al ragazzo e aiutarlo a crescere e migliorare in tutta tranquillità. La stagione 1986-87 iniziò infatti con i migliori auspici: 16 punti contro i New York Knicks in una partita persa dai Warriors, non male per un rookie alla prima esperienza. Quella prestazione rimase tuttavia l’unica degna di nota: Washburn, nella sua carriera, non riuscirà mai a fare di meglio. Poco dopo infatti, una fastidiosa tendinite costrinse il ragazzo a un lungo stop che portò però alla luce un problema ben più grave: quello della cocaina. Nel gennaio del 1987, Washburn si ritirò in una clinica di riabilitazione in California, ammettendo di avere un serio problema con la “dama bianca”. Al suo ritorno, a marzo, non scese più in campo fino alla fine della regular season.  La stagione successiva disputerà qualche partita con i Warriors per poi essere ceduto agli Atlanta Hawks, dove metterà insieme medie imbarazzanti (3.1 punti e 2.4 rimbalzi di media in appena 72 match giocati in due anni). La scarsa voglia di applicarsi ed emergere, unita all’assunzione di stupefacenti, fecero crollare l’immagine del ragazzo, tanto da fargli guadagnare un’espulsione a vita dalla NBA, nel 1989, dopo aver fallito tre test antidroga consecutivi.

Dopo appena due anni, l’unico “crack”che il ragazzo della Carolina aveva prodotto era stato quello della sua carriera sportiva. Passato un lungo periodo nell’anonimato, Washburn tentò di ricominciare dalle serie minori, nel 1991 venne ingaggiato da Tulsa Fast Breakers (CBA), per poi venire scaricato ai Miami Tropics (USBL) nel 1992 e ai Westchester Stallions (USBL) nel 1993, al suo ritorno a Miami nel 1994, Washburn scoprì di non avere più alcuna possibilità di rientrare nel mondo del basket.

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Trasferitosi a Houston visse per qualche tempo come un mendicante, passando da una “crack house” all’altra, quindi, nel 2012, presa la decisione di chiudere per sempre con la droga, fece ritorno in Carolina, a Hickory, sua città natale, dove aprì con la moglie una catena di ristoranti specializzati nel pollo fritto, fallita però nel 2013.

Nel 2014 Washburn è stato arrestato con l’accusa di aver tentato di ottenere una proprietà sotto falso pretesto, chiudendo un percorso che non avrebbe potuto terminare altrimenti. Nel 2005 è stato nominato da Sports Illustrated come il secondo più grande bust nella storia del Draft NBA dopo Bowie, ma a differenza del buon Sam, Washburn si rovinò da solo, trascinato nel baratro da un carattere difficile, più incline al vizio che al duro lavoro, protagonista di una vita divisa a metà tra i due suoi grandi amori: la droga e il basket.

L’NBA è un mondo a sé, dominato dalle emozioni, dal talento, dallo spettacolo, dalla passione; a volte però dal “calderone” del basket d’oltreoceano emergono anche queste storie, storie di ragazzi troppo fragili o troppo poco motivati per poter sopravvivere nella giungla della NBA, storie che purtroppo non sempre si concludono con un lieto fine capace di strapparci un sorriso.

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