Memories of Busts: Michael Olowokandi, The Kandi-Man

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Se dovessimo scegliere una squadra, nel panorama NBA, con un pessimo feeling con i Draft, ci troveremmo di fronte a due nomi: i Portland Trail-Blazers, perseguitati dalla sfortuna, e i Los Angeles Clippers, che, invece, la malasorte sembrano crearsela loro stessi.

Siamo nel 1998, l’anno del primo lockout NBA, l’anno del primo All Star Game saltato; si ricomincerà a giocare solamente il 5 febbraio 1999, quando l’associazione giocatori troverà il tanto agognato accordo con la Lega, fino ad allora niente pallacanestro. In tutto ciò, i Los Angeles Clippers, dopo l’ennesima stagione fallimentare, si ritrovano per le mani la prima scelta assoluta al Draft; quello che si terrà a Vancouver, non è un Draft particolarmente ricco, ma nonostante questo produrrà giocatori del calibro di Antawn Jamison, Vince Carter e soprattutto Dirk Nowitzki e Paul Pierce, che saranno entrambi campioni NBA ed MVP delle Finals. I Clippers, franchigia dalla tradizione perdente, sono nelle mani di Donald Sterling (proprio lo Sterling accusato l’anno passato di razzismo e costretto a cedere la franchigia), che vuole invertire questa tendenza, soprattutto perché l’altro team di Los Angeles, i Lakers, sono in netta ripresa grazie all’arrivo di Shaquille O’Neal e Kobe Bryant. La prima scelta  dei Clips viene quindi spesa per Michael Olowokandi, 213 cm per 122 kg, centro anglo-nigeriano proveniente dalla University of Pacific. Olowokandi si è trasferito negli USA da pochi anni, per poter giocare al college e misurarsi con la NCAA: se la cava ottimamente, tanto da convincere i dirigenti della franchigia, alla ricerca di un lungo da opporre a Shaq.

Con la NBA alle prese con il lockout, il nigeriano si trasferisce per i primi mesi in Italia, giocando qualche partita con la Virtus Bologna, in attesa di iniziare la propria avventura nella lega americana. A febbraio, fa il suo esordio nella NBA deludendo le aspettative: 8.9 punti e 7.9 rimbalzi di media non bastano per convincere gli scettici, ma viene comunque inserito nel secondo quintetto rookie NBA. La stagione successiva è simile a quella precedente, Olowokandi, che qualcuno all’inizio aveva addirittura paragonato ad Hakeem Olajuwon, non raggiunge i 10 punti a partita. Altro che uomo-franchigia, altro che opporsi a Shaquille O’Neal.

Dopo tre anni Michael, che nel frattempo si è guadagnato il soprannome di Kandi-Man (un gioco di parole con il suo cognome affibbiatogli soprattutto a causa della mollezza sul parquet), rimane restricted free agent, ma non ricevendo offerte considerate al suo livello, decide di rifirmare per il Clippers. La stagione che inizierà a LA, quella 2001/2002, risulta migliore delle altre: 11.1 punti, 8.9 rimbalzi e 1.8 stoppate a match. Nel 2002/2003 si presenta la medesima situazione dell’estate precedente: Kandi-Man rifirma e resta a Los Angeles, riuscendo anche a mettere in mostra parte del proprio talento: 12.3 punti, 9.1 rimbalzi e 2.2 stoppate a fine anno, giocando però solo 38 partite a causa di infortunio.

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Kandi-Man non è certamente un giocatore da premio MVP, ma assestandosi stabilmente su queste medie potrebbe fare comodo a molte squadre: i Timberwolves mettono gli occhi su di lui. Minnesota a quel tempo aveva un solo padrone, “The Big Ticket”, al secolo Kevin Garnett, attorno al quale i T-Wolves stavano cercando di costruire un roster da titolo. Olowokandi sembra quindi il nome giusto per il ruolo di centro, alternandosi con Ervin Johnson. Michael sbarca quindi a Minneapolis e mentre la squadra, nella stagione 2003/2004, vola trascinata da KG (MVP a fine anno), Olowokandi scalda la panca e, quando viene chiamato in causa, contribuisce ben poco alle vittorie della squadra: 6.5 punti e 5.7 rimbalzi. I T-Wolves si arrenderanno ai Lakers in finale di Conference e, dopo quei maledetti Playoffs, la squadra che poteva contare tra le sue fila Cassell, Sprewell e Garnett, inizierà a sfaldarsi. Kandi-Man rimane a Minnie ancora un anno e mezzo, poi, dopo aver deluso anche qui le aspettative e aver peggiorato le sue già non eccelse medie, viene tradato a Boston. Ai Celtics, nell’annata 2005/2006, vede poco il campo e gioca malissimo: appena 16 partite, con una media di 2.8 punti e 2.6 rimbalzi ad allacciata di scarpe. La carriera di Olowokandi sembra giunta al capolinea, le ultime chance se le gioca con un ritorno ai T-Wolves, che lo riprendono pochi mesi dopo averlo ceduto, ma 6 punti e 5.6 rimbalzi sono pochino per rilanciarsi. A fine stagione, ridotto ormai all’ombra di se stesso, tornerà sulla East Coast, a Boston, dove giocherà le sue ultime 24 partite in NBA, mettendo insieme 1.7 punti e 0.5 rimbalzi a partita: uno sfacelo.

Michael-Olowokandi

Nell’estate 2007 nessun team sembra interessato a lui, non troverà più ingaggi e pur non essendosi ritirato ufficialmente dal mondo del basket, non è più tornato a calcare il parquet. Attualmente vive a Dallas, sposato con la star di “Basketball Wives” Suzie Ketcham. Kandi-Man è stato indubbiamente una meteora.

“La peggior prima scelta degli anni ’90”.

Così è stato definito da molti giornalisti, che si aspettavano di più da un lungo dotato della sua stazza. Pur essendo approdato in NBA già maturo (23 anni, Olowokandi è un classe 1975), il nigeriano è stato definito “Talented but uncoachable” da Kareem Abdul-Jabbar.

Frase che riassume perfettamente il ragazzo, decisamente ingestibile e scostante, soprattutto nel suo atteggiamento strafottente verso chi (come Jabbar, allora nello staff dei Clippers come vice, non proprio l’ultimo arrivato) cercava di correggere i suoi errori. Non c’è da stupirsi, dunque, se non ha saputo adattarsi a un mondo che lo ha immediatamente schiacciato sotto il peso di aspettative colossali. Una su tutte il paragone con la leggenda Hakeem Olajuwon, nigeriano come Michael, del quale, a detta di molti, Kandi-Man avrebbe dovuto essere l’erede… Magari in un universo parallelo!

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