Minneapolis, Mill City: dall’800 ai Timberwolves, tra mafia, wrestling e Garnett

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“Sono cresciuto in Minnesota e chiunque è così gentile lì. E’ come nel film Fargo. Tutti sono così allegri e ti fai amici solo facendo la spesa. Ci uccidiamo l’un l’altro con gentilezza”.

Queste parole le ha pronunciate l’attore, nativo proprio del Minnesota, Seann William Scott, che molti conosceranno per l’interpretazione di Steve Stifler in American Pie. Riassumono perfettamente lo spirito del Minnesota, che la contemporanea serie TV “How I Met Your Mother” ha ironicamente rappresentato alla perfezione nel personaggio di Marshall Eriksen. Come accade nella maggior parte degli Stati Americani, Minneapolis, nonostante sia la città più abitata, non è allo stesso tempo la capitale, il cui ruolo spetta a Saint Paul.

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Charles Hoag, professore che diede il nome alla città.

Già dal nome sovviene il primo aneddoto. Nel 1852 un professore originario del New Hampshire, tale Charles Hoag, si trasferì nel Minnesota, precisamente sulla riva destra del Mississippi, a Saint Anthony. Hoag divenne ben presto “more than a schoolmaster”, iniziando a farsi strada nella scena pubblica. Nello stesso anno del suo arrivo, il presidente della Contea di Hennepin stava decidendo il nome per una cittadina sorta da poco sulla riva sinistra del Mississippi, optò per Albion. Non volendo accettarlo, Hoag si impegnò per trovarne un altro. Il professore aveva pensato infatti alla già autonoma città di Indianapolis, il nome scelto era la fusione delle parole Minnehaha, usata nel Dakota con il significato di “cascata”, e polis, che in greco significa “città”. Il nome scelto fu quindi quello di Minnehapolis, “con l’h muta” come affermò lo stesso Hoag in un articolo dell’epoca. Nel Dicembre di quell’anno, John Stevens, che sarà il primo cittadino della nuova Minneapolis, accettò ufficialmente la proposta del prof, rifiutando soltanto quell’h di troppo.

La nuova Minneapolis si ingrandì sempre di più, inglobando piano piano anche l’altra riva del Mississippi. In particolare si svilupparono la coltura di grano, da cui il nomignolo di Mill City (Mill significa “mulino”), e la corruzione, che contrariamente alla fama attuale dello Stato colpì la città con uno scandalo intorno al sindaco Doc Ames sul finire del 1800.

A questo proposito, Minneapolis non è nemmeno estranea alle stragi: tra gli anni ’20 e ’30 si guadagnò la città fu vittima della criminalità organizzata, l’Al Capone di Minneapolis rispondeva al nome di Kidd Cann. Problemi che tornarono vivi negli anni ’90, quando la città fu invasa dalle bande causando il record di 97 omicidi nel 1995. Proprio in questi anni il New York Times coniò il soprannome Murderapolis, quando il tasso di criminalità della “ridente” cittadina superò quello della Grande Mela.

Se si parla di educazione, non si può non citare l’University of Minnesota, locata proprio tra Minneapolis e Saint Paul, che presenta la più valida opzione dello Stato per ottenere una laurea. Nell’ateneo giocano i Minnesota Golden Gophers, particolarmente dominanti nel football ma solo fino al 1940, data dell’ultimo titolo nazionale. Per quanto riguarda il basket, nessun titolo NCAA in bacheca, mentre lo sport che va per la maggiore è il wrestling, il che ci rimanda alla decantata gentilezza degli abitanti del Minnesota e a questa scena in particolare del telefilm citato all’inizio.

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Il wrestling, sport in cui eccelle la University of Minnesota

La città di Minneapolis possiede diverse squadre sportive, ma probabilmente sono talmente gentili da lasciare che il nome assegnatogli sia quello dello Stato: troviamo quindi gli a noi ben noti Minnesota Timberwolves, i Minnesota Vikings, le Minnesota Lynx, il Minnesota United FC e i Minnesota Twins. Ironia della sorte, i più sfigati di tutti sono proprio i “nostri” Wolves, sebbene l’unica squadra considerabile vincente sia quella di basket femminile.

