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No, Karl Malone non può essere giustificato

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Nella giornata di ieri abbiamo condiviso un articolo su alcune polemiche social scoppiate sulla nomina di Karl Malone come giudice dello Slam Dunk Contest di questo sabato. La polemica risiede nel fatto che da qualche anno, alla luce di fatti tornati a galla dopo molti anni, Malone è diventato una figura a dir poco controversa. Infatti, all’età di 20 anni e da star del college, Malone mise incinta una bambina di appena 13 anni, in seguito a un rapporto che, in virtù dell’età della bambina, non si sa quanto fosse consenziente. La vicenda non è mai stata chiarita del tutto, perché la famiglia non ha mai sporto denuncia, probabilmente in seguito a una lauta retribuzione da parte di quella che sarebbe poi diventata una delle più grandi star NBA. Ormai diventata donna, la bambina in questione ha successivamente dichiarato di non aver sporto denuncia perché il giocatore era un “neighborhood kid”. Ovvero un “ragazzo del vicinato”.

L’età del consenso in Italia è di 14 anni, una delle più basse del mondo. Eppure anche qui da noi le azioni di Malone sarebbero state considerate illegali. Nel Louisiana, Stato in cui Malone e la bambina abitavano all’epoca dei fatti, l’età del consenso è addirittura di 17 anni. Di conseguenza, se la famiglia della ragazzina avesse denunciato l’accaduto, molto probabilmente quel ragazzo del college sarebbe finito in prigione e non sarebbe mai diventato Karl Malone.

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Torniamo però a noi, e all’articolo pubblicato sulla nostra pagina Facebook nella giornata di mercoledì. Sotto quest’ultimo, e mai avremmo pensato potesse succedere, abbiamo ricevuto decine e decine di commenti a difesa di Malone. Non abbiamo paura di dire che alcuni, i più grevi, sono stati nascosti e gli utenti bannati. Per tematiche sensibili come il razzismo o le discriminazioni in generale, non tolleriamo infatti eccessi di violenza verbale, nelle parole e nei concetti. Se vogliamo, questo è un caso addirittura più grave perché, di fatto, si parla di pedofilia. Non sentenziata da un giudice, hanno obiettato in molti. E questo è vero, ma non bisogna perdere di vista la realtà dei fatti. Che il rapporto sessuale sia avvenuto non è qualcosa che va accertato, dal momento che con quella bambina di 13 anni Malone ha avuto un figlio, Demetrius Bell, diventato poi giocatore NFL. Non è qualcosa di cui si può discutere. Cadono dunque le obiezioni del tipo “finché non è un tribunale a giudicarlo, non è colpevole”. No, Malone ha oggettivamente commesso un reato di cui c’è un’evidenza (il figlio) e non è andato a processo “solo” perché la famiglia ha deciso di non denunciare.

Un altro tema ricorrente nei commenti è che siano ormai passati 40 anni dall’accaduto, e che di conseguenza sia inutile o almeno incoerente fare rumore adesso, quando Malone ha giocato indisturbato per 20 anni in NBA. E qui apriamo un’altra parentesi. Come scritto in apertura, la vicenda non è poi così nota, ancora oggi. Su internet sono ben pochi gli articoli che ne parlano, e quasi tutti sono più recenti del 2020. Immaginatevi quanto la cosa potesse essere nota nel 1983, quando internet non esisteva e a malapena si poteva vedere qualche sparuta partita in televisione. Partendo dal presupposto che fossero altri tempi e la sensibilità su tanti temi fosse diversa, l’americano comune cosa poteva saperne di un ragazzo di 20 anni che, ancora al college, aveva messo incinta una bambina? Qualcuno in NBA era sicuramente a conoscenza della vicenda, ma questa non è affatto una giustificazione e purtroppo nemmeno una novità.

Donald Sterling, per dirne uno, è stato al timone dei Clippers per più di 30 anni prima che delle intercettazioni virali smascherassero le sue opinioni razziste. A dirla tutta, è vergognoso che la questione Malone non abbia mai avuto lo spazio che avrebbe meritato sui media americani. Ipocrisia dei media? Probabilmente sì, ma non si può di certo farne una colpa alla “massa” che oggi, saputo della vicenda con parecchi anni di ritardo, si indigna per il coinvolgimento di Malone in un evento ufficiale della NBA. La stessa NBA che si fa paladina dei diritti, riempendosi la bocca di temi fondamentali come la giustizia sociale, salvo poi chiudere entrambi gli occhi in almeno altrettanti casi.

Ciò che queste persone hanno chiesto, con un mezzo diretto quanto spesso efficacie come i social media, non è certo che un giudice decida di mandare in prigione Malone per un crimine commesso 40 anni fa. Bensì semplicemente che la NBA eviti di affiancare (ancora) il proprio nome a questa persona. Se non siamo d’accordo nemmeno su questo, che il comportamento di Karl Malone nel 1983 fu non solo illegale, ma profondamente immorale, allora c’è un problema di fondo. Un problema molto grave, visto che si parla di pedofilia. E non è moralismo. Non è accettabile (e non accettiamo, come testata) che si riduca la netta quanto semplice condanna della pedofilia a “moralismo” o “buonismo”.

Ci teniamo a ribadire che BasketUniverso non è né un giudice né un giustiziere. Ma se davvero su una vicenda del genere il commento che ti viene da fare è questo, il problema non è di certo nostro. È tuo e tuo soltanto, e dovresti guardarti bene allo specchio.

Redazione BasketUniverso

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