Rain City, Seattle, WA

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Quando sul tuo documento d’identità alla voce “luogo di nascita” c’è scritto Seattle, Washington, USA, non significa “solo” essere nati in una delle città più affascinanti del mondo. Nascere a Seattle implica un qualcosa in più, nascere a Seattle è uno status sociale che ti rende letteralmente fratello di ogni altro abitante della Rain City. Il senso di appartenenza alla città è tutto, il prefisso telefonico 206 è il modo che i ragazzi trapiantati fuori dalla città hanno di riconoscersi tra loro.

La città, per un appassionato di musica, è come la Kaaba per un musulmano. Un luogo di culto senza paragoni, patria di alcuni dei più grandi artisti della musica contemporanea, a partire da Jimi Hendrix, il più grande chitarrista di tutti i tempi. I suoi assoli e i suoi riff hanno posto le basi per il rock ed il metal contemporaneo, le sue improvvisazioni restano tuttora irraggiungibili per chiunque.

 

Ma la scena musicale di Seattle non ci ha regalato solo il leggendario Jimi. Decisamente no. Gli anni 90 sono gli anni della ribellione. Capelli lunghi, jeans strappati e scarpe vecchie e logore sono i tratti distintivi dei giovani seattleites. Sono gli anni del grunge, di Kurt Cobain e dei suoi Nirvana. Di Eddie Vedder, benzinaio da Chicago trapiantato a Seattle, e dei suoi Pearl Jam. Ma anche degli Alice In Chains e dei Foo Fighters.

A Seattle si riscrive la storia musicale, un’altra volta, nel 1991. I Nirvana pubblicano Nevermind, il loro secondo album. Lithium, la quinta canzone dell’album, sembra descrivere la vita di Cobain. Lithium è la base del farmaco che usava per combattere i suoi demoni. Soffre di disturbo bipolare. Passava da stati di iperattività alla depressione in un istante. Così si spiega anche il suo (presunto) suicidio, agli inizi di aprile 1994. Aveva ventisette anni, come Jimi.

Angolo nerd: Lakeside HS. In questa scuola privata c’era un computer assai potente (parliamo del 1968), un DEC PDP-11. Un gruppo di giovani studenti affittarono il pc per fare dei test, finendo per diventare inseparabili al computer. A causa di ciò, i ragazzi ebbero problemi disciplinari, perdendo le ore scolastiche, smettono di svolgere i compiti assegnati e rischiarono provvedimenti. Ma grazie a questo computer, due di loro divennero assai famosi: William Henry Gates (noto come Bill Gates) e Paul Allen. Fondarono nel 1975 la Microsoft, che ha tuttora sede a Seattle. Ma non è l’unica superpotenza che ha sede nella città dello Smeraldo: sopra lo Space Needle, si ode il rombo di un Boeing, una perla dell’industria del capoluogo di Washington. Rimanendo in ambito economico-industriale: la città è la sede di Amazon, grandissima impresa di compravendita di merci online.

Ora inizia il nostro tour sportivo, partiamo con il baseball MLB. Che dire di loro? Poco o niente, sono una franchigia fondata nel 1977, campioni di Division tre volte (‘95,’97,’01), nelle ultime stagioni sono finiti nelle pagine sbagliate della storia, con alcuni “invidiabili” record: primo team nella storia dell’intera MLB a perdere 100 gare stagionali con un playroll d’oltre $100 milioni di dollari. Molti italiani che seguono il baseball probabilmente simpatizzeranno per questa squadra. Perchè? Perchè ci ha giocato per quattro anni (2009-2013) Alex Liddi, il primo italiano a mettere piede nella MLB. Il ventiseienne sanremese debuttò il sette settembre 2011 e a maggio realizza il suo primo fuoricampo. Ora gioca a Baltimora. I Mariners sono saliti alla ribalta molto recentemente per aver fatto firmare il contratto più oneroso della storia della MLB, a Robinson Cano: 240 milioni in dieci anni.

Diamo due tiri al pallone e parliamo di calcio, Seattle Sounders. Questa volta parliamo di calcio femminile, in particolare di una giocatrice di Seattle: Hope Solo. La (bella) vulcanica Hope è l’icona del calcio femminile, ha una popolarità pari a quella dei grandi dello sport a stelle e strisce in America, per chi volesse ammirarla, ha posato per la rivista ESPN Magazine. Bi-campionessa olimpica con la Nazionale USA WNT, portiere dell’anno 2009 della WPS, nota anche per la sua filantropia… Hope Solo è un personaggio fuori dagli schemi, o la si ama o la si odia, il suo carattere bizzoso è ai livelli dei vari JR Smith e Metta World Peace, o dei vari Balotelli e Osvaldo (tanto per rimanere in tema di calcio nostrano).