I Vinkings nella NFL vantano un solo titolo nazionale (del 1969), mentre nel 1998 furono ad un passo dal raggiungere la propria quinta storica finale: dopo essere stati in vantaggio per gran parte della partita, persero al supplementare la finale della NFC per 30-27 contro gli Atlanta Falcons. Non è tanto il risultato finale a lasciare l’amaro in bocca a tutti i tifosi giallo-viola, bensì come quella sconfitta maturò: Gary Anderson, placekicker, non aveva mai sbagliato un calcio in stagione, 35/35 nei field goal e 59/59 negli extra point. Un solo errore fu fatale ai Vikings, che con due minuti da giocare si fecero raggiungere in parità dai Falcons, che poi appunto vinsero all’overtime. Da lì in poi solo qualche apparizione ai Playoffs e nulla di più.

I Twins della Major League Baseball sarebbero invece la squadra più vincente della città, peccato che l’ultima delle tre vittorie nelle World Series sia arrivata solo nel 1991. Il nome dei Twins deriva dalle Twins Cities, così sono infatti chiamate Minneapolis e Saint Paul per via della loro vicinanza. Rocambolesca la storia della squadra, che è arrivata in città nel 1961 dopo essere stata fondata a Kansas City addirittura nel 1894 e successivamente spostata a Washington fino al 1960. Gli anni d’oro vanno ricondotti tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, quando i Twins vinsero due volte le World Series grazie a giocatori del calibro di Kent Hrbek, Bert Blyleven e Frank Viola, ma la storia recente è impietosa anche per loro, con i Playoffs che mancano dal 2011.

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L’italiano Simone Bracalello, stella dello United

Il Minnesota United FC è invece la squadra di calcio fondata nel 2010, comprende nella propria rosa anche un giocatore italiano: Simone Bracalello, ala classe 1985 nativo di Genova e che dal 2010 cerca fortuna negli States. In patria presenze in Serie C, a Minneapolis è invece una delle stelle: 90 presenze e 22 gol nell’esperienza americana. Insieme a Bracalello, troviamo in squadra anche il centrocampista brasiliano Juliano Vicentini, visto in Italia a Lecce, Pisa e Novara. Lo United però non milita nella più famosa Major League Soccer, bensì nella North American Soccer League, una sorta di “Serie B” in cui non ci sono promozioni né retrocessioni, sostanzialmente un campionato a parte con sole 10 squadre.

Arrivando finalmente alla palla a spicchi, purtroppo per i tifosi dei T’Wolves, le più vincenti sono le Minnesota Lynx, della WNBA. Negli ultimi quattro anni, le ragazze di coach Reeve hanno portato a casa tre titoli di Conference (2011, 2012, 2013) e due campionati, nel 2011 e nel 2013. L’anno scorso, le Lynx hanno vinto 25 delle 34 partite disputate, arrendendosi in finale di Conference a Pheonix. La chiave della squadra è la 25enne Maya Moore, due anelli di campionessa al dito ed MVP delle Finals 2013, oltre che miglior giocatrice dell’ultima stagione regolare.

E arriviamo ai “nostri”, poveri, Timberwolves: praticamente, escluso lo United FC nato nel 2010, la squadra meno vincente di Minneapolis. Alla voce “Titoli NBA” troviamo un tondo zero, così come a quella “Titoli di Conference”. Fondati nel 1989, sono però la seconda squadra cestistica della città: i Lakers fino al 1960 erano di casa infatti nella terra dei laghi, da qui il nome, altrimenti inspiegabile nella calda e soleggiata California. Per non farci mancare nulla, i Lakers sono la squadra con più titoli della città, cinque, ma sono anche gli unici ad aver fatto le valigie ed essersi trasferiti dove il clima è di gran lunga migliore. La prima stagione dei Wolves in NBA li vede vincere solo 22 partite, quella successiva rimarrà la più positiva della franchigia per molti anni con 29 vittorie, finalmente nel 1995 la svolta ha un nome e un cognome: Kevin Garnett.

