Michael Cooper e l’ombra dello Showtime

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Michael Jerome Cooper nasce il 15 Aprile del 1956 a Los Angeles, una città a cui lui stesso si legherà per tutta la carriera: giocherà nella NBA per la bellezza di 12 stagione, tutte indossando un’unica divisa, quella giallo-viola dei suoi Lakers.

Una storia tragica la sua, perché all’età di tre anni si apre letteralmente il ginocchio e alcuni reperti parlano di quasi un centinaio di punti per “riparare” al danno: i medici erano molto pessimisti e secondo loro il piccolo Michael avrebbe avuto parecchie difficoltà anche solo a camminare. Invece Cooper cammina, eccome, e dopo due anni al Pasadena City College si trasferisce a University of New Mexico, dove nel suo ultimo anno viene inserito nel primo quintetto della Western Athletic Conference, dopo una stagione chiusa a 16.3 punti, 5.7 rimbalzi e 4.3 assist di media.

Al Draft del 1978 viene scelto al terzo giro con la scelta numero 60 dai Los Angeles Lakers, come già detto prima l’unica squadra con cui giocherà nella NBA. Siamo agli inizi degli anni 80 e questo vuol dire una e una sola cosa: SHOWTIME!

Lakers showtimeSenza contare il suo anno da rookie, nel quale gioca appena tre partite di regular season, diventa già dal suo anno da sophomore uno dei giocatori cardine della rotazione dei Lakers (24.1 minuti di media già al secondo anno) in uscita dalla panchina. Il 1980 è anche l’anno del primo anello vinto con LA, con l’arrivo ad inizio stagione di un certo rookie di nome Earvin Johnson, che durante le Finals vinse gara 6 giocando da centro al posto di Kareem Abdul-Jabbar, che nel frattempo, dopo aver dominato la serie, si era seriamente infortunato in gara 5.

 

Dopo il primo titolo vinto ne arriveranno altri quattro nei prossimi 8 anni, alternandosi alla vittoria con i rivali di sempre, i Boston Celtics: una sfida magica per tutti gli appassionati di quei tempi.

Cooper nella Lega si fece subito strada grazie alle sue doti di difensore: senza alcun dubbio uno dei migliori della sua epoca (vinse anche il premio di Defensive Player of the Year nel 1987), sicuramente tra i primi 10 esterni della storia grazie a due qualità fondamentali: tempismo e mani veloci. Cooper può vantare di essere l’unico giocatore nella storia dei Lakers (fino ad oggi naturalmente) ad aver vinto questo premio, che assume ancora più valore se si considera che da quando è stato introdotto, cioè dalla stagione 1982-1983, è stato assegnato solamente a 5 giocatori che non superano i 2 metri di altezza.

Da Jerry West a Pat Riley, tutti i suoi allenatori in difesa lo accoppiavano con il miglior esterno avversario: Larry Bird, Dominique Wilkins, Michael Jordan. Li ha marcati, dal primo all’ultimo. Storica la difesa del #21 giallo-viola su Bird nelle Finals del 1984, dove si può vedere il #33 dei Celtics perdere il controllo dopo una serie di turnover complice l’eccellente lavoro del suo diretto marcatore.

 

Senza ombra di dubbio l’annata migliore per Cooper fu la stagione 1986-1987: è la quinta stagione consecutiva che chiude giocando TUTTE le 82 partite di stagione regolare, fa registrare per la seconda volta in carriera più di 10 punti di media (10.5) e ormai è divenuto uno dei migliori tiratori dall’arco della Lega (38.5%): vince il titolo di miglior difensore della NBA, ma è proprio ai playoff che alza ancora il livello. I Lakers chiusero una stagione da manuale, vincendo la bellezza di 65 partite: la loro corsa verso il titolo continuò ai playoff, dove passeggiarono su Denver (3-0), scherzarono con Golden State (4-1) e derisero Seattle (4-0 in finale di Conference). Nelle Finali lo scontro con i Celtics fu decisamente più equilibrato, anche se in realtà in casa la squadra di Pat Riley non ne perse nemmeno una. Il titolo alla fine arriverà dopo sei gare e il numero 21 per la prima volta dimostrò di saper essere anche un attaccante incisivo: 13 punti e 5 assist a partita, tirando meglio da tre punti (48,6%) che dal campo (48,3%) con quasi 4 tentativi a partita.

CooperNonostante un fisico longilineo e poco muscoloso, Coop sapeva come far esplodere il pubblico del “The Forum”, il vecchio palazzetto dove vi giocavano i Los Angeles Lakers, prima di trasferirsi definitivamente allo Staples: quando si parlava di tempismo avrei dovuto anche specificare le doti di stoppatore del nostro protagonista. Si distinse soprattutto per la semplicità con cui concludeva al ferro: di certo giocare nei Lakers dello Showtime rendeva tutto più semplice, ma era senza ombra di dubbio uno dei destinatari preferiti per gli assist di Magic in contropiede, che in quegli anni ha fatto vedere qualcosa di assolutamente inspiegabile.

Una volta scaduto il suo contratto al termine della stagione 1989-1990, Michael decise di giocare un’ultima stagione in Italia, all’età di 34 anni, con la maglia della Virtus Roma: nel nostro campionato si tolse per lo più qualche soddisfazione a livello personale, facendo registrare 15.8 punti, 6.1 rimbalzi e 1.9 rubate a partita, ma con la Virtus venne eliminato ai playoffs contro l’Olimpia Milano e alla fine arrivò l’annuncio del suo ritiro dal basket giocato. Questo non l’ha tenuto lontano dal parquet, perché già nel 1994 ha cominciato la sua carriera come allenatore: nel campionato WNBA ha cominciato ovviamente con le Los Angeles Sparks, squadra con la quale ha vinto due campionati consecutivi nel 2001 e nel 2002.

Bisogna anche ammettere che però era un attaccante piuttosto mediocre, perché il suo jumper era tutto tranne che affidabile e anche se con l’avanzare dell’età ha lavorato sul tiro da tre punti (passando dal 25% della seconda stagione fino a chiudere la carriera con il 34%), il suo più grande limite fu quello di non essere un attaccante poi così pericoloso per le difese avversarie. Sapeva passarla, quello si: per tre stagioni chiuse con più di 5 assist di media, sei volte invece sopra i 4 di media a serata.

Michael Cooper

I Lakers sono una delle franchigie più vincenti della storia dello sport americano e di campioni nel corso degli anni ne sono passati tanti: Michael è riuscito a far inserire il suo nome nel libro dei record all’interno di diverse statistiche, perché è entrato nella top 10 per triple segnate, partite giocate (in carriera ha saltato appena 32 partite, se non si considera il suo anno da rookie), palle rubate, stoppate, rimbalzi offensivi, rimbalzi difensivi e percentuale ai tiri liberi. Però vuoi che in quella squadra a roster figuravano 4 futuri Hall of Famer, vuoi che sinceramente non lo so, la sua maglia numero 21 non è ancora stata appesa allo Staples e con ogni probabilità non lo sarà mai.

Giovanni Aiello

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