Spazio nostalgia, a Seattle gioca Oba-Oba Martins, l’indimenticato attaccante interista, che ha deliziato San Siro a suon di gol e capriole.

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I Seattle Seahawks della NFL sono state considerate per decenni una delle franchigie più sfigate della lega, un po’ come i Cavaliers nell’NBA. Qualche momento di gloria, come il Super Bowl raggiunto nel 2005 e perso in maniera controversa (a dir poco, visto che la ESPN ha inserito la partita all’ottavo posto nella classifica delle partite peggio arbitrate in ogni sport americano) contro i Pittsburgh Steelers. Ho usato il passato perché il 2 febbraio 2014 la loro storia è cambiata: hanno battuto nel Super Bowl XLVIII i favoriti Denver Broncos di Peyton Manning, uno dei più grandi quarterback della storia. Una cavalcata epica di una squadra con una difesa incredibile, la cosiddetta Legion Of Boom, la linea secondaria guidata dal miglior cornerback della lega, Richard Sherman, scelto nel corso del quinto giro del 2011, e composta oltre che dal suddetto Sherman da Brandon Browner, altro cornerback undrafted nel 2005, Kam Chancellor, strong safety scelto come centotrentatresimo nel draft 2010, e da Earl Thomas III, free safety ed MVP del Super Bowl, grazie all’intercetto riportato in touchdown per 69 yards a Manning.

 

Torniamo a noi cestisti: Seattle SuperSonics.

Ma perché SuperSonics? Semplicemente, la più grandi fabbriche della Boeing sono situate appena fuori Seattle e, in loro onore, Sam Schulman denominò la sua franchigia, nata nel 1967.

Partiamo dal principio, nel 1967 la prima stella era Walt Hazzard, ex Lakers, passato a Seattle, giocando una stagione in maglia Sonics, scambiato poi con Lenny Wilkens, che divenne la stella assieme a Bob Rule (che piazzava 24-11 di media come nulla). Nonostante le buone cifre dei due sopracitati, le vittorie scarseggiavano e per la stagione successiva Wilkens assunse il ruolo di giocatore-allenatore. Il record migliorò progressivamente (se si eccettua il biennio 73-74) e nella stagione 1974-75 Seattle finalmente approdò ai playoff per la prima volta nella loro storia, superando nel primo round i Pistons, per poi uscire contro Golden State. L’anno successivo la storia si ripete: ora ci sono i Phoenix Suns che negano agli abitanti di Rain City il primo approdo alle Finals. L’inizio della stagione 1977/78 non è il più incoraggiante, il record di 4-17 vale l’esonero del coach Hopkins e la nomina di Wilkens come capo allenatore. La scossa è arrivata e la squadra termina la stagione con il record di 47-35, approdando ai Playoff. I Lakers, Portland e Denver non possono nulla e finalmente i Supersonics si giocano l’intera stagione in una serie. Nasce così la prima grande rivalità: Seattle Supersonics-Washington Bullets.

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21 Maggio 1978 a Washington, gli ospiti strappano la loro prima vittoria in finale, replicando anche in gara-3 e gara-5. Per Seattle si tratta di un “one more”, spalle al muro, invece, per Wes Unseld e truppa. Proprio lui, Wes Unseld, si rivelerà l’incubo di un’intera città. Partiamo prima dai protagonisti: il capitano era Fred Brown, la bocca di fuoco Gus Williams, che concluse la stagione con oltre venti punti di media. Il terzo violino è un giocatore con un’imbarazzante eleganza,una guardia con ottimi mezzi difensivi: signore e signori, il compianto Dennis Johnson. I Bullets all’epoca erano una sorta di Dream Team, nel roster figuravano nientepopodimeno che Wes Unseld, uno dei centri più forti di sempre, Elvin Hayes, Bob Dandridge negli spot di ali e come guardia figurava un certo Kevin Grevey, tiratore mortifero, col fiuto per il canestro. Torniamo a gara-6: Wes Unseld trascina i suoi ad una schiacciante vittoria per 117-82, portando la serie all’atto conclusivo. Gara-7 ricorda per certi versi la finale del 1994 tra New York Knicks e Houston Rockets. Se da una parte c’è il pivot che domina offensivamente (Unseld-Olajuwon), dall’altra, colui che doveva risultare determinante, ma risultò un flop nella madre delle partite (Johnson-Starks). In questa partita, infatti, Johnson risultò un fattore per Washington, a causa del suo 0/14 al tiro, terminando la gara con quattro punti a referto. Wes Unseld vinse il suo anello, ma per Seattle non finisce qua.

