Tra pochi giorni inizierà la Coppa d’Africa di calcio, un torneo importantissimo per i giocatori africani ma un enorme fastidio per i club che li stipendiano. Tantissimi atleti si squadre della Serie A di calcio hanno già preso un aereo per volare nel proprio Paese, così da essere pronti per la manifestazione che si disputerà in Camerun. Giusto per citarne qualcuno: Franck Kessié, Ismaël Bennacer, Kalidou Koulibaly e André Anguissa.
Nel mondo del calcio – in generale – si fa di tutto per essere presenti alle manifestazioni iridate. Ricordiamo per esempio il miracoloso recupero di Roberto Baggio per il Mondiale del 2002, salvo poi non venire convocato per volere di Giovanni Trapattoni, oppure quello di Francesco Totti, uno degli eroi della spedizione in Germania nel 2006. Solo due esempi, ma ne potremmo trovare veramente tanti. Lo stesso Giorgio Chiellini, capitano della Nazionale italiana di calcio che ha da poco vinto l’Europeo, ha detto che ha deciso di continuare a giocare perché vuole esserci al Mondiale del 2022 in Qatar, previa ovviamente la qualificazione.
E allora perché nel mondo del basket la Nazionale è così bistrattata?
Facciamo un passo indietro, ovvero a quando si giocava solo d’estate, senza che ci fossero le finestre. Ogni giugno ci trovavamo a far la conta, non dei giocatori presenti per il classico ritiro di Folgaria, ma di quelli che invece rifiutavano la convocazione. Ricordiamo per esempio la spedizione ad EuroBasket 2013. Degli NBA partecipò solo Marco Belinelli. Danilo Gallinari e Andrea Bargnani – per motivi diversi – non si presentarono. Dovemmo convocare Guido Rosselli e Daniele Magro, due buonissimi giocatori ma nulla a che vedere con quelli rimasti a casa. Quell’anno in Slovenia, Luca Vitali giocò più tempo da “4 tattico” che da playmaker.
Naturalmente il tutto è peggiorato quando la FIBA ha inserito le finestre delle qualificazioni mondiali/europee a stagione in corso. Se già gli NBA venivano a fatica a giocare con l’Italia, ora abbiamo la matematica certezza che non ci verranno. Solo per le competizioni che si giocano ad agosto/settembre c’è qualche possibilità in più. Dovendosi però prima qualificare, è chiaro che le altre partite assumano comunque un certo peso (ricordiamo ad esempio che la Slovania, campione d’Europa nel 2018, senza Luka Doncic non è riuscita a qualificarsi per i Mondiali cinesi del 2019).
E ora nemmeno i giocatori di EuroLega (e tanti di EuroCup) rispondo sì alle chiamate dei coach. Quasi tutti quanti preferiscono giocare con il proprio club un doppio turno di coppa piuttosto che vestire la canotta della Serbia, della Croazia, della Spagna, della Russia. Potrebbero accettare le convocazioni dei propri commissari tecnici, ma non lo fanno. Gli unici giocatori di EuroLega che vediamo in Nazionale sono quelli che probabilmente non giocherebbero in EuroLega, o giocherebbero molto poco.
Le lamentele di Gianni Petrucci e della FIP
Nel recente passato il Presidente della FIP, Gianni Petrucci, si è spesso lamentato dei rifiuti dei giocatori di EuroLega alle convocazioni di coach Meo Sacchetti. Ormai in NBA è rimasto solo Danilo Gallinari ma in EuroLega giocano tutti gli italiani di Milano (Riccardo Moraschini, Giampaolo Ricci, Nicolò Melli, Paul Biligha, Tommaso Baldasso, Davide Alviti, Gigi Datome), Simone Fontecchio, Achille Polonara e Daniel Hackett, anche se quest’ultimo ha detto addio alla Nazionale nel 2019. Petrucci ha persino detto che nel futuro prossimo si vedrà costretto a prendere dei provvedimenti nei confronti dei giocatori che diranno di no a Sacchetti.
Perché nessuno si “ribella” e accetta di vestire la maglia della Nazionale, perdendo partite di EuroLega, come fanno i calciatori africani con la Coppa d’Africa?
I motivi sono davvero tanti. In primis, ovviamente, economici. I club di EuroLega pagano – e anche tanto – i giocatori per averli soprattutto in EuroLega. E poi perché si tratta di qualificazioni, non c’è in palio nulla. I trofei si vincono sempre e solo tra agosto e settembre. Mai a novembre o a marzo.
In più perché l’NBA ha sempre guardato con un certo “disprezzo” la Nazionale. Ricordiamo che fino ai primi anni Novanta per Team USA non giocavano i fenomeni NBA, ma solo i prospetti della NCAA. E in generale agli americani non interessa particolarmente vincere con la propria Nazionale, anche se si tratta dei Mondiali: sono interessati solo alle Olimpiadi. Solo i Giochi attirano l’interesse e il patriottismo degli atleti migliori, probabilmente per tutta la retorica che vi sta dietro. Con tutti i rischi del caso, come la figuraccia fatta in Cina nel 2019. Se la Nazione trainante – gli Stati Uniti – la pensa così, è normale che anche le altre siano sulla stessa scia.
Cambierà mai questa situazione?
Il primo passo per migliorare l’appeal della Nazionale è arrivare a una fine della guerra tra FIBA ed EuroLega. O l’EuroLega accetta le finestre della FIBA, oppure la Nazionale dovrà tornare a vivere solo d’estate, così com’è stato per molti anni. Altre soluzioni – per come la vediamo noi – non ce ne sono. Questo è il primo passo per risolvere questa never ending story. Dopodiché servirà fare un lavoro importante a livello comunicativo. Bisogna convincere i giocatori che vestire la maglia della Nazionale sia un sogno, non un obbligo. Lo sanno già, ma da esterni spesso sembra di no, nonostante nelle parole e nelle interviste dicano il contrario.
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