Progetto Trento

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Devo confessarvi una cosa: mi sono innamorato del “Progetto di Trento”. Ma chi non lo ha fatto? Stiamo parlando di una società che cinque anni fa giocava ancora in A Dilettanti, l’attuale Serie B, e oggi è tra le prime quattro squadre d’Italia, senza dimenticare che l’anno scorso ha sfiorato per un pelo la finale di EuroCup, seconda competizione europea per club, con un budget inferiore al milione di euro, giusto per darvi un’idea.

Ma com’è possibile tutto questo? Beh, ve l’ho detto, il comune denominatore dei successi dell’Aquila sono il progetto e la bravura delle persone che ci hanno lavorato in questi cinque anni.
Il primo che merita di essere menzionato è senza ombra di dubbio Salvatore Trainotti. Un grande manager, perché ha saputo far innamorare una regione dedita al volley anche alla palla a spicchi, ma soprattutto un grandissimo direttore sportivo, con un talento incommensurabile nel saper scovare americani come se piovessero, grazie anche ad uno staff di primissimo livello, Jared Ralsky su tutti. E lo ha dimostrato ancora una volta quest’anno perché, resosi conto di aver sbagliato un paio di acquisti (Johndre Jefferson e David Lighty), è subito corsi ai ripari. Prima ha riportato a casa Dominique Sutton, il vero fattore del girone di ritorno e di quest’inizio di playoff della Dolomiti Energia, e poi Devyn Marble, che

Corriere del Trentino

però si è infortunato a tre partite dalla fine della regular season, ma Trainotti non si è fatto trovare impreparato e l’ha sostituito immediatamente con Shavon Shields. Molto bene anche lui. Il punto però è sempre lo stesso: il progetto. Infatti quest’estate Trento si è vista costretta a dover salutare i due suoi giocatori migliori: Davide Pascolo e Julian Wright perché le offerte da loro ricevute erano effettivamente irrinunciabili. In particolar modo la perdita di “Dada” è stato un brutto colpo, ma il gm trentino non si è perso d’animo e ha consegnato le chiavi della squadra in mano a Filippo Baldi Rossi, altro giocatore che veste la maglia bianconera da tantissimi anni, il quale ha risposto sul campo in maniera più che positiva, prima di infortunarsi in quell’infausta vittoria milanese, non permettendogli di giocare nemmeno i quarti di finale playoff.
Trainotti, trovandosi in questa situazione, ha deciso di rimpolpare il reparto italiano con il giovane Riccardo Moraschini, arrivato da Mantova, nella quale ha fatto davvero bene nelle due stagioni precedenti, e riconfermando in blocco Forray, Lechthaler e Flaccadori. Ecco, proprio su “Dieghito” voglio soffermarmi un attimo. Nel 2014, alla prima stagione di Serie A di Trento, uno dei primi colpi messi a segno dall’Aquila è stato proprio il giovane bergamasco, del quale se n’è sempre parlato un gran bene a livello di settore giovanile ma che non aveva mai avuto esperienze di Serie A, solamente qualcosina in A2, ma da role player a Treviglio. Nonostante questo, Trainotti ha deciso di fargli firmare un quinquennale – cosa che in Serie A è davvero difficile da vedere, soprattutto se sei uno dei due prospetti più interessanti del panorama cestistico italiano e tutte le big tricolori ti fanno la corte. Oggi Flaccadori, a ventun’anni, viaggia a 9 punti di media, tirando con il 48% da due e il 34% da tre punti. Progetto.

Eppure ci sono altre figure che devono essere assolutamente menzionate: l’allenatore, Maurizio Buscaglia, e il presidente, Luigi Longhi. Partiamo proprio dal coach.
Buscaglia è anch’esso un prodotto del “progetto Trento” perché, dopo aver allenato la squadra in C1 dal 2003 al 2007, è andato a “fare esperienza” tra Mestre e Perugia, per poi tornare proprio in Trentino nel 2010, dal quale non se n’è più andato e nel quale rimarrà almeno altre tre stagioni perché è notizia fresca di questi giorni di un rinnovo fino al 30 giugno 2020.
Uomo pacato, mai sopra le righe, nel vero “stile Trento”, che si è dimostrato un grandissimo conoscitore di pallacanestro ma soprattutto camaleontico nella gestione dei giocatori messi a sua disposizione dalla società. Al primo anno di Serie A è stato nominato miglior allenatore, portando la Dolomiti Energia a sorpresa al quarto posto in classifica, mentre la stagione scorsa è stato eletto Coach of the year dell’EuroCup, uno dei premi maggiormente ambiti per un tecnico alle prime esperienze a questi livelli.
Quest’anno non è riuscito a vincere nessun trofeo, ma portare Trento tra le prime quattro d’Italia per la prima volta nella sua storia vale molto di più di una semplice statuetta da mettere sopra la mensola del camino.
E infine non possiamo che elogiare il presidente di questa Dolomiti Energia Trentino: Luigi Longhi. Uomo colto, molto intelligente, ma soprattutto affabile, e disponibile con tutti, anche con noi siti d’informazione, cosa che sembra scontata ma che purtroppo è più una rarità che la normalità. Longhi fa il presidente, nel vero senso della parola, cioè ha piena fiducia nel suo staff tecnico e permette loro di lavorare nel migliore dei modi possibili, non mettendo mai in discussione le loro posizioni, anche in periodi non propriamente felici, per esempio all’inizio di questa stagione, e non intervenendo in scelte che non sono di sua competenza, perché quando c’è un progetto, i risultati alla fine si vedono sempre. Il tempo è galantuomo.

Trento è l’esempio di come senza una vagonata di soldi – perché è brutto parlare di denari ma il budget trentino non so quanto sia più alto rispetto allo stipendio di alcuni singoli giocatori di Milano – si possano ottenere grandissimi risultati. Tutto sta nel progetto e nella programmazione, due parole che hanno accompagnato Trento verso le vette più alte d’Italia e d’Europa e che siamo certi non lasceranno mai il volo dell’Aquila.

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