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La famosa cover di Slam con KG e Marbury

Chiamato con la quinta scelta, questo ragazzo che arriva direttamente dall’high school, quando ancora si poteva fare il “doppio salto”, non si dimostra capace da subito di cambiare volto alla squadra (ancora 26W nella stagione da rookie), ma nel 1996 la dirigenza decide di affiancargli Stephon Marbury, quarta scelta di quell’anno. I ragazzi terribili fanno sognare una città per qualche anno, conquistando già dal primo anno insieme i primi Playoffs della franchigia con un record di 40-42. Nel 1998 i Timberolves danno un quinquennale per la cifra allora record di 126 milioni di dollari a Garnett, lasciando partire Tom Gugliotta in modo da risparmiare spazio e rinnovare Marbury. Il piano non va a buon fine: Marbury vuole essere la stella e non accetta di essere pagato meno del compagno, decide quindi di partire per altri lidi. I T’Wolves centrano i Playoffs consecutivamente fino al 2005: mai oltre il primo turno se non nel 2004, quando chiudono con il miglior record a Ovest, il secondo nella Lega, con 58 vittorie, superano il primo turno per la prima volta nella propria storia, arrivano in Finale di Conference e si arrendono ai Lakers (quelli di Los Angeles). Resterà la miglior stagione di sempre dei Timberwolves, merito di Garnett ancora MVP e di Sam Cassell, infortunato nella serie contro i giallo-viola, ma anche di Latrell Sprewell. Per intenderci, erano capaci di fare queste cose ai Playoffs.

L’inizio della fine dei Wolves è la trade che porta Cassell ai Clippers in cambio di Marko Jaric (sì, quello con questa moglie, ormai diventata ex) e Lionel Chalmers (non Mario, ma quello visto poi a Sassari e Treviso). Da qui in poi le mosse di mercato sono le seguenti:

  • nel 2005 scelgono al Draft Rashad McCants, che si perde tra D-League, Porto Rico, Filippine, Cina e ora gioca in Brasile.
  • nel 2006 al roster viene aggiunto Ricky Davis, per intenderci quello che qualche anno prima aveva fatto questa roba qua.
  • al Draft nello stesso anno viene scelto Brandon Roy, salvo poi cederlo subito a Portland in cambio di Randy Foye più soldi.
  • nel 2007 parte Garnett, che va a vincere un titolo a Boston, a Minneapolis arrivano Al Jefferson, Theo Ratliff, Gerald Green, Sebastian Telfair, Ryan Gomes e delle scelte.
  • nella stessa estate scambiano ai Rockets e ottengono Juwan Howard, tagliato a Settembre con un buyout dovuto di 10 milioni garantiti, mentre dagli Heat arriva Antoine Walker, a fine carriera e che giocherà solo 46 partite prima di ritirarsi.
  • Nel 2008 scelgono OJ Mayo al Draft, si ravvedono per loro fortuna subito e lo scambiano immediatamente per Kevin Love.

Il lungo uscito da UCLA farà sognare la post-season a Minneapolis per qualche stagione, i Timberwolves per un paio di volte saranno “squadra da Playoffs”, definizione che resterà sulla carta. Il resto è storia recente: al termine del secondo contratto, Love lascia il Minnesota per abbracciare Lebron James a Cleveland. Ai Timberwolves arrivano due prime scelte assolute, Andrew Wiggins ed Anthony Bennett, ma la strada è tutta da rifare. E in Minnesota? Magliette bruciate? Insulti? No, siamo pur sempre nel Minnesota. La reazione dei tifosi è ben altra.

Francesco Manzi

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