Dennis Johnson promise di non deludere più la città, e i risultati non tardano ad arrivare: i Sonics dominano la Regular Season con un record di 52-30, mentre per il giocatore arriva la consacrazione. Dopo la serie sofferta contro i Phoenix Suns, arriva il revival: di nuovo Seattle Supersonics-Washington Bullets. La trama questa volta è completamente diversa, Gus Williams e Dennis Johnson autentici mattatori nel 4-1 finale, che eleva Seattle all’Olimpo cestistico.

Purtroppo il decennio successivo è avaro di soddisfazioni, nonostante le numerose presenze ai playoff.

Nel 1989 inizia una nuova era per Emerald City: dal Draft arriva un signor giocatore, Gary Payton, mentre l’anno successivo approda a Seattle The Reignman Shawn Kemp. Pochi anni dopo con coach Karl, la squadra fa il colpaccio con il record di 63-19 nella regular season, ma si rivela un autentico flop ai playoff: fuori al primo turno contro Denver. Il 1995-96 fu l’anno in cui Seattle ebbe probabilmente il miglior team della sua storia: Kemp e Payton, più Detlef Schrempf, il centro Sam Perkins e le guardie Hersey Hawkins e Nate McMillan. Dopo aver chiuso la regular season con un record di 64-18, i Sonics batterono i Kings 3-1, i Rockets 4-0 e in finale di Conference Utah (che avrebbe dominato le stagioni successive ad Ovest) per 4-3. Le Finals erano state raggiunte per le terza volta, ma la partenza non fu delle migliori contro i Bulls, tanto che Seattle perse le prime 3 partite contro Jordan e compagni. Dopo due vittorie incoraggianti alla Key Arena, i Sonics capitolarono in gara 6 e il mito di Michael potè continuare. Quando Karl nel 1998 lasciò la squadra, il suo sostituto Paul Westphal non seppe continuare il suo egregio lavoro.

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Nel 2003 inizia la rivoluzione: via Gary Payton, dentro Ray Allen e Rashard Lewis. La stagione successiva possiamo definirla come il canto del cigno: ultima apparizione ai playoff, sconfitta in finale di conference contro San Antonio Spurs, che poi vinsero la Finale NBA.

Nel 2006 inizia l’incubo per Seattle, lo stato di Washington nega gli aiuti economici per ristrutturare l’ormai obsoleta KeyArena, in questo modo la franchigia venne venduta ad una cordata di imprenditori di Oklahoma City, che trasferirono la squadra nel 2009. L’ultima stella di Seattle è l’allora rookie Kevin Durant, pescato con la seconda scelta assoluta al draft 2007.

Il tredici aprile 2008 è il giorno più triste: l’ultima partita di fronte al proprio pubblico.

All’entrata in campo dei giocatori, si alza un coro: “Save Our Sonics”, rivolto a Durant e company. Ogni tanto anche qualche “Clay Bennett sucks!”, indirizzato al principale artefice del trasferimento della franchigia verdeoro. I 16.672 presenti hanno portato letteralmente la squadra alla vittoria, 99-95 contro di Mavericks di Nowitzki e Kidd, a suon di cori per convincere (inutilmente) Bennett a tornare sui suoi passi. “I almost cried”, le parole di Kevin Durant, dopo il match, Seattle è rimasta nel cuore dei giocatori, applauditi come eroi durante la partita e sostenuti da Gary Payton in tribuna. Purtroppo il tredici aprile si è chiusa un’era… Seattle però è ancora viva, i tifosi ci sperano ancora: la maggior parte è presente al Rose Garden di Portland, con la famosa frase “Seattle drafted Durant” stampata sui cartelloni (ironizzando sulla famosa questione Durant-Oden). La speranza arrivò ad un passo dal concretizzarsi in realtà, quando i Sacramento Kings erano in procinto di trasferirsi a Seattle, ma la cosa sfumò con la costruzione del nuovo palazzo nel capoluogo californiano.

Seattle RIP

Ora, di loro rimane solo il ricordo, i video delle schiacciate di Kemp, le maglie di Payton, la finale persa contro i Bulls di MJ… ma arriverà quel momento in cui dodici giocatori vestiranno la maglia Supersonics, nel nuovo palazzo di Seattle, di fronte a migliaia di tifosi caldissimi che hanno dovuto subire questa tragedia per la città.

Francesco Manzi

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