Memories of Busts: LaRue Martin- Life is not just basketball

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Il conflitto in Vietnam, la rivolta studentesca, la Guerra Fredda, erano solamente alcuni dei problemi che gli USA si erano ritrovati a fronteggiare nella seconda metà degli anni ’60, all’apice della loro potenza militare politica ed economica. E’ in questo periodo turbolento che LaRue Martin vive la propria adolescenza, calcando i playgrounds di Chicago, Illinois e mettendo in mostra i primi sprazzi del suo folgorante talento cestistico. Martin è un ragazzo afro-americano di modesta estrazione sociale, figlio di un alcolista, destinato senza appello a un destino ingrato, se non fosse per quella sua innata capacità di infilare la palla nel cesto con eccezionale continuità; quello sarà infatti il suo biglietto per lasciarsi alle spalle i bassifondi della Windy City. Dopo l’esperienza alla De La Salle High School, dove si mise in mostra come assoluta star dei Meteors, Martin riceve molte chiamate da parte di numerosi college, desiderosi di accaparrarsi quel gigante di 211 cm, ma con le mani di velluto. A spuntarla sarà la Loyola of Chicago che nel 1968 convince Martin a iscriversi presso il proprio ateneo. La carriera NCAA di LaRue sarà folgorante, 18.2 punti e 15.9 rimbalzi a partita, All-American nel 1970 e miglior rimbalzista nella storia della Loyola con 1062 rimbalzi catturati in 4 anni. L’anno della svolta sarà però il 1972, quando a Chicago sbarcherà la temibile UCLA, la squadra più forte del torneo, guidata in campo dalla leggenda Bill Walton e imbattuta da 29 incontri. Loyola perderà quel match 94-62, ma Walton verrà letteralmente dominato da un gigante nero da capelli cotonati che rispondeva al nome di LaRue Martin che terminò la gara con 19p e 18r. Tuttavia, quella prestazione così folgorante, sarà anche una tremenda maledizione per Martin, che non riuscirà più a ripetersi a quei livelli sul parquet.

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Nell’estate del 1972 Martin verrà selezionato dai Portland Trail-Blazers come 1st pick del Draft NBA, davanti a futuri fuoriclasse come Bob McAdoo (#2 Buffalo Bravers), Paul Westphal (#10 Boston Celtics) e Julius Erving (#12 Milwaukee Bucks) che sarebbe approdato in NBA solo quattro anni più tardi con la fusione tra la Lega nazionale e l’ABA. Molti ritenennero la scelta dei Blazers rischiosa, soprattutto perchè principalmente basata su una vera e propria infatuazione per Martin dell’allora head-coach McCloskey stregato dal tocco vellutato di quel centro, capace di annichilire appena qualche mese prima Bill Walton. La franchigia dell’Oregon, squadra non certo irresistibile, si poggiava sulle spalle della PG Rich Adelman e di Geoff Petrie, ma ciò che mancava davvero per completare il roster era un lungo di talento e Martin rappresentava, secondo McCloskey, il meglio sulla piazza. La prima stagione si rivelò un disastro, LaRue mise a referto 4.4p e 4.6r in appena 12 minuti a partita, risultando avulso dagli schemi di squadra e incapace di ripetere le prestazioni degli anni passati. Portland iniziò fortemente a dubitare di aver fatto la scelta giusta, soprattutto perchè McAdoo aveva giocato una RS da incorniciare tra le file dei Bravers. Nella stagione successiva, McCloskey si vide costretto a ridurre ulteriormente il minutaggio del suo ormai ex-pupillo, facendolo partire dalla panchina e provando in questo modo a scuoterlo da quel torpore nel quale era precipitato: niente da fare, LaRue rispose con 4.9p e 3.6r, costringendo la dirigenza a puntare su un altro Big Man. La sorte fu nuovamente benigna con i Blazers, consendo loro di aggiudicarsi la prima scelta al Draft NBA del 1974, con la quale, senza esitazione, selezionarono Bill Walton da UCLA, il vecchio rivale di LaRue. Il nuovo allenatore Lenny Wilkens relegò Martin ai margini della rotazione, ma fu costretto a ripescarlo quando Walton cadde vittima del primo dei suoi numerosi infortuni, consentendo al prodotto di Loyola di giocare 16.9 minuti a gara mettendo a referto 7p e 5r di media. Nella stagione 1975/1976, LaRue fu nuovamente chiamato in causa per rimpiazzare Walton (che giocherà solo 51 partite), ma le sue statistiche non miglioreranno (4.4p e 4.9r), spingendo i Blazers a provare a inserirlo in una trade con i Seattle Supersonics. LaRue però, a sorpresa, dopo appena quattro anni tra i professionisti, decise di ritirarsi. A 26 anni, Martin abbandonò la NBA (5.3p e 4.6r a partita le sue medie in carriera), per tornare nella sua Chicago e iniziare a lavorare come dipendente della ditta di spedizioni UPS, il tutto mentre Bill Walton guidava i Blazers al titolo NBA nel 1977.

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“Le medie, il liceo l’università… Furono tutte bellissime per me, ma lo sport professionistico mi ha lasciato un sapore amaro in bocca. Lo sport professionistico può essere bello, ma può anche distruggerti”

Martin, cadde in depressione e divenne un alcolista, proprio come il padre, un vizio che quasi gli costò il posto quando dopo 15 anni di lavoro in quelle condizioni venne fermato in stato di ebrezza. Da quel giorno decise di smettere, di buttarsi tutto alle spalle e ricominciare da zero. Tagliò tutti i ponti con il basket, quello sport che tanto aveva amato, ma che, allo stesso tempo, lo aveva pugnalato alla schiena. Si impegnò con tutte se stesso nel lavoro e i risultati non tardarono ad arrivare. Ora Martin è “community service manager” per la zona dell’Illinois e nel 2011 è entrato a far parte della NBRPA, l’associazione dei giocatori ritirati dalla NBA, riavvicinandosi così a quel mondo che l’aveva prima salvato e poi distrutto.

“Sono stato un fallimento nel basket, direi proprio di sì. Ma c’è la vita dopo il basket. Io non mi considero un fallimento. Ce l’ ho fatta!”

Sì, Martin ce l’ha fatta, ha superato ogni ostacolo, ha risalito il baratro nel quale era precipitato e ora si è finalmente realizzato come uomo e soprattutto come persona, dimostrando alla fine di essere un vincente nel campo che conta di più: la vita.

